Ha vinto il si. La Costituzione è stata modificata e il prossimo Parlamento sarà composto da 600 Deputati e 200 Senatori (più gli eletti all’estero). Formalmente tutto qui.
Una parte dei sostenitori della ‘riforma’ è convinta che naturale conseguenza del ‘si’ sia l’approvazione di una nuova legge elettorale, di impianto proporzionale; ma l’approvazione nel 2019 della legge 51 (Lega + M5S) rende ancora applicabile la pessima legge attuale.
Qualcuno pensa perfino a un (assai improbabile) ritorno delle preferenze, che restituirebbe agli elettori il potere di scegliere i propri rappresentanti, cioè di esercitare quella sovranità garantita dall’art.1- C’è anche chi, ragionevolmente ma imprudentemente, pensa che sia necessario modificare anche l’art 83 per riequilibrare la composizione dell’assemblea che elegge il Presidente della Repubblica. In questo caso occorrerebbe ridurre il numero dei rappresentanti delle Regioni, riducendo ulteriormente il peso (già decimato dal ‘taglio’) delle forze politiche minori.
Dunque la prevalenza del ‘si’ rischia di aprire la strada a una stagione di pesanti novità istituzionali; una specie di vaso di Pandora da cui si materializzerebbe quell’attacco alla democrazia rappresentativa in cui si sono negli ultimi decenni impegnate varie forze politiche. Il riferimento alla proposta di Grillo di un parlamento estratto a sorte è d’obbligo, e dopo il referendum non può più essere cancellata, come meriterebbe, da una risata.
Il termine ‘riforme’, che i vincitori proclamano a gran voce di voler fare, può assumere significati inquietanti. In realtà l’approvazione (a stretta maggioranza in tre votazioni su quattro) di una modifica costituzionale così pesante, ma priva di giustificazioni razionali e esplicitamente motivata da interessi di ‘bottega’, può intaccare, forse irreversibilmente, il principio della ‘rigidità’ che contraddistingue tutte le costituzioni, per la loro natura di garanzia delle minoranze e di limite al potere, e trasformare le modifiche costituzionali in una pratica corrente a disposizione della maggioranza del momento.
Da questo punto di vista l’art. 138 della nostra Carta, che consente la modifica della Costituzione a maggioranza semplice, denuncia la necessità urgente di un adeguamento ai nuovi sistemi elettorali in vigore dagli anni ‘90, come proposto da Oscar Luigi Scalfaro, dopo aver guidato la vittoriosa campagna referendaria del 2006. Quanti si sono battuti per fermare questa deriva, ottenendo il consenso di un non trascurabile 30% dell’elettorato, non possono ora rinunciare a una azione di vigilanza e di contro-informazione, per mobilitare l’opinione pubblica nella difesa delle nostre Istituzioni repubblicane.
Francesco Baicchi