Le sardine hanno riunito a Roma almeno 200mila persone richiamate dalla richiesta di abrogare (poi maldestramente corretto in “rivedere”) il decreto Salvini; dall’invito a contrastare i linguaggi d’odio (che dominano non tanto il confronto tra avversari politici, quanto l’aggressione sistematica contro migranti, minoranze, donne, difensori della vita e persino della memoria); e dall’appello a restituire vigore all’antifascismo. La gestione del palco di piazza San Giovanni ha rispettato pienamente questo copione, con particolare attenzione ai migranti. Sono temi più volte ribaditi, con diverse accentuazioni, da tutte le forze di sinistra. Perché queste non riescono più a mobilitare nemmeno i loro sostenitori dichiarati e alle sardine invece riesce tutto così bene? Siamo nel campo delle supposizioni. Nessuno, nemmeno chi ha chiamato a raccolta le sardine, ha una risposta sicura. Quelle che si possono avanzare sono riconducibili a due ordini di considerazioni:
Primo: totale sfiducia nelle organizzazioni della sinistra da parte delle figure sociali a cui queste fanno riferimento e dei cui interessi si considerano rappresentanti, almeno in forma virtuale. Continuare a chiedersi se le sardine sono o no “di sinistra” non aiuta certo a recuperare questo rapporto. Dare per scontato che lo siano, ancor meno. Soprattutto da quando definire che cosa sia di sinistra e che cosa no è diventato difficile. Forse proprio la sicumera del considerarsi “di sinistra” crea i maggiori problemi.
Secondo: l’inconsistenza, e forse l’impraticabilità, al di là dei tre punti indicati, della proposta “politica” delle sardine. Fare le pulci al loro primo manifesto, e ancor più al secondo, è un gioco facile quanto sterile, perché probabilmente è proprio quel vuoto ciò che ha funzionato maggiormente da richiamo: alla faccia di coloro che subordinano il sostegno alle sardine al fatto che gli venga servito un piatto (di centinaia di migliaia di persone) già bell’e confezionato come lo vorrebbero loro… O di coloro che sanno già che cosa le sardine devono fare per strutturarsi o quali punti ineludibili devono mettere nel loro programma. Quel loro exploit ci dice che siamo al grado zero della politica.
Se però alziamo lo sguardo dalla loro vicenda per rivolgerlo al contesto mondiale si vede subito che questa non è una peculiarità di casa nostra: la crisi climatica e ambientale sta azzerando tutto ciò a cui i politici di tutto il pianeta hanno appeso i loro programmi, le loro manovre, le loro carriere. Non se ne sono ancora accorti, ma se ne accorgeranno presto: anche loro stanno per scoprirsi tutti al grado zero della politica: come le sardine. Gianfranco Mascia, su Il fatto quotidiano, raccomanda alle sardine di aggiungere al loro programma la crisi climatica (non ne hanno nemmeno fatto cenno). Ma per loro, come per tutto il resto del mondo, il problema non è “aggiungere”. Chi ha colto le dimensioni e l’urgenza della crisi di clima e ambientale sa che bisogna ricominciare da capo. Certo, reddito, occupazione, migrazioni, casa, istruzione, salute e quant’altro non devono assolutamente scomparire dall’orizzonte, anche se di fatto, tranne, in negativo, le migrazioni, sono già sostanzialmente scomparse. Per ricomparirvi in modo costruttivo occorre che venga messa al centro di tutto la mobilitazione per la difesa di clima e ambiente, come condizione ineludibile del perseguimento di ogni altro obiettivo: cosa che non compare nei programmi, e meno che mai nelle scelte e nella pratica quotidiana di alcuna forza politica.
Lo hanno capito, in tutto il mondo, i giovani di Fridays for future e pochi altri (non certo tutta “la Scienza” a cui si appella Greta Thunberg, in gran parte venduta; ma solo i pochi scienziati che si occupano seriamente del clima). Ma anche loro stentano, per ora, a tradurre questa comprensione in iniziative che non siano la mera sollecitazione ad “agire subito” rivolta agli establishment. Cosa evidentemente insufficiente vista la levatura di cui tutti i Governi del mondo hanno dato prova al summit di Madrid, logica conclusione di 25 anni di inerzia e ipocrisie pressoché totali. La cultura della competizione universale a cui sono tutti affiliati, fa di ogni governante un free rider, che aspetta che ad agire siano gli altri per trarne un proprio vantaggio: per il tempo che basta per confermarlo nel suo ruolo e nei suoi privilegi. Senza cultura della solidarietà no se ne esce.
Lo ha capito, forse ancor meglio, il movimento Nonunadimeno che nella denuncia e nella lotta contro i mille aspetti in cui si manifesta il dominio patriarcale sul mondo ha individuato il filo conduttore di un rovesciamento radicale del nostro rapporto con la Terra: quel rapporto che mette in evidenza il nesso inestricabile tra capitalismo ed estrattivismo. Un tema peraltro ben chiaro anche al capo della più patriarcale e maschilista organizzazione del pianeta, papa Francesco: tre fonti a cui le sardine potrebbero attingere, non programmi e proposte politiche immediate, ma cultura e visione.