Alla classifica 2023 sulla qualità della vita nelle province italiane si è aggiunto il Rapporto Svimez sul Mezzogiorno, di cui abbiamo letto su queste pagine. Con poche eccezioni, nella prima si confermano Nord e Centro in alta classifica, il Sud in coda. Nel Rapporto vediamo un Sud che rimane stentatamente a galla oggi, e potrebbe affondare domani. O forse già affonda.
Il distacco del Mezzogiorno aumenta, crescono precarietà e povertà. Dai dati Svimez viene un'immagine devastante per sistematicità ed ampiezza, che però non sorprende. Riflette anche realtà già emerse, e che viviamo quotidianamente. Chi non conosce il malato che è andato a curarsi al Nord? Chi non ha, tra parenti e amici, qualcuno che ha fatto le valige ed è partito in cerca di fortuna?
Si potrebbe dire che è storia antica per il Sud, pur con valige non più di cartone. Non è così. Se nel giro di pochi anni il Mezzogiorno ha perso residenti in misura che sarebbe pari alla popolazione di una grande città, e se per buona parte si tratta di persone con lauree o diplomi, è altra cosa, da contrastare con opportune scelte politiche. Anche la Svimez ne suggerisce alcune. Ma di tali scelte non si vede nemmeno l'ombra. Tanto da rendere plausibile che nell'arco di qualche decennio il Sud
scenda dal 33% della popolazione italiana a circa il 25%, perdendo milioni di residenti.
Intendiamoci. Ha ragione il ministro Fitto quando contesta, in margine alla presentazione del Rapporto Svimez, che gli scenari devastanti per il Sud siano da addebitare al governo Meloni, in carica solo dalla fine di ottobre 2022. Il problema è che il Mezzogiorno non da oggi è in una condizione di minorità politica, maturata negli anni '90 con l'inserimento nell'agenda politica del paese della "questione settentrionale", e la parallela cancellazione della questione meridionale. E non c'è dubbio che il centrosinistra abbia concorso per la sua parte, negli anni in cui è stato al governo del paese. Anzi, ha dato un decisivo contributo con l'approvazione nel 2001 della riforma del Titolo V, che ha inserito nel nostro sistema costituzionale il virus dell'Autonomia differenziata.
Non vale ora ricordare che il centrodestra all'epoca votò contro anche argomentando che non era vero federalismo. Magari avrebbero fatto di peggio. Fu comunque un errore del centrosinistra, che peraltro aveva già in ampia misura abbandonato presidi di cultura politica e istituzionale che avrebbero dovuto essere difesi. Ma la domanda è: dov'era il Sud? Alcuni di noi - pochi - cercarono di frenare la deriva, senza successo. Nel complesso, il ceto politico meridionale seguì i pifferai magici dei gruppi dirigenti.
La storia si ripete oggi, con la destra al governo. Dov'è il Sud? Per la Svimez, con la frammentazione derivante dall'autonomia differenziata verrebbero meno le politiche pubbliche indispensabili sul piano nazionale per la crescita, l'inclusione sociale e il rafforzamento del sistema delle imprese, ed in specie per la riduzione dei divari territoriali e una più equilibrata distribuzione delle risorse pubbliche. È vero, e sono obiettivi di vitale importanza per il Sud. Opinioni non sospette di partigianeria (Ufficio parlamentare di bilancio, Bankitalia) evidenziano in specie la problematica sostenibilità per il bilancio dello stato.
Eppure, il cammino dell'Autonomia differenziata prosegue.
La versione dell'AS 615 licenziata per l'Aula dalla I Commissione Senato non reca decisive novità. Tra l'altro, conferma l'emarginazione del Parlamento, e stabilisce una distinzione tra quindici materie Lep (livelli pubblici essenziali) e otto materie non Lep. Solo per le prime la concessione di maggiore autonomia è condizionata • e non manca una oscura norma transitoria • alla previa adozione di Lep. Per le altre si apre da subito la via a intese almeno con alcune regioni (leggi Lombardia, Veneto e Emilia-Romagna) con trasferimento di poteri, funzioni, risorse. Sono materie di grande rilievo: ad esempio, commercio con l'estero, professioni, previdenza complementare e integrativa, protezione civile, coordinamento della finanza pubblica. Non è poco.
La destra nel Sud ancora predica l'Autonomia come opportunità. Lasciamo perdere. Giorgia Meloni ha lanciato il premierato, per sradicare una Costituzione in cui non si riconosce riscrivendo un pezzo di storia, e bilanciare al tempo stesso il rush di Calderoli nello sprint ormai lanciato per le europee 2024. Anche la destra ha i suoi pifferai magici. C'è solo da sperare che, in analogia alla favola, conducano i seguaci laddove non possono più far danno.
Anche la destra ha i suoi pifferai magici. C'è solo da sperare che, in analogia alla favola, conducano i seguaci laddove non possono più far danno.