Voleva andare a votare. Voleva capitalizzare il consenso al suo massimo. Voleva mangiarsi tutto il centrodestra. Voleva avere la maggioranza assoluta del Parlamento. Voleva diventare Presidente del Consiglio di un governo monocolore leghista. Voleva eleggere da solo un Presidente della Repubblica morbido e accondiscendente. Voleva cambiare l’Italia in senso autoritario e illiberale, sul modello dell’Ungheria di Viktor Orban. Voleva blindare il proprio potere per decenni. Voleva tutto questo, Matteo Salvini, e probabilmente l’avrebbe ottenuto se Cinque Stelle e Pd avessero accondisceso alle sue richieste e deciso fosse giusto ridare la parola agli elettori, a causa di una crisi aperta al buio, in pieno agosto, senza alcuna motivazione se non quella di fare il pieno di voti.
Così non è stato, così non sarà. Se c’è una certezza, nel caos di questi giorni, è che alle urne non si torna. Non ci voleva molto a immaginarlo, del resto. Non lo vuole il Movimento Cinque Stelle, che vedrebbe dimezzati i propri rappresentanti in Parlamento. Non lo vogliono i gruppi parlamentari del Pd, composti in larghissima parte da renziani che non verrebbero ricandidati da Zingaretti. Non lo vuole Forza Italia, che verrebbe cancellata dallo scacchiere politico. Non lo vuole Sergio Mattarella, che lavora dal 4 marzo affinché il prossimo presidente della repubblica sia eletto da questo Parlamento, possibilmente da una maggioranza Pd-Cinque Stelle, possibilmente Mario Draghi.
Evidentemente, Salvini sperava in una rivolta di piazza contro il Palazzo, ma gli è andata male pure lì, perché le piazze, improvvisamente, si sono riempite pure di contestatori che hanno rovinato il clima plebiscitario dei suoi comizi in giro per l’Italia. Non solo: da quando c’è la crisi, l’emergenza è lui. Nessuno parla più di migranti, nessuno parla più di Bibbiano, nessuno parla più dell’Europa cattiva, del taglio delle tasse, della prossima legge di bilancio. Come un mostro che finisce per fagocitare tutto, il Salvini d’agosto è riuscito pure nell’impresa di mangiarsi pure tutti gli argomenti che l’hanno reso popolare.
Non bastasse, il Capitano è riuscito pure a resuscitare i suoi avversari e a farli parlare tra loro. È riuscito a pacificare il Pd, con Renzi che oggi condivide l’idea di una maggioranza Pd-Cinque Stelle con D’Alema e Franceschini, fino a ieri suoi nemici giurati. È riuscito a ridare spolvero a Luigi Di Maio, che fino al giorno uno della crisi era un leader virtualmente morto e che oggi si permette di rifiutare l’offerta salviniana di andare a Palazzo Chigi, pur di salvare la maggioranza gialloverde, manco fosse Konrad Adenauer. È riuscito pure a far tornare in vita il simulacro di Silvio Berlusconi, cui Salvini ha offerto un’alleanza fino a ieri negata pure in cartolina, e si è visto pure rimandare al mittente l’offerta di una lista unica.
Può succedere di tutto, d’ora in poi, ma Salvini non potrà cancellare nessuno di questi errori, nemmeno se il governo gialloverde dovesse miracolosamente restare in vita. Non potrà più forzare la mano per andare al voto, non potrà più ricattare il Movimento Cinque Stelle, non potrà più chiedere teste di ministri come Tria, Trenta e Toninelli. Allo stesso modo, dovesse finire all’opposizione, non potrà incolpare nessuno se non se stesso, per esserci andato e dovrà rendere conto al suo partito di aver mollato il colpo senza aver portato a casa l’autonomia per le regioni del Nord. Con l’incognita di un’incriminazione per corruzione e riciclaggio internazionale, nel caso l’inchiesta della procura di Milano sul Russiagate arrivasse davvero a qualcosa, senza più alcuno scudo governativo a proteggerlo. Un capolavoro, davvero.