LA MIA FORMAZIONE POLITICA E QUEL PERIODO CHIAMATO “IL 68”

di Umberto Franchi - 18/05/2022
Articolo tratto dal mio libro autobiografico “la Vita e il Sogno”

Nell’estate del 65, poco più che sedicenne ,  Pasqualino mi fece conoscere Lidamo. Era un uomo di circa 45 anni ex partigiano che gestiva  un negozio di fiori e faceva ghirlande funebri.

Teneva sempre nascosto ed oliato un mitra. Diceva:  “ prima o poi dovrà essere riusato perché la resistenza non poteva essere tradita”. Con lui abitava uno zio ex dipendente  Comunale in pensione, vecchio comunista.
Con Lidamo cominciammo a parlare dei mali della società italiana, dello sfruttamento nelle fabbriche, della discriminazione, della pace, della superiorità della società socialista rispetto a quella capitalista.
  Mi diede molti libri da leggere, mi fece conoscere altri compagni della Federazione Giovanile Comunista Lucchese.
   Questa tematica mi interessava molto. Cominciai a leggere la Storia dei Comunisti Italiani, le teorie Marxiste e Leniniste. La rivoluzione dei Boscevichi in Russia.
  Si… per me era nata una nuova luce: li vedevo come la possibile risurrezione di una società nuova, senza più le tante ingiustizie sociali che da piccolo mi avevano fatto patire la fame, senza più frontiere, senza più sfruttati, senza più egoismi, senza più discriminazioni e senza più dover fare il duro per avere rispetto.
    Mi iscrissi al Partito Comunista. Leggevo ogni sera ed andavo a tutte le riunioni di partito. Sognavo l’avvento del  Comunismo in Italia con un ruolo dello stato che doveva abolire la proprietà privata, pianificare l’economia,  dando a tutti i suoi cittadini lavoro e benessere sociale, secondo i propri bisogni e secondo le proprie capacità professionali, abolendo capitalisti, lobbie, le caste… “non più sfruttati ne sfruttatori” Vedevo nell’Unione Sovietica  un esempio da imitare.
  Iniziò quindi per me  un periodo nuovo con un impegno politico e sociale molto sentito, che mi faceva analizzare “le contraddizioni del sistema” ed individuare le cose da fare attraverso il “centralismo democratico” cioè le decisioni li prendeva il Comitato centrale del Partito, esse  potevano essere discusse nelle sezioni, riprese ed integrate negli atti decisionali  del gruppo Dirigente Nazionale , ma dopo  andavano applicate.
Sia nelle discussioni di allora che  come successivamente…ho sempre,  mantenuto una mia autonomia di giudizio e di azione, criticando i vertici se deviavano dalla linea marxista Leninista combattendo sia i burocrati stalinisti del partito sia  quelli che consideravo revisionisti .
 Con il Partito Comunista , Uscivo da una visione individuale e scoordinata sia della società che delle problematiche che ogni giorno dovevo affrontare… dando   un’unica spiegazione politica alla realtà di operaio proletario che vivevo e di sfruttato. Tutto i mali sociali, del lavoro, le guerre, l’inquinamento ambientale, lo sfruttamento, l’arroganza, il ladrocinio ecc…Tutto  dipendeva dal marcio presente nella società capitalista… quindi diveniva prioritario l’impegno politico e sociale  per cambiare la società, anche a costo di pesanti  rinunce ed al proprio privato.
 Un giorno , assieme ad un altro giovane Compagno andammo a distribuire in una scuola superiore il giornale della federazione giovanile comunista (Fgci). Il giornale si Chiamava  “Nuova Generazione”. Sapevamo che in quella scuola c’èrano anche studenti  fascisti che aderivano al MSI. Ne distribuimmo due grandi pacchi eravamo molto contenti… quando da una finestra del piano superiore si affacciò uno studente dicendoci: zecche comunisti, ecco i vostri giornali e c’è li tirarono tutti in testa.
Pensavo spesso: sono solo, sento una  solitudine ed una tristezza che mi macina la mente ed il corpo…non mi bastava l’aver trovato “il partito”… spesso cercavo di scaricare la mia solitudine con la moto viaggiando ad alta velocità per le strade senza nessuna meta.
    Nell’autunno del 1965, ci fu l’inaugurazione dell’unica Casa del Popolo fatta nella provincia di Lucca. Il locale che attualmente è divenuto solo un ristorante, è  collocato in un località chiamata Camigliano, vicina a Segromigno, zona calzaturiera.
All’epoca,  la struttura era costituita da una palazzina molto bella con un bar, un grande salone per i dibattiti o per ballare ed altre stanze. Gli abitanti della zona di Camigliano e Segromigno, erano divisi proprio come in quei film di Don Camillo e Peppone.
Quelli democristiani  andavano ad un altro circolo ACLI,  sempre locato nel Paese di Casigliano e   chiamavano quelli che frequentavano  la Casa del Popolo  “I DIAVOLETTI”.  Dicevano, era un ritrovo di comunisti senza Dio.
Quella Costruzione  fu costruita solo dagli operai del luogo, iscritti ai partiti della sinistra dell’epoca (PCI - PSI - PSIUP) sia tramite sottoscrizioni,  che attraverso il lavoro volontario svolto  gratuitamente il sabato e la domenica.
 Per festeggiare l’evento, il Partito (PCI) organizzò un agita all’isola d’Elba.
 Nell’autobus c’èrano circa 50 Compagni, guidati dal Sodini, una bravissima persona che faceva l’operaio calzaturiero specializzato modellista  e che era il segretario della sezione del PCI di Camigliano.
  Tra i compagni c’èra un ragazzo di circa 25 anni che si chiamava Paolo Giurlani. Era una giornata settembrina ancora calda ed era    lui   l’unico che portava il vestito con la cravatta.
  Il Giurlani non era figlio di operai, ma il padre aveva un’impresa di produzione ed imbottigliamento dell’olio di oliva. A quel tempo si diceva figlio di “piccoli borghesi”. Lui era stato in seminario ed aveva fatto il prete, ma dopo poco tempo, era divenuto un acceso anticlericale e comunista convinto.
    Quel giorno, verso le 10 del mattino  sbarcammo al porto dell’isola d’Elba.
 Io  Volevo dimenticare la mia ex ragazza Giovanna, per cui  andai subito in spiaggia in cerca di ragazze. Vidi sdraiata sulla spiaggia una ragazza bellissima , sicuramente più grande di me ed iniziai a parlare con lei della bellezza del mare, della musica, dell’amore.
Lei mi disse che era una ragazza madre, aveva un figlio di 3 anni e mi fece vedere i segni sulla pancia della gravidanza avuta. Ma la mia conversazione con lei fu interrotta quasi subito dal Giurlani, il quale mi venne a chiamare per dirmi di andare subito nel porto con lui, perché c’era grande sorpresa. Andai via mal volentieri… ma dissi alla ragazza che sarei ritornato da lei più tardi.
  Nel porto c’èra ancorata una petroliera sovietica con una grande falce e martello disegnata sulla fiancata. Ed una bandiera rossa. Il Giurlani si mise a sedere sul selciato vicino alla petroliera sovietica e stette tutto il giorno ad ammirarla, senza mai mangiare, grondando di sudore per il gran caldo, quasi in estasi. Lui aveva una nuova fede nel comunismo ed il suo paradiso era lì.
  Agli inizi del  1966 andai a lavorare in un calzaturificio che occupava circa 50 addetti, (mentre la sera studiavo) in una località chiamata Segromigno. In quel luogo ci lavorai per oltre 4 anni. Non perché mi piaceva il lavoro… ma solo  per il bisogno dei soldi che c’era in casa .
   Il lavoro che mi fu assegnato era quello di tagliare  con una macchina elettrica o con una fustella delle suolette dove dovevano essere infilate delle tomaie e dopo inviate alla catena di montaggio per essere incollate sulla forma diventando una calzatura .
  Il lavoro non era gratificante e la padrona ed il padrone in continuazione incalzavano dicendo che bisognava essere veloci. In poco tempo diventai velocissimo ed in 4 ore  facevo quello che gli altri svolgevano in 8 ore.
  Questo fatto veniva molto apprezzato dai titolari dell’azienda ma non in termini retributivi e professionali. Il salario percepito  era di circa 1000 lire giornaliere.
    La realtà lavorativa delle aziende calzaturiere della Zona di Segromigno (circa 100 aziende) era composta da piccole imprese che basavano la propria competitività sulla riduzione dei costi a partire da quello del lavoro. Producevano cercando la mano d’opera fuori dalla Zona. Essa proveniva dai paesi della Garfagnana . Le aziende della Zona erano tutte attrezzate con dei pulmans che andavano a ritirare i lavoratori al mattino presto nei propri paesi distanti anche 80 chilometri, per poi riportarli nelle loro case la sera tardi.
Producevano  una calzatura di qualità medio bassa . All’epoca le aziende applicavano paghe inferiori a quelle del Contratto nazionale, i lavoratori venivano assicurati per 20 ore settimanali ma l’orario medio era di 50 ore, vi erano aziende che a natale anziché dare la 13° mensilità davano una bottiglia di spumante ed un panettone. La consulenza alle aziende calzaturiere veniva tenuta da un Funzionario dell’Ufficio del Lavoro di Capannori, che anziché fare applicare le regole contrattuali in vigore, dietro lauto compenso, insegnava ai “padroni” il come fare per evadere le leggi . Ciò in netto contrasto con il suo ruolo pubblico che avrebbe dovuto essere al servizio di chi lavora e non dei datori di lavoro.
  Appena entrai mi davano una paga di 1000 lire giornaliere, ma visto che lavoravo con velocità quasi doppia rispetto ad altri, dopo alcuni mesi  decidevo spesso di andare in ufficio per chiedere l’aumento di paga minacciando in caso contrario di licenziarmi.
Questo fatto mi porto nell’arco degli anni ad avere uno stipendio superiore di circa un terzo rispetto alla maggioranza degli altri lavoratori.  Non ero il solo , vi erano anche altri operai della Zona professionalmente più elevati (modellisti e montatori) che avevano paghe più alte della media. 
   Ottenni anche una certa flessibilità nel timbrare il cartellino (non mi venivano decurtati i minuti di ritardo nell’entrare al mattino) che di norma recuperavo a sera  ed  anche una certa libertà nello svolgere il lavoro.
Ma la situazione di sfruttamento non mi piaceva ed io in qualità di comunista iscritto al PCI, sentivo sempre il dovere della solidarietà di “classe”  e sia nel lavoro che di nascosto, invitavo gli altri a svegliarsi e a richiedere i loro diritti.
  Le mie serate erano divenute scialbe, le passavo nel vicino bar giocando a carte, discutendo di politica e studiando il corso di “Radio elettronico”.
   Nel lavoro non mi sentivo per niente realizzato e decisi di chiedere l’assunzione presso la Cucirini in qualità di meccanico. Andai alla “grande fabbrica” e mi dissero che per essere assunto come meccanico avrei dovuto fare una prova chiamata “capolavoro”.
Così una mattina mi recai all’officina meccanica della Cucirini. Il tecnico preposto mi diede due pezzi di ferro, dicendomi che per superare la prova, avrei dovuto fare nel tempo di 4 ore, un incastro a squadra.
Misi un pezzo di ferro nella morsa, presi sega e lima ed iniziai il mio “capolavoro” lo finii in due ore e trenta ed era perfetto. Il capo officina si complimentò con me dicendomi: “bravo Franchi ora ti aspetto nella mia officina vedrai che verrai subito assunto”.
  Ma il tempo passava e nessuno mi chiamava. Dopo 2 mesi, decisi di tornare a sentire la Direzione della Cucirini sui motivi del ritardo visto che il capolavoro era perfetto ed avevo avuto assicurazione della mia assunzione dal Capo Officina. Fui ricevuto dal Capo del Personale il quale senza troppi rigiri di parole mi disse: noi prima di assumere un operaio ci informiamo su di lui, abbiamo i nostri informatori pubblici e privati. Essi  ci hanno riferito che lei è un militante comunista, che affigge manifesti del PCI sui muri e noi non assumiamo i comunisti.  Ci dispiace ma queste sono le regole.
Rimasi malissimo e crebbe il mio odio “di classe” contro il potere padronale. La sera andai al bar e dissi a tutti quello che mi era successo. Ci fu una grande risata e quasi tutti dicevano: hai visto cosa succede a mettersi in mostra con il partito comunista? Te la sei voluta… solo uno mi disse : dai non te la prendere vatti a fare una “trombata”… e io risposi si… con chi? Non ho nessuna.
    Lui si Chiamava Giuliano, aveva circa 30 anni e gestiva una polleria al mercato di Lucca:  Sposato con due bambini ma grande puttaniere.  Quella sera caricò me ed un altro ragazzo della mia età sulla sua fiat millecento dicendoci: andiamo vi porto io a sverginarvi. Ci porto da una  bella puttana di circa 40 anni pagando 5000 lire. Appena vidi la sua fica gli saltai addosso quattro o cinque pompate e venni subito. Ma ero molto contento di come era finita la giornata…
  Nel mese di settembre del 1966,  mentre mi trovavo al solito Bar, venni a sapere che la sera prima, Giorgio, mentre si stava recando al lavoro presso un’azienda tessile di Porcari, dove doveva svolgere  il turno di notte, si era fermato  ad un passaggio a livello chiuso  con la sua Lambretta, ed era  stramazzò a terra tremante. Non fecero nemmeno in tempo a chiamare l’ambulanza che Giorgio era già morto.
   Fui molto addolorato della sua scomparsa avvenuta all’età di 27 anni. Non solo perché  lasciava la propria moglie con un figlio piccolo, ma anche perché con lui se ne andava un pezzetto della mia storia di vita. Un amico di un breve periodo abbastanza gioioso, scanzonato  e senza molti pensieri che avevo vissuto dai 15 ai 17 anni.
  In quell’anno il PCI sviluppò una grande campagna contro la guerra in Vietnam ed io partecipai a molte manifestazioni  e “carovane” per la pace.  Era anche il periodo dei complessi canori, dei capelloni dei Beatles e Rolling  Stone. Tutti avevano una vena fortemente innovativa che attraeva noi giovanissimi impegnati a sinistra.
  Ma il periodo più inteso vissuto in quell’anno, fu sicuramente l’alluvione di Firenze all’inizio di novembre . Era il 3 novembre e la televisione faceva vedere la piena del fiume Arno che cresceva. Il  giorno dopo accadde tutto quello che temevamo accadesse: lo straripamento del fiume.
Lo vedemmo quasi in diretta e fu veramente traumatizzante. Il 5 novembre sapemmo dal partito che veniva a Firenze Fanfani per portare la solidarietà del governo. Ma per noi e per molta gente fiorentina il governo doveva intervenire prima facendo i lavori di prevenzione sul fiume.
 Ci mettemmo gli stivali sui gins, una giacca  e decidemmo quindi di partire da Lucca in 12, dieci ragazzi e due ragazze iscritti al PCI, con due casse di pomodori da tirare a Fanfani. Arrivati a Firenze trovammo la desolazione più totale. La gente non aveva più lacrime per piangere. Nelle strade e nelle piazze sommerse ancora dalle acque vi era di tutto: auto, mobili, libri… un disastro.
    I musei e la biblioteca Nazionale erano ancora allagati e la gente cercava di salvare quello che poteva. Allora senza parlare e  con le lacrime agli occhi prendemmo delle pale che i pompieri avevano ammucchiate per terra  andammo a spalare la melma fino a tarda notte. Restammo a dormire nelle auto e l’indomani ci spostammo presso la Biblioteca Nazionale. Pensavamo di essere in pochi, invece trovammo già moltissimi ragazzi e ragazze, anche stranieri che avevano iniziato raccogliere e lavare i libri sporchi di mota per cercare di salvarli dalla sicura distruzione.
  Restammo a Firenze per 3 giorni, lavorando contro il tempo per cercare di recuperare più libri possibili.
   Il mercoledì 9 novembre ripresi il mio lavoro. Il padrone dell’azienda assieme alla padrona mi chiamarono in ufficio e mi dissero: sei stato assente senza giustificarti, potremmo licenziarti, se non lo facciamo e solo perché sei uno che lavora, ma non lo fare più perché la prossima volta sarai licenziato. Mi giustificai dicendo che ero stato a Firenze per cercare di salvare opere letterarie di valore dall’alluvione, ma loro mi risposero a tono: a noi non c’è ne frega niente… siamo un’azienda che deve andare avanti… non siamo mica un’opera pia. Io pensai ma come fanno i padroni ad essere così  “beceri” ignoranti e ad avere tanti soldi e grandi ville?  Possono farlo solo perché hanno i mezzi di produzione e sfruttano chi lavora. Così si accendeva il mio odio contro le loro ingiustizie.
 Dentro di me vivevo un  grande senso di solitudine che mi porto dietro a tutt’oggi. Una solitudine generata dalla ricerca dell’amore e della giustizia , dalla necessità di realizzare l’essere che c’è in me e che reclama un mondo diverso, ma anche una umanità meno egoista. Pensavo:
 Si…è l’egoismo… l’apparenza… il potere di sopraffazione…il dispregio verso chi soffre… l’indifferenza verso i più deboli…l’arroganza, lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo…che devo combattere. Ma  cosa fare per cambiare la realtà del mio Pese?  del Mondo? Non ci è riuscito nemmeno Gesù  Cristo 2000 anni fa !
  La  sensazione impotenza rispetto agli eventi che invece vanno avanti molto spesso nel senso contrario rispetto a quello che vorremmo, non solo riempiono l’anima di solitudine, ma ti fanno sentire diverso anche rispetto alla gente che ti circonda, con un senso di orgoglio per quello che sei e gli altri non sono.
Pensavo che era tutto falso… contava solo il Dio soldo e l’apparire.
Nel 1967, fui chiamato alla visita militare, in una caserma di Lucca per essere arruolato. Mentre aspettavo il mio turno per essere visitato, mi misi a leggere l’Unità. C’èra un ragazzo che evidentemente  aveva idee di destra ed esclamò a voce alta: “o gente qui c’è uno sporco comunista “ !
Io gli risposi sei tu ad essere uno sporco fascista! Ne venne fuori un grande diverbio che finì quando un graduato medico che aveva seguito la scena venne da me e disse: vieni comunista che ti visito.  
   Il medico vide la mia vena varicosa e mi fece ricoverare all’ospedale militare di Livorno per ulteriori accertamenti. Anche all’ospedale di Livorno ci andai con l’unità in tasca, per me era diventata un simbolo di diversità e di coraggio rispetto a quelli che non avevano idee politiche o tacevano per paura di essere discriminati.
 All’ospedale di Livorno ci rimasi tre giorni, al terzo giorno un medico mi rilascio un certificato che diceva: Riformato a causa di una grossa vena varicosa alla gamba sinistra.  Erano i tempi di “Gladio” e del primo tentativo di colpo di Stato del generale De Lorenzo. Non so quindi se il motivo era veramente quello o invece se nell’esercito non volevano sobillatori comunisti !
 Comunque ritornai a casa felice di avere scampato di fare il militare.
  Il 12 dicembre del 1968, mio padre tardava a tornare dal lavoro, erano le 21 e la cena era nel piatto oramai fredda . Sentimmo suonare il campanello della porta ed andai ad aprire . Con grande stupore vidi un prete. Era il prete del Paese di Porcari, che io non conoscevo in quanto da molto tempo non andavo più in chiesa. Ci disse che era successo un incidente a mio padre e che stava male. In realtà era già morto. Andai di corsa all’ospedale assieme a mio cognato Luigi e nella stanza mortuaria vidi mio padre con il cranio rotto ed una grande smorfia di dolore sul viso che non dimenticherò mai.
Quella sera pioveva e mentre tornava dal lavoro con la sua moto Guzzi, probabilmente gli hanno abbagliato la vista con i fari di un altro mezzo, lui ha sbandato ed è andato a sbattere con la testa nello spigolo di un muro lasciando il cervello per terra. Così dopo 32 anni faceva esattamente la stessa morte che aveva evitato di fare con il suo amico 32 anni prima.
Questo è la sintesi  di un intervento che feci ad una riunione della Federazione del PCI nell’ottobre del 1969: per costruire il socialismo in Italia, il partito si propone di avanzare verso il socialismo in una via democratica che è una linea di lotte e di massa e pensa che si debba costruire la società socialista con il contributo di forze politiche, di organizzazioni, di partiti, diversi (non socialisti). Pensa che nelle nostre condizioni l’egemonia della classe operaia debba realizzarsi in un blocco di potere di un sistema politico pluralista. Questo modello di socialismo, se così lo possiamo chiamare, non è altro che un compromesso con altre forze conservatrici e la cosi detta teoria delle riforme di struttura,  la teoria della pacifica transazione della avanzata al socialismo nella democrazia e nella pace, non è altro che la teoria e il programma della pace tra le classi nella società capitalista. Questa linea non contiene niente circa l’avanzata verso il socialismo, c’è solo pace tra le classi, niente affatto transizione. Secondo il mio parere, il Partito Comunista, partito rivoluzionario fondato sul Marxismo Leninismo, scienza della rivoluzione proletaria, si deve sviluppare nella pratica rivoluzionaria adatta alle nuove condizioni storiche…
Arrivò invece il 12 dicembre del 69. Ci furono le bombe della Banca dell’Agricoltura di Piazza Fontana a  Milano, con 12 morti, ed altre bombe a Roma messe dai servizi segreti di Stato (SID) in combutta con la CIA americana e con  i fascisti Italiani.
  Quelle bombe furono messe per  incolpare la sinistra e  fare credere al popolo che le lotte in atto anziché portare più diritti e giustizia sociale  avrebbero portato alla rovina l’Italia e quindi che andava represso ogni movimento di rivolta sociale..
  Il governo dell’epoca , era composto dalla DC e partiti minori come il PRI PSDI  :
 In quel contesto  la borghesia rappresentava anche  i poteri forti capitalistici, ed i servizi segreti “deviati” macchinavano in combutta con la CIA USA ed i fascisti locali sul come fermare il movimento di rivolta nato nel 68.  . Per loro il nemico da combattere era il Partito Comunista, la CGIL e tutti i movimenti di sinistra che stavano nascendo. Per questo subito dopo gli attentati dal 12 dicembre 69, decisero di fare ricadere la colpa su alcuni movimenti di sinistra con particolare riferimento  agli Anarchici. Per questi motivi,  prima Suicidarono Pinelli e dopo Misero in galera Valpreda.
Solo dopo 30 anni è emersa la verità, ma purtroppo come avverrà anche per altre stragi e vicende oscure della storia d’Italia: Gladio, Ustica, Bierre, Italicus, Moro, Bologna, Brescia, ecc…  sia i fascisti di Ordine Nuovo che  avevano messo la bomba , sia i loro mandanti, sono ancora liberi ed impuniti. Questo a causa della disciplina sul segreto di stato, che sembrava finalmente potesse essere abolito da una nuova legge entrata in vigore nel 2007, ma dopo il governo di Berlusconi ha nuovamente insabbiato tutto..
    Purtroppo mia madre si ammalò. Da tempo accusava  dei forti dolori alle ossa delle gambe.
Il dottore sosteneva che erano dolori  reumatici.
Per cercare di farla guarire, il suo medico curante  decise di fargli fare un cura nuova farmacologia sperimentale. Dicendogli solo che però doveva controllare periodicamente il sangue, in quanto tra gli effetti collaterali della nuova cura,  c’èra quello che poteva fargli mancare le piastrine e mandare il sangue in leucemia.
 La cura sembrava che stesse facendo effetto positivo, Ma una sera mia madre restò come paralizzata, non riusciva più a camminare, inoltre  gli erano gonfiate le gambe e le ghiandole salivari.
     La feci ricoverare d’urgenza all’ospedale di Lucca. Gli fecero tutti gli esami del caso, ma la diagnosi lasciava poche speranze : “Leucemia Fulminate”. La feci visitare da un  medico della CGIL il quale mi disse: Franchi la causa della leucemia di tua madre è dovuta ad una  intossicazione causata dal farmaco che aveva prescritto il suo medico contro i dolori reumatici.
  Andai subito  a parlare con il medico curante , il quale mi disse che lui faceva il medico ed a suo a parere le punture gli facevano bene, se volevo potevo anche denunciarlo , ma lui avrebbe sostenuto che non credeva che la causa della malattia fosse stata la sua cura… a massimo poteva esserci una concausa.
   Per mia madre si aprì un calvario di dolore.
Una sera chiese ad una infermiera se poteva fargli una tazza di brodo perché aveva la bocca infiammata e mangiava male. Dopo poco gli portarono una tazza d brodo con dentro un pezzo di sapone. Io mi incazzai e stavo andando a buttarglielo in faccia a chi lo aveva fatto, ma mia madre mi fermo piangendo , dicendomi: non  farlo, dopo ci devo stare io qui e sicuramente mi maltratterebbero
   Ogni giorno faceva trasfusioni di sangue, andai a prendere anche una cura nuova a Livorno. Ma la malattia non  faceva che  peggiorare sempre più le proprie condizioni fisiche di mia madre.
 Verso la fine del mese di febbraio, vidi mia madre che stava molto male ed andai dal primario del reparto per chiedere di fare qualche cosa per non farla soffrire, perché mia madre  stava soffrendo troppo. Il primario mi rispose a muso duro : ma cosa vuole che io faccia, non ha ancora capito che sua madre deve morire ! Non posso farci nulla. Il calvario durò ancora molti giorni. Il 16 marzo gli venne la febbre altissima 42 gradi. Io andai al suo capezzale per dargli un pò di acqua… beveva malissimo gli davo poca acqua perché  avevo paura che gli facesse più male ed invece avrei dovuto dargli tutta l’acqua che voleva.
 Cercavo di consolarla dicendogli: vedrai che passerà… guarirai… e lei mi diceva: non è vero, voglio morire!
La notte del 18 marzo del 1971, all’età di 47 anni, mia madre morì alla presenza di mia moglie che stava facendo la notte per assisterla. Lo stesso giorno che mia madre moriva, mia figlia compiva un anno di vita. Parlava già  e mi chiedeva dove erano  sua madre e  sua nonna.
  La morte di mia madre, mi colpì nel profondo del cuore. Era una donna molto buona, se ne era andata soffrendo moltissimo, morta dissanguata da una emorragia causata della mancanza di piastrine nel sangue. Pensavo non è giusto:  se nel mondo invece di spendere tanti soldi per gli armamenti, le spendessero per la ricerca, anche queste malattie probabilmente non ci sarebbero.
. nel 1972,  dopo la lotta per l’applicazione del contratto,  iniziai a proporre rivendicazioni aziendali  per ottenere ulteriori conquiste in materia di ammortizzatori sociali, premio ferie, prevenzione della salute. Tornai a fare l’assemblea sindacale all’interno della mia ex fabbrica (Chelini Olando) accolto  bene ma con molti timori dai miei ex compagni di lavoro. Proposi loro di continuare a lotta per ottenere anche la 14° mensilità, interventi sull’ambiente di lavoro e le visite mediche, ma scarsi risultati , non c’èra molta unità  e ci avrebbero comunque riflettuto.
Il “mio vecchio padrone” fu comunque  intimorito, tanto che il giorno dopo venne nel mio Ufficio un certo Rag. Toanelli, il quale  mi disse <<: Franchi ti parlo a nome del Titolare del Calzaturificio Chelini , esso mi ha detto che se tu non vieni più a romperci i coglioni con le assemblee, è disposto a darti qualsiasi cifra, chiedi quello che vuoi !>> Dopo un attimo di sbalordimento, gli risposi: di al tuo padrone che non tutte le persone sono vermi disposi a farsi comprare, perché ci sono dei valori in cui credere tra cui quello della necessità di abolire lo sfruttamento. Quindi si metta l’anima in pace non solo non mi comprerà mai ma anzi  fisso subito un’altra assemblea dei lavoratori. Così feci. La settimana successiva andai in assemblea e questa volta nella stanza dell’assemblea,  trovai anche  il ragioniere che mi aveva fatto l’offerta ed il padrone.
Invitai i medesimi ad andarsene , ma essi si rifiutarono di farlo sostenuti dalla maggioranza dei lavoratori, allora minacciai di fare una denuncia per attività antisindacale e solo allora il titolare andò via , lasciando però il ragioniere in quanto era comunque dipendente dell’azienda.
Nell’assemblea riferii, le cose che il ragioniere mi aveva detto chiedendo di eleggere il Consiglio di Fabbrica e di scendere in lotta per ottenere la 14° mensilità. Ne uscì un battibecco con il ragioniere il quale negava ciò che mi aveva detto  e l’assemblea non ebbe il coraggio di scendere in lotta e nemmeno di eleggere il Consiglio di Fabbrica. Le cose cambiarono solo alcuni anni dopo.
Dopo circa due mesi  dalla firma dell’accordo della Zona Calzaturiera di Segromigno,  arrivò una denuncia a me ed ad altre 12 persone, per i fatti avvenuti  davanti al Calzaturificio Claudia.
    Nello specifico mi si accusava di avere istigato gli altri a sfondare il portone, di essere entrato nella fabbrica e di avere distrutto e dato fuoco ad alcuni scatoloni di scarpe. Le accuse erano del tutto infondate, io mi ero limitato a cercare di governare la situazione e nessuno era mai entrato dentro l’azienda.
    La denuncia si concluse quattro anni dopo con una condanna di 12 persone presenti ai fatti. Io fui condanno ad un mese di reclusione senza condizionale che però mi fu amnistiata.
   Ricominciai con forza il mio impegno nel sindacato. Impegno  che comunque  non avevo mai lasciato nemmeno nei giorni più critici di mia madre.
   C’era una cultura nuova in me ed in tanti come me. L’impegno sindacale e politico, pubblico e collettivo, mi prendeva tutto , perché il progetto di cambiamento della società capitalista, era prioritario anche rispetto alle gravi questioni familiari.
 Questo modo di pensare toglieva sicuramente   molto del mio tempo alla mia famiglia, anche se credo di non aver mai fatto mancare l’affetto e l’essenziale, ma probabilmente anche nell’agire di mia moglie c’era qualche giustificazione che dipendeva dal mio essere .
 Negli anni 70,  tutto si faceva in considerazione del fatto che la società capitalista doveva cambiare attraverso trasformazioni economiche, sociali, strutturali, culturali e di potere, per definire un nuovo mondo senza più sfruttati ne sfruttatori.
   Per questo fine, la politica era sempre al primo posto.
 Nelle analisi sulla situazione politica ed i compiti del Sindacato e del Partito , pur mantenendo sempre un grande senso di responsabilità, non ho mai accettato l’idea del “centralismo democratico” vissuto in modo “obbidiente”. Cioè l’idea che si può discutere anche dissentire, ma dopo bisognava sempre adeguarci alle decisioni del partito, che in teoria venivano sancite dai Congressi, ma in realtà,  generalmente, venivano prese da un ristretto Gruppo Dirigente a livello Nazionale.
  Per questo condividevo i motivi politici che stavano alle fondamenta della scissione del Gruppo del Manifesto dal PCI, anche se non ne condividevo la scissione, considerandola un indebolimento del Partito, proprio quando si trovava su una strada ascendente. Pensavo che comunque  la battaglia sulla “linea” strategica del Partito , i Compagni della sinistra del PCI  dovevano farla all’interno del Partito, come aveva deciso anche il Compagno Pietro  Ingrao.
dalla fine del 71, per alcuni mesi iniziai a svolgere fino a 4 assemblee giornaliere  in tutti i luoghi di lavoro per Iscrivere i lavoratori alla CGIL, eleggere i Consigli di Fabbrica ed effettuare le seguanti richieste rivendicative aziendali: Prevenzione ambientale con visite mediche periodiche ed investimenti alla fonte per evitare i rischi di malattia ed infortuni (nel settore Calzaturiero erano presenti le nevriti e le leucemie causate dal mastice); Premio ferie; salario minimo garantito durante le sospensioni dal lavoro (questo fino a quando non c’èra la Cassa Integrazione).
La battaglia riprendeva sulle nostre “piattaforme rivendicative” con forza in tutte le aziende, adottando la conflittualità attraverso assemblee, scioperi articolati, picchettaggi. Siccome gli scioperi erano un sacrificio e la perdita di salario a fine mese era molto significativa, in alcune aziende del settore tessile come alla Salpit di Porcari, adottammo la linea dell’autoriduzione dei ritmi e dei carichi di lavoro:  “salario di merda-lavoro di merda” ,con il rallentamento dei carichi e dei ritmi di lavoro ed in alcune aziende calzaturiere come forma di lotta decidemmo di produrre una sola scarpa: quella sinistra.
     Il movimento di lotta si espandeva con forza in tutte le fabbriche ed anche nella società. In questo contesto la mia vita privata era sempre più subordinata al “progetto di cambiamento collettivo della società “, quello che contava era la mia iniziativa nell’ambito di un progetto collettivo di trasformazione della società, per cui la mia abitazione di Porcari era diventata un porto aperto a tutti i delegati di fabbrica, agli operai, gli studenti, ai compagni/e di sinistra.
   Il 1972, fu un anno di grande lotte: a livello Nazionale lottavamo per ottenere le 40 ore settimanali lavorative pagate 48; la cassa Integrazione guadagni nei periodi di sospensione dal lavoro; quattro settimane di ferie; l’abolizione dell’apprendistato; l’inquadramento unico tra operai ed impiegati; le 150 ore per  il diritto allo studio; la copertura della contingenza sul recupero del costo della vita al 80%, la tutela e prevenzione nei luoghi di lavoro con lo slogan “la salute non si vende”.
Con queste richieste, assieme al proseguo della contrattazione aziendale ed al riconoscimento del Consiglio di fabbrica che oramai con lo Statuto dei Diritti dei Lavoratori era stato recepito, diventando di “massa”,  i rapporti di forza nei luoghi di lavoro, cambiavano completamente  dal capitale verso il lavoro ed i lavoratori  facendo crescere una forza nuova contro lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo.
   Ci volsero circa tre anni per ottenere tutto ciò che chiedevamo, ma alla fine del 1974, i lavoratori Italiani avevano “alzato la testa” , ottenendo conquiste importanti ma soprattutto la dignità. Nessun padrone poteva più offendere impunemente chi lavorava, come era successo a mia madre,  o dire: fai quello che ti “chiedo” oppure ti licenzio! Sicuramente potevamo dire che i lavoratori italiani erano  all’avanguardia rispetto anche ad altri Paesi Europei.
 Ma la battaglia per il “cambiamento” si basava sulla conflittualità permanente quindi non finiva mai.
 Assieme alle conquiste dei Contratti Nazionali di Lavoro, a quelle sociali, ai nuovi diritti nei luoghi di lavoro, dovevamo sviluppare anche la contrattazione aziendale per cercare di indirizzare la qualità dello sviluppo nonché le sue ricadute nel territorio, in termini occupazionali e di qualità della vita, di qualità dello sviluppo economico e produttivo. L’obbiettivo era quello di passare dalla fabbrica alla società e di creare le condizioni affinché ci fosse stato anche un cambiamento profondo politico nel governo del Paese, con la Sinistra al governo in alternativa alla Democrazia Cristiana ed al suo sistema di potere.
   Così, sia nelle aziende calzaturiere che in quelle tessili che curavo io (circa 100 aziende), ripresi l’iniziativa di rilancio della contrattazione nelle fabbriche che andava oltre l’applicazione del CCNL
   Una domenica del mese di settembre del 1972, riunimmo il Comitato di Lotta a casa di un compagno di nome Gildo. Lui abitava  in una collina in una grande casa immersa dal verde.
 Per prima cosa  dovevamo preparare da mangiare e dopo aver mangiato e bevuto, potevamo parlare di politica, di strategia, di cose da fare.
Gildo mise a cuocere sulla brace all’aperto molte bistecche, dopo prese un fiasco del vino  se lo porto alla bocca, ne prese una boccata, ci fece i gargarismi alla gola e dopo lo spruzzò su tutte le bistecche. Ripeté più volte lo stesso gesto e dopo disse:  ora se c’è qualcuno che gli fa schifo la bistecca e non la mangia è solo un piccolo borghese... Tutti si guardarono bene dal non mangiarle.
  Quel giorno eravamo  20 persone (15 uomini e 5 donne) di diverse estrazioni politiche: Comunisti, “Gruppettari” , del PSIUP, un Socialista e perfino un Democristiano pentito di sinistra, delle Acli.
 Dopo aver  mangiato, discutemmo della strategia politica e rivendicativa da portare avanti.
 Ci fu una relazione sulla situazione politica del Paese e su quella locale fatta dal Fratino. Dopo iniziarono gli interventi dove ognuno esprimeva il proprio parere ed infine, dopo avere discusso diverse ore, decidemmo una linea politica rivendicativa e la necessità di darci una struttura organizzativa più solida diversa dal vecchio Comitato di Lotta.
 La struttura Organizzativa del Comitato di Lotta doveva crescere formando dei “cerchi” di 6 persone. Per cui dicemmo che ogni compagno era impegnato a reclutare sulla strategia definita, ulteriore 5 compagni per arrivare entro l’anno ad essere 120  persone. Io chiesi : ma se  qualcuno sgarra e porta avanti una linea diversa, cosa succede? Mi rispose il Fratino dicendo: se uno sgarra va eliminato… Altri dissero: come eliminato? E lui molto serio: si eliminato fisicamente. Allora decidemmo di prendere una pausa di riflessione… forse avevamo bevuto troppo o forse è proprio così che successivamente sono nati gruppi armati delle Brigate Rosse.
 Dopo avere riflettuto decidemmo di abbandonare l’idea dei  “Cerchi”...
Tratto dal mio libro autobiografico  “la Vita e il Sogno”

Umberto Franchi

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