Come era prevedibile, la destra attacca frontalmente lo sciopero generale di Cgil, Uil e altri sindacati anche di base. I giornali di area trasudano acrimonia e irritazione. Libero, contestando le cifre della partecipazione, ci informa di “piazze piene sì, ma di studenti”. Siamo al ridicolo. In generale, non si punta a confutare le ragioni della protesta, ma piuttosto si censura che sia stato uno sciopero contro la manovra e contro il governo, quindi politico. Ed è davvero singolare, perché lo sciopero politico è certificato da mezzo secolo come protetto in Costituzione dall’art. 40.
Correva l’anno 1974. Il 19 dicembre con la sentenza 290 la Consulta dichiara incostituzionale l’art. 503 del codice penale “nella parte in cui punisce anche lo sciopero politico che non sia diretto a sovvertire l’ordinamento costituzionale ovvero ad impedire o ostacolare il libero esercizio dei poteri legittimi nei quali si esprime la sovranità popolare”. La Corte aveva già in precedenti pronunce collocato lo sciopero tra i diritti costituzionalmente protetti. Ma la sentenza 290 disegna con chiarezza la protezione accordata allo sciopero senza fini economici o contrattuali – quindi politico in senso proprio – e la esclude solo nei casi specificati. In sintesi, le parole sovvertire, impedire, ostacolare ci dicono che la protezione viene meno solo quando lo sciopero politico risulta lesivo della Costituzione.
Leggiamo nella sentenza che la questione era sorta per uno sciopero indetto contro “il revanscismo fascista diretto ad annullare le conquiste dei lavoratori e a bloccare le ulteriori avanzate popolari sulla via del progresso e delle riforme civili; per la difesa e la integrale applicazione della Costituzione; nonché per dare pubblica testimonianza di attaccamento ai valori della resistenza e della democrazia contro ogni ritorno a metodi e ideali che la storia e la coscienza civile del popolo italiano hanno condannato”. Non poche delle motivazioni di quello sciopero possono vedersi riflesse nella condizione politica attuale. Chiediamoci dunque se lo sciopero del 29 novembre, contro la manovra e contro il governo, sia pienamente nell’alveo della protezione costituzionale. La risposta è: certamente sì. E – come leggiamo su queste pagine – non è un dispetto, ma un diritto. Si mostra assolutamente strumentale la insistita lettura della “rivolta sociale” evocata dal segretario Cgil Landini come “rivolta”, senza il “sociale”. Landini eversore e rivoluzionario? Ma quando mai un sindacato come la Cgil ha praticato, sollecitato, auspicato la violenza? Se mai, l’ha subita.
Lo sciopero generale arriva per l’impossibilità di un confronto costruttivo tra sindacato e governo. È l’unico mezzo rimasto per operare una pressione sull’esecutivo e difendere i lavoratori e i pensionati che il sindacato rappresenta. Questo non è certo “impedire o ostacolare il libero esercizio dei poteri legittimi”, come dice la Consulta nel 1974. Al contrario, si volge – come leggiamo ancora nella sentenza – al fine di “tutelare interessi che possono essere soddisfatti solo da atti di governo o da atti legislativi”, e rientra senza se e senza ma nella protezione costituzionale.
Non sorprende, allora, lo scomposto attacco della destra allo sciopero. Si iscrive nell’orientamento di fondo che punta a comprimere i diritti e la partecipazione democratica, nell’ambito di una rilettura della Costituzione volta a negarne le origini e a stravolgerne l’architettura. Un orientamento che si manifesta nella quotidiana pratica di governo, dalle manganellate agli studenti censurate da Mattarella al ddl Sicurezza, e ancor più nelle proposte di riforma. Premierato, autonomia differenziata, giustizia disegnano un paese in cui si concentra il potere nei titolari monocratici di cariche esecutive, si marginalizzano le assemblee elettive, si indeboliscono i checks and balances e le garanzie vitali per la democrazia, si comprimono libertà e diritti fondamentali.
La chiave di volta? Non si deve disturbare il manovratore. Uno sciopero generale ovviamente disturba moltissimo e quindi va sminuito e demonizzato. Lo stesso vale per la valanga di firme per il referendum abrogativo sull’autonomia differenziata. Una legge che presenta tra l’altro per il governo il valore aggiunto di frantumare in prospettiva lo strumento principale del sindacato come soggetto politico: il contratto nazionale. La destra ha voglia di “democratura”. Dunque, è bene scendere in piazza.
Abbiamo colto una dichiarazione di Landini di voler “rivoltare il Paese come un guanto”. Ricordiamo lo slogan elettorale di Meloni nel 2022: “Rivoltare il Paese come un calzino”. Delle due l’una. O Meloni è eversiva come si dice di Landini, o il segretario si espone a un’accusa di plagio. Con l’aria che tira, temiamo per Landini.