IL RICATTO

di Francesco Baicchi - 31/05/2022
Emerge così sempre più esplicito il collegamento del ddl concorrenza con molte altre iniziative che non nascondono strategie (forse nemmeno solo nazionali) che puntano a stravolgere l’assetto democratico del Paese, superando la centralità del Parlamento, incapace di orientare la politica del Paese, cancellando la divisione dei poteri

L’approvazione definitiva del cosiddetto ‘ddl concorrenza’, attualmente all’esame del Parlamento, costituirebbe un ulteriore grave allontanamento dal dettato costituzionale, per più di un motivo.

La presentazione annuale del ddl alle Camere è prevista dall’articolo 47 della legge 23 luglio 2009, n. 99, e ha l’esplicito obiettivo di rimuovere gli ostacoli regolatori, di carattere normativo o amministrativo, all'apertura dei mercati, di promuovere lo sviluppo della concorrenza e di garantire la tutela dei consumatori’.

Costituisce pertanto la concretizzazione di una scelta ideologica (perché non dimostrata) che attribuisce al ‘mercato’ e alla competizione fra imprese private una maggiore efficienza rispetto al funzionamento delle strutture pubbliche. Una scelta che non mi pare corrisponda alla esperienza delle privatizzazioni iniziate negli anni ‘90 (pensiamo alle autostrade e al Ponte Morandi, agli aumenti delle bollette, alla Alitalia, ecc...).

Quest’anno il ddl merita una particolare attenzione, anche perché all’articolo 6 impone di fatto il totale affidamento a privati della gestione dei servizi pubblici locali.

Il testo nella versione presentata dal Governo appare assolutamente inaccettabile e perfino scarsamente coerente. Ad esempio, prevede entro sei mesi la formulazione di un

ulteriore decreto legislativo contenente ‘incentivi e meccanismi di premialità che favoriscano l’aggregazione delle attività e delle gestioni …’, che appare contraddittorio con l’obiettivo espresso all’articolo 1 digarantire l’accesso ai mercati di imprese di minori dimensioni’.

Inoltre crea una serie quasi insormontabile di ostacoli alla scelta della gestione diretta dei servizi da parte dei Comuni, fra cui l’obbligo di motivare anticipatamente e con analisi economiche il rifiuto ad affidare a privati i servizi, considerando evidentemente ‘normale’ questa soluzione privatistica. Scelta che quindi viene sottratta all’autonoma decisione dei Comuni

 E’ opportuno ricordare, per inciso, che quando parla di sostegno alla concorrenza la UE intende in genere il divieto di accordi di cartello e di posizioni dominanti e l’esclusione di aiuti di stato che falserebbero la competitività, e non di un privilegio esplicito riservato ad alcuni tipi di impresa su altri. Fra l’altro anche su questo piano la coerenza è assente perché si evita di intervenire su alcuni dei principali elementi distorsivi della competizione, su cui l’Europa è ingiustificatamente in ritardo: gli enormi vantaggi offerti dalla mancata armonizzazione delle normative fiscali, del costo del lavoro e delle politiche ambientali.

Ai Comuni la nostra Costituzione riconosce un ruolo fondamentale per la qualità della vita dei cittadini (art. 118 Cost) e per l’esercizio dei loro diritti: essi rappresentano il livello della organizzazione statale più facilmente raggiungibile, quello in cui dovrebbe essere più ovvio l’esercizio della sovranità’ prevista all’articolo 1 Cost. L’esclusione dalla gestione di servizi essenziali come la distribuzione dell’acqua potabile e dell’energia, la scuola per l’infanzia, certi servizi sociali, ecc… costituisce un ulteriore tentativo di snaturarli e di accentrare il potere, già in gran parte realizzato con l’entrata in vigore della legge elettorale che prevede l’elezione diretta del Sindaco e la concentrazione di tutti i poteri nelle sue mani, privando di fatto il Consiglio comunale di qualunque competenza.

Per rimanere nell’ambito della (scarsa) coerenza costituzionale è opportuno ricordare anche che la nostra Carta è ispirata dalla prevalenza dell’interesse collettivo su quello privato: l’articolo 41 garantisce la libertà di impresa, ma la vincola al rispetto di interessi superiori come la salute, la libertà, la sicurezza. Anche gli articoli 42 e 43 equiparano la proprietà pubblica a quella privata, ma prevedono l’esproprio di questa ultima se necessario per l’interesse generale.

L’articolo 6 di fatto invertirebbe questa gerarchia di interessi, in evidente continuità con il pensiero iper-liberista che portò nel 2013 la J.P.Morgan a attaccare le costituzioni di alcuni Paesi europei colpevoli di tutelare costituzionalmente i diritti dei lavoratori e di riconoscere loro il ‘diritto di protestare se vengono introdotti cambiamenti sgraditi rispetto allo status quo politico’.

Per non parlare della nota lettera Draghi-Trichet che suggeriva al nostro Governo ‘una complessiva, radicale e credibile strategia di riforma, inclusa la piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali …. attraverso privatizzazioni su larga scala’. Suggerimento interpretato dai nostri politici come un ordine ineludibile.

 Da un altro punto di vista è necessario notare che si parla sempre di ‘privato’ alternativo al ‘pubblico’, ma la differenziazione non è la proprietà della struttura, quanto la finalità dell’esercizio della attività, che nel privato è innegabilmente il lucro.

Questo in particolare in molti servizi locali apre una contraddizione: se l’obiettivo è la distribuzione di dividendi e quindi la creazione di plusvalenze, all’erogatore di servizi si presentano alcune possibilità: l’aumento dei volumi di vendita, l’incremento del prezzo di vendita, la riduzione dei costi di esercizio.

Ognuna di queste soluzioni presenta forti contraddizioni con quelli che dovrebbero essere gli obiettivi di chi eroga servizi che incidono sulla qualità della vita degli utenti. Il caso più emblematico è la distribuzione di acqua potabile:

- Per motivi ambientali e di progressiva scarsità, il consumo dovrebbe essere ridotto, anche con incentivi economici, e non aumentato

- Trattandosi di un bene essenziale ne dovrebbe essere garantita a tutti la disponibilità senza oneri, o almeno al prezzo minimo possibile

- Per i motivi del punto precedente l’infrastruttura dovrebbe essere creata e correttamente manutenuta indipendentemente dalla possibilità di recuperare i costi con le entrate. (Pensiamo a raggiungere con i servizi piccole frazioni), come compito primario dello Stato.

 Per rendere più esplicito l’argomento consiglio di consultare i bilanci, non sempre chiarissimi, delle società erogatrici di servizi ‘a rete’, che distribuiscono ogni anno milioni di euro di dividendi.

 Di queste valutazioni sembrano aver tenuto conto i membri della Commissione senatoriale che ha sensibilmente (ma non abbastanza) modificato il testo dell’articolo 6 del ddl, allentando l’obbligo della privatizzazione dei servizi locali. Ma l’accordo apparentemente trovato con questo paziente lavoro di recupero della coerenza costituzionale non ha evitato lo scontro con la potente lobby dei gestori (più o meno abusivi) delle spiagge, che ha rimesso in discussione la coesione della maggioranza di governo. Il presidente Draghi ha minacciato di chiudere la partita ponendo la questione di fiducia, che porterebbe alla approvazione senza emendamenti né discussione, o alla caduta del governo, ma il ricorso alla ‘fiducia’ ci riporterebbe al testo originario del ddl governativo, scandaloso nella sua forzatura privatistica e nella cancellazione delle residue funzioni dei Comuni. Siamo dunque di fronte a un vero e proprio ricatto.

 Emerge così sempre più esplicito il collegamento del ddl concorrenza con molte altre iniziative che non nascondono strategie (forse nemmeno solo nazionali) che puntano a stravolgere l’assetto democratico del Paese, superando la centralità del Parlamento, incapace di orientare la politica del Paese, cancellando la divisione dei poteri, bloccando i tentativi di partecipazione popolare alle scelte, accentrando il potere in pochissime mani grazie a sistemi elettorali incostituzionali, dimenticando l’aspirazione alla solidarietà e all’uguaglianza su cui la Costituzione è nata e sostituendola con il ‘mercato’ in cui vince il ricco che diviene sempre più ricco mentre il povero sempre più povero.

Non abbiamo molto tempo per decidere da che parte stare.

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