Alle “trombe” della maggioranza di destra, che ha approvato il ddl Calderoli al Senato, occorre rispondere con una dura opposizione alla Camera e se necessario con le “campane” del referendum per abrogare il ddl Calderoli. Era prevedibile, dopo il patto tra Salvini e Meloni sull’approvazione dell’autonomia regionale differenziata e del premierato, che accadesse, ma l’Italia e la sua democrazia pagheranno un prezzo pesante se questi due obiettivi diventeranno realtà.
I numeri in Parlamento, purtroppo, consentono alla maggioranza di procedere. Solo le sue contraddizioni, che non sono poche, danno la possibilità di bloccare questa deriva scellerata. Il senatore Balboni, presidente della Commissione affari costituzionali, meloniano doc, ha mostrato quanto forti siano le contraddizioni di Fdi affermando che era ed è contrario al titolo V, ma che ora non vuole modificarlo perché approvato da un referendum popolare in cui lui era minoranza. Si tratta di una evidente contraddizione logica come ha replicato meritoriamente con forza il senatore De Cristofaro.
Dopo il sì del Senato, bisogna battersi alla Camera
Ora il disegno di legge Calderoli passerà alla Camera e questa è l’occasione per una opposizione senza quartiere. Non si tratta di un passaggio formale. Occorre rilanciare l’iniziativa per tentare di bloccare l’approvazione definitiva di un provvedimento sbagliato e regressivo: basterebbe anche un solo emendamento per rinviarlo al Senato. La maggioranza proverà a forzare la mano, subendo il ricatto della Lega, e non si può escludere che ricorra perfino al voto di fiducia. Parte dell’informazione sembra dare per scontata l’approvazione, vedremo, per ora non è ancora così. Ma dare per scontato è un modo per scoraggiare il movimento contro che è molto cresciuto e può ancora estendersi.
Per questo è necessario continuare ad informare e favorire la mobilitazione e la battaglia politica per fare conoscere i pesantissimi rischi se questa proposta diventasse legge dello Stato, per fare crescere la consapevolezza che occorre bloccarla. Non si tratta solo del fondamentale pericolo che a una parte decisiva dei cittadini e delle Regioni vengano ridotti i diritti e le strutture per garantirli, ma di un colpo all’Italia tutta, compresa quella parte a cui è stato raccontato che la devoluzione dei poteri porterebbe loro vantaggi. In realtà l’Italia intera risentirebbe pesantemente di un dualismo crescente. Diventerebbe meno giusta, meno solidale e meno concorrenziale per la frammentazione delle norme per le imprese che ne limiterebbero e intralcerebbero la concorrenzialità.
Qualche dubbio è penetrato in una parte della maggioranza, tanto da spingerla a tentare di correre ai ripari facendo approvare emendamenti al testo iniziale che cercano di evitare un aggravamento delle divaricazioni già esistenti tra Regioni e tra aree del paese. Peccato che siano norme mal scritte e inefficaci. Alcuni concetti inseriti non saranno efficaci e non realizzeranno gli obiettivi dichiarati. Infatti, questa è una legge ordinaria che non può impedire che una legge successiva – come sono quelle rafforzate che dovrebbero approvare le intese tra regione e governo – cambi le carte in tavola, sostituendole o derogando. E’ lo strumento scelto per mettere precisi confini all’autonomia che è sbagliato e insufficiente.
L’unico modo per garantire che le regole siano in grado di vincolare qualunque legge consiste nell’inserirle in Costituzione, come del resto abbiamo tentato con la proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare. Ma i “preoccupati” della maggioranza non hanno avuto il coraggio di fare la scelta di inserire le modifiche nel titolo V della Costituzione, in particolare negli articoli 116 e 117 come noi abbiamo proposto, che oggi hanno formulazioni ambigue o sbagliate, che hanno permesso a Calderoli di dare sue interpretazioni, fino a contraddire i principi fondamentali della Costituzione che sono incompatibili con una legge che potrebbe rendere impossibile per i cittadini avere gli stessi diritti in ogni parte del nostro paese e finendo con il mettere in crisi la stessa unità nazionale.
E’ il momento di modificare il titolo V della Costituzione
A questo scopo era stata presentata la proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare per modificare gli articoli 116 e 117 che la maggioranza al Senato si è rifiutata di fare discutere prima del ddl Calderoli, come logica e razionalità avrebbero consigliato e poi ha bocciato, facendo un clamoroso autogoal. Se parte della maggioranza, segnatamente Fratelli d’Italia, voleva impedire scivolamenti pericolosi negli effetti del ddl Calderoli avrebbe dovuto lei stessa proporre modifiche al titolo V inserendo alcuni vincoli che a quel punto avrebbero condizionato senza possibilità di deroga. Ad esempio il vincolo inserito nel ddl per le Regioni che chiedono più poteri, e soprattutto più soldi: che le stesse risorse debbono andare a tutte le altre è modificabile da leggi successive. In Costituzione sarebbe un vincolo reale, in una legge ordinaria può essere aggirato.
E’ importante che i senatori dell’opposizione abbiano denunciato questo rischio, richiamando il disegno di legge di iniziativa popolare, ma non sono stati ascoltati dalla maggioranza che ha fatto del patto per la devoluzione di poteri alle regioni, tra Fratelli d’Italia e Lega, un punto (per ora) intangibile.
Il fatto politico nuovo è che la proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare ha ricevuto il sostegno dell’opposizione. I 106.000 firmatari del ddl costituzionale popolare possono essere soddisfatti di avere contribuito a individuare nella modifica del titolo V un obiettivo necessario. Questo risultato non era scontato, ed è importante perché porta oggi tutta l’opposizione alla consapevolezza che il titolo V del 2001 va superato in alcune parti per bloccare scivolamenti pericolosi come avviene con il ddl Calderoli. Ci sono, insomma, le condizioni politiche e sociali per arrivare alla richiesta di abrogare questo scempio, se diventerà legge, con referendum popolare. Oggi occorre rilanciare le modifiche al ddl Calderoli alla Camera e spingere l’opposizione parlamentare a fare crescere la sua pressione sulla maggioranza mettendo in luce i rischi e i pericoli di questa scelta.
Il grande trucco nella distribuzione delle risorse
Il trucco nella legge c’è ed è relativamente semplice. Riguarda non solo i poteri ma le risorse che Regioni come Lombardia e Veneto vogliono trattenere in misura maggiore dal prelievo fiscale. E’ del tutto evidente che se i quattrini da impiegare per riequilibrare le differenze tra le Regioni non possono crescere come afferma il ddl Calderoli e ad alcune di loro – Lombardia e Veneto anzitutto – verranno dati maggiori poteri e risorse, con la motivazione che lo stato già impiega quelle risorse per gli scopi indicati, le altre rimarranno con quello che hanno attualmente, cioè sotto le macerie finanziarie della spesa storica. In questo modo la distanza tra le regioni crescerebbe perchè quelle che non hanno risorse da trattenere hanno bisogno di un intervento di solidarietà nazionale con fondi che vengono esclusi in radice proprio dal ddl che dovrebbe prevedere le risorse necessarie.
Quindi il trucco per dare soldi ad alcune Regioni e ad altre no c’è, ma si tenta di nasconderlo. Perché una parte della maggioranza ha accettato questa via, rischiando di compromettere – ad esempio – l’istruzione pubblica nazionale che è un punto fermo dei diritti insieme della coesione sociale? Perché la contropartita è l’elezione diretta del Presidente del Consiglio, a cui tanto tiene Giorgia Meloni (questo è il vero scambio) che la vede come l’inizio di un cambiamento profondo della nostra Repubblica e della nostra Costituzione, da cui dovrebbe emergere come figura pigliatutto il capo del governo, riducendo drasticamente i poteri del Presidente della Repubblica e il ruolo fondamentale del Parlamento, costretto ad approvare le decisioni del governo o ad andare a casa.
Si tratta di un accentramento di poteri nelle mani del capo del governo mai visto e le “api operaie” (i parlamentari attuali della maggioranza) stanno già portando il loro contributo per accrescerne i poteri – come con il ddl Calderoli – prima ancora che sia approvata la modifica costituzionale del premierato. Vittima di tutto questo è l’Italia che verrà azzoppata da 2 modifiche sbagliate e controproducenti delle istituzioni del nostro paese. Poteri maggiori ad alcune Regioni concepite come traino, mentre le altre saranno lasciate al loro destino, e accentramento nelle mani del Presidente del Consiglio, riducendo drasticamente i poteri di indirizzo e controllo del Parlamento sul Governo e sul suo capo.
Un’altra Repubblica? Non solo. Un’altra Costituzione, superando quella democratica del 1948 basata sulla divisione dei poteri, nata dalla Resistenza che ha cacciato il fascismo e ridato dignità all’Italia.
Alfiero Grandi