L’ANOMALIA

di Francesco Baicchi - 22/02/2021
Occorre prendere atto della non-normalità della situazione, trarne le dovute conseguenze e chiedersi come se ne esce

Definire anomala la situazione del nostro Paese, che in un momento di assoluta gravità ha subito una crisi palesemente motivata da obiettivi inconfessabili e ne è uscito con un governo formato da forze politiche dichiaratamente incompatibili fra loro, è un eufemismo.

Vorrei chiarire subito che il ricorso a una formula che mette insieme forze politiche fino a ieri contrapposte fino a insultarsi reciprocamente, in una situazione di emergenza come l’attuale non mi scandalizza, anche se posso capire l’insofferenza di chi non è d’accordo, assolutamente legittima in base all’art. 67 della nostra Costituzione.

Ma, appunto, occorre prendere atto della non-normalità della situazione, trarne le dovute conseguenze e chiedersi come se ne esce.

Le accuse di eccessiva invadenza rivolte al Presidente Mattarella non mi sembrano giustificate. Se, come pare, le sue consultazioni hanno confermato che rinviare Conte alle Camere sarebbe servito solo a registrare una ulteriore caduta dei suoi consensi parlamentari (col passaggio di Italia Viva al voto contrario), l’alternativa all’attuale governo erano le elezioni anticipate, che, qualunque ne fosse l’esito, avrebbero fortemente indebolito la nostra posizione internazionale in questi mesi cruciali e delineato con tutta probabilità un quadro parlamentare ancora più orientato a destra.

In realtà la vera anomalia della situazione italiana è altrove: nella mancanza di una credibile forza politica di sinistra e ambientalista (non riesco a concepire i due temi separati) e nella caduta della rappresentatività del Parlamento a causa di una legge elettorale che assegna di fatto alla oligarchia dei gruppi dirigenti dei partiti la designazione dei parlamentari, sottraendola alla sovranità degli elettori*. La congiura di palazzo che ha fatto cadere Conte sarebbe stata possibile se i parlamentari che l’hanno realizzata avessero dovuto rendere conto del proprio operato ai loro elettori?

A questo si somma, tutt’altro che indifferente, la dipendenza quasi totale dei mezzi di informazione da alcuni poteri economici, che condiziona pesantemente l’opinione pubblica.

Da questa situazione, in presenza di una crisi sociale e economica che si annuncia gravissima, non si esce certo con una opposizione pregiudiziale, che finisce con l’indebolire la componente meno reazionaria di questo strano governo. Un governo le cui strategie, al di là della prematura beatificazione di Draghi, presentano ancora aree di indeterminatezza e quindi di miglioramento, anche se non è possibile aspettarsi quella mutazione radicale che sarebbe necessaria per imprimere la necessaria svolta, solidale e ambientalista, che ormai tutti, a parole, proclamano indispensabile.

E nemmeno con il passaggio a un regime contemporaneamente presidenzialista e federalista che cancellerebbe la centralità del Parlamento (e con essa la sovranità popolare), affidando all’ uomo della provvidenza di turno pieni poteri e ingigantendo la distanza fra i cittadini delle varie regioni, trasformate in repubblichette delle banane.

Allora forse l’unica via di uscita, ancora una volta, torna nelle mani del “popolo” e nel rispetto del dettato costituzionale. Partendo dalla realizzazione dell’art. 49, che fa dei partiti lo strumento della partecipazione dei cittadini e non semplici comitati elettorali; dalla pretesa di una legge elettorale che consenta agli elettori di scegliere i propri rappresentanti; dalla definitiva cancellazione della cosiddetta “autonomia regionale differenziata”, frutto del delirio di onnipotenza di presidenti regionali (non “governatori”, per favore) ormai privi di controllo grazie alla diretta investitura popolare prevista dall’articolo 116 Cost., pessimamente riformato nel 2001; dal rispetto del 3° comma dell’articolo 3, che assegna alla Repubblica il compito irrinunciabile di realizzare una effettiva eguaglianza fra i cittadini.

Su queste scelte, che determineranno il futuro del Paese e, anche se se ne parla meno, la destinazione dei miliardi indispensabili per la ripresa post-pandemia, sono gli Italiani e le Italiane che devono far sentire la loro voce, magari attraverso le migliaia di comitati, organizzazioni sindacali e associative che li vedono impegnati e che in questi anni per tanti hanno di fatto sostituito il ruolo dei partiti come espressione della passione civile ancora presente in ampi strati della nostra società.

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