Le proposte di Gaetano Azzariti e Antonio Floridia, l’appello di insigni giuristi e quello simile di Montanari e Pallante per un’alleanza almeno tecnica nei seggi uninominali di camera e senato in modo da limitare la vittoria della destra non è stata purtroppo recepita. Con la chiusura, oggi, del deposito dei simboli e la dichiarazione di coalizione è ufficiale quello che era chiaramente intuibile, un accordo generale è impossibile. Nello stesso spirito avanzo con una proposta elaborato con gli avvocati Enzo Paolini e Giuseppe Libutti che ha tempo per essere realizzata fino al 23 agosto 2022, il giorno in cui si chiude la consegna delle liste.
Innanzitutto bisogna ricordare che il nostro è un sistema bicamerale paritario e pertanto per modificare la Costituzione, senza un vasto accordo, occorre avere la maggioranza assoluta nei due rami del parlamento. Se si vuol evitare il referendum costituzionale servono i due terzi in ciascuna camera. E dunque le liste che avvertono il pericolo di una destra straripante e che non temono di restare sotto la soglia nazionale del 3% (soglia a mio avviso illegittima perché in violazione dell’articolo 57 comma primo della Costituzione per il quale Il Senato è eletto a base regionale) per concentrare le forze possono non presentare candidati al Senato, purché al massimo in un terzo dei collegi plurinominali visto che la presentazione in almeno nei due terzi dei collegi plurinominali di ogni circoscrizione è condizione di ammissibilità.
Sarebbe un atto politico unilaterale. Che richiede, però, un coordinamento tra tutte le liste, per non presentare candidature in alcuni collegi plurinominali coincidenti, che contengano collegi uninominali contendibili. Naturalmente all’iniziativa dovrebbe partecipare anche il Movimento 5 Stelle, senza il cui apporto questa forma di desistenza, che comporta comunque una perdita di seggi nella parte proporzionale, non avrebbe effetti apprezzabili.
È proprio il Senato il ramo del Parlamento in cui gli effetti distorsivi del Rosatellum sono maggiori, a causa dei peggioramenti introdotti nella legge elettorale dal governo giallo-verde.
Nella ripartizione dei seggi tra i tre ottavi del maggioritario e i cinque ottavi del proporzionale alla Camera è favorito il proporzionale, mentre al Senato il maggioritario. Se al Senato fossero stati applicati i criteri della Camera – e senza le illegittime norme speciali per il Trentino-Alto Adige/Südtirol – ci sarebbero quindici seggi uninominali meno. La verifica sperimentale si è avuta il 4 marzo 2018, la coalizione di centrodestra con la stessa percentuale ha ottenuto più seggi al Senato che alla Camera, mentre LeU è stata più penalizzata al Senato dove avrebbe potuto contare su dieci senatori e perciò costituire un gruppo autonomo.
La decisione del M5S ci dirà molto sulle intenzioni future. Senza una forma di collaborazione contro il centrodestra il rischio è che quella coalizione raggiunga i due terzi nei due rami del Parlamento. La minaccia alla Costituzione, che si può difendere anche con stratagemmi, non viene in prima battuta da Giorgia Meloni, ma dalla legge elettorale che regala seggi a chi non ha la maggioranza assoluta. Una legge elettorale, non dimentichiamolo mai, approvata grazie a otto voti di fiducia chiesti ed indebitamente ottenuti, in violazione della Costituzione, dal governo Gentiloni.