Apprendiamo dal Corriere del Veneto (6 marzo) che il mite Sergio Mattarella è sotto osservazione da parte degli aspiranti nuovi padri costituenti. Il professor Bertolissi, costituzionalista e pilastro della squadra veneta per l’autonomia, gli rivolge una critica severa, pur se garbata nella forma: si è molto allontanato dal disegno originario della carica ricoperta.
Non siamo d’accordo. Certo, è vero che alcuni presidenti sono stati più interventisti di altri. Ma è indiscutibile che in tutti i casi il sistema politico avrebbe potuto resistere, volendo. Bastava dire con chiarezza “no” a quei presidenti. Questo vale anche per il caso, a quanto pare assunto come limite, dei cosiddetti “governi tecnici”.
L’EROSIONE DEL RUOLO DEL CAPO DELLO STATO
Nella sua ultima esternazione Mattarella dice l’ovvio: con la promulgazione, il capo dello Stato rende la legge operativa, non ne condivide il contenuto. Ma in realtà sono sotto attacco le sue esternazioni informali più che i poteri formali.
Le parole sulle manganellate agli studenti hanno turbato Palazzo Chigi. E forse non a caso Bertolissi suggerisce che idealmente le esternazioni del presidente dovrebbero essere portate a conoscenza del governo per evitare scostamenti o contrasti con l’indirizzo politico. Il presidente modello della destra parla solo se il governo permette.
Forse siamo a un ritaglio progressivo in preparazione della riforma. Bisogna non solo ridurre il capo dello Stato a poteri sostanzialmente notarili riscrivendo le norme, ma anche imbavagliarlo perché non disturbi il manovratore parlando al Paese. Il primo ministro vagheggiato da Giorgia Meloni potrebbe agevolmente mettere al Quirinale un inquilino compiacente. Ma non si sa mai. E può ben essere un avviso per l’attuale occupante.
Stiamo con Mattarella, senza se e senza ma. Vogliamo, diversamente da Giorgia Meloni e da Bertolissi, un capo dello Stato che possa parlare al Paese anche distaccandosi dall’indirizzo di governo. Con prudenza, certo, ma anche con libertà e fermezza. Diversamente, oggi verrebbe meno un potente richiamo alla coesione e alla solidarietà, scudo per il popolo del Sud che, nella lettura di Calderoli, «chiagne e fotte». Il ministro esprime l’essenza ultima del pensiero leghista sul Mezzogiorno. Così togliendo ogni credibilità alla rappresentazione di una autonomia differenziata che sia garanzia di eguaglianza e di opportunità per il Sud.
DALLA CONSULTA UN AIUTO ANTI-AUTONOMIA
Se la maggioranza tiene, non sarà il Parlamento, privo di strumenti di opposizione insuperabile, a fermare l’autonomia differenziata. Per il disegno leghista, l’approvazione finale del ddl Calderoli verrà entro il voto europeo, aprendo la via da quel momento a intese per la maggiore autonomia, quanto meno nelle materie non-Lep, e per le funzioni non-Lep nell’ambito di materie Lep. Un referendum potrebbe non superare il vaglio dell’ammissibilità, per il collegamento al bilancio dichiarato dall’Esecutivo. Anche in caso contrario, per i tempi tecnici non si giungerebbe al voto popolare prima del 2025, e forse addirittura del 2026. Ribadisco il suggerimento che una o più Regioni presentino ricorsi alla Corte costituzionale, esperibili appena concluso l’iter legislativo.
Un aiuto viene da una recentissima sentenza della Consulta (27/2024). La legge statale ha previsto un contributo di solidarietà temporaneo finalizzato ad alleviare il caro bollette. La Regione Valle d’Aosta, cui va dal 90 al 100% dei proventi tributari maturati nel territorio, ha fatto ricorso chiedendo di acquisire il maggiore introito derivante dal contributo. La Corte ha deciso per l’infondatezza, in specie argomentando di una «necessaria relazione tra risorse e funzioni» e dall’ingiustificato maggiore introito per la Regione, trattandosi di una imposizione del tutto nuova.
INSULTI AL SUD DAGLI AUTONOMISTI, IL MEZZOGIORNO NON RESTI IN SILENZIO
Non sfugge l’assonanza con l’autonomia differenziata. In Valle d’Aosta, Regione a statuto speciale, operano commissioni paritetiche come quelle previste per la gestione delle intese nel ddl Calderoli. E l’acquisizione del maggiore introito derivante, per esempio, dal ciclo economico favorevole è tra le richieste delle Regioni fin dai preaccordi del 2018.
Infine, leggiamo di un documento contro l’autonomia differenziata dell’associazione Polo Sud, recante numerose autorevoli firme della destra. Non poche delle analisi e delle motivazioni sono condivisibili. È una buona notizia. Il levarsi di voci di destra e di sinistra potrà rendere più agevole al Consiglio comunale di Napoli, dopo l’approvazione dell’odg, lanciare, in base allo statuto, una consultazione popolare sull’autonomia differenziata che sia di esempio al Paese. Se non lo farà, dovremo davvero chiederci perché. Non ci sarebbe risposta migliore agli insulti di Calderoli.