Gorbaciov, il mercato unico globale e le privatizzazioni della proprietà pubblica demaniale

di Paolo Maddalena - key4biz.it - 31/08/2022
La caduta dell’Unione delle repubbliche sovietiche (URSS) ha aperto la strada, specialmente in Europa, ai fautori del neoliberismo, il cui obiettivo era ed è la cessione dei beni in proprietà pubblica demaniale del Popolo ai privati, nell’illusorio convincimento che sappiano gestire meglio le risorse nazionali.

La stampa odierna dedica molto spazio alla scomparsa di Gorbaciov, il quale reagì contro lo stato di miseria che si era determinato in Russia, a causa della corsa agli armamenti, aprendo, con una visione pacifista, sul piano internazionale e con la distribuzione di alcuni  beni statali ai privati sul piano interno. Le buone intenzioni di Gorbaciov non si realizzarono perché Eltsin, che lo sostituì, concesse l’intera ricchezza nazionale ai più furbi, che si accaparrarono il bene di tutti, nel proprio personale interesse, diventando i cosiddetti oligarchi.

La situazione poi migliorò con l’azione di Putin che riportò nella proprietà statale soprattutto le fonti di energia, tra le quali ha primeggiato l’estrazione e la distribuzione del gas, che è diventato un elemento centrale della ricchezza nazionale russa, attraverso le esportazioni nei Paesi europei.

Questi avvenimenti, unitamente alla caduta del muro di Berlino, hanno portato al reale disfacimento dell’Unione delle repubbliche sovietiche (URSS) e ha aperto la strada, specialmente in Europa, ai fautori del neoliberismo, il cui obiettivo è la cessione dei beni in proprietà pubblica demaniale del Popolo ai privati, nell’illusorio convincimento che sappiano gestire meglio le risorse nazionali.

Primo attore di questa rivolta economica , che uccideva il sistema economico produttivo di stampo keynesiano, secondo il quale la ricchezza deve andare alla base della piramide sociale e il lavoro ha una funzione costruttiva dello Stato-Comunità, per sostituirlo con il sistema predatorio neoliberista, che toglie la ricchezza al popolo per donarla ai ricchi e considera il lavoro un peso per l’imprenditore, fu Mario Draghi, il quale, il 2 giugno 1992, proclamò il suo intento sul panfilo Britannia, ancorato a Civitavecchia, con 100 delegati della City londinesi, chiedendo ai presenti un forte aiuto politico.

Le sue idee erano già state in parte realizzate dal governo Ciampi-Amato, che avevano privatizzato e svenduto tutte le banche pubbliche italiane, e furono alla base della prima grande privatizzazione (che consisté nel porre sul mercato beni demaniali fuori mercato) dei nostri mezzi di produzione di ricchezza nazionale da parte di Giuliano Amato, il quale, con legge numero 333 del 1992, privatizzò l’INA (le assicurazioni, soprattutto sulla vita, molto fruttuose), l’Enel (energia elettrica), l’Eni (gas, petrolio, benzina ecc.) e l’IRI con oltre 1000 industrie e 600 mila dipendenti che furono gettati sul lastrico.

Alla svendita di questi beni provvide soprattutto Prodi, ma anche i governanti che si sono succeduti da quell’epoca fino a oggi. Si ricordi, che ancora oggi Draghi prosegue su questa via, come dimostra il Disegno di legge sulla concorrenza, che vuole porre a gara europea i servizi di taxi e di balneazione, nonché privatizzare tutti i servizi pubblici locali, compresa la gestione dell’acqua.

Il tutto è stato frutto di detta grande idiozia che ha impoverito il Popolo italiano con la dissoluzione del suo principale mezzo di sostentamento, costituito dal demanio pubblico, il quale, secondo la vigente Costituzione, deve comprendere anche i servizi pubblici essenziali, le fonti di energia, le situazioni di monopolio e le industrie strategiche, in quanto di preminente interesse generale (art. 43 Cost.).

Non sfugga che a causa del nuovo sistema neoliberista l’Italia è stata costretta a indebitarsi fino al collo, sia per l’ordinaria amministrazione, sia per l’amministrazione straordinaria dovuta agli stati di emergenza determinati prima dalla pandemia e poi dalla guerra in Ucraina.

Porto ad esempio, per dimostrare l’assurdità di questo sistema, la questione del gas, che è stato oggetto di una vorticosa speculazione, il cui effetto è stato l’aumento esponenziale del prezzo del gas e dell’energia elettrica.

Per arginare questo fenomeno lo Stato ha erogato, dall’inizio dell’anno, 50 miliardi di euro in aiuti a imprese e famiglie sulle bollette, sia del gas che dell’energia elettrica.

Tutto ciò non sarebbe avvenuto se Eni e Enel fossero rimaste integralmente nella proprietà pubblica demaniale del Popolo (si noti che il 30% delle azioni Eni è di proprietà di Cassa Depositi e Prestiti, cioè una S.p.A., i cui proventi vanno ai soci e non al bilancio dello Stato italiano) e cioè non fossero state privatizzate e cedute agli stranieri, i quali hanno fruito in questo periodo, a causa della speculazione, di introiti super-miliardari.

Sarebbe stato opportuno, a mio avviso, che questi denari, destinati ad alleviare l’onere del pagamento delle bollette, fossero stati investiti nell’acquisto di azioni di queste due grandi società, che ci sono sfuggite di mano a causa delle insane privatizzazioni operate dai nostri politici, nella prospettiva di riacquistare alla proprietà pubblica collettiva del Popolo queste importantissime fonti di energia, come per altro impone il citato articolo 43 della Costituzione.

A questo punto debbo osservare che la tragedia economica italiana è derivata dalla istituzione di un libero mercato, sancito dal trattato di Maastricht, che ha consentito a tutti di investire i propri capitali ovunque volessero e che soltanto l’accrescimento della proprietà pubblica demaniale del Popolo, che è inalienabile, inusucapibile, imprescrittibile e incomprimibile è in grado di mantenere nel nostro Paese.

Paolo Maddalena

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