La sentenza della Corte costituzionale tedesca ha messo in evidenza problemi politici

di Alfiero Grandi - alfierograndi.it - 10/05/2020
È giunto anche il momento di andare oltre l’emergenza e ridiscutere i trattati in vigore, da Maastricht fino ad oggi

La sentenza della Corte costituzionale tedesca ha messo in evidenza – paradossalmente – problemi politici. Il primo è che la Corte costituzionale di uno stato dell’Unione non riconosce come unica sede di giudizio per decisioni e materie europee la Corte Europea, o almeno non completamente e arriva a chiedere perentoriamente alla BCE, istituzione europea, di giustificare entro tre mesi le sue azioni di interventi di politica monetaria minacciando il divieto alle sedi tedesche, in particolare alla Bundesbank, di contribuire a queste azioni a livello europeo e intima al parlamento e al governo tedesco di pronunciarsi su tutta la materia. Forse per questo il Ministro delle Finanze ha preannunciato che il Bundestag sarà chiamato a pronunciarsi sulle misure anticrisi. Questo intervento a gamba tesa della Corte tedesca, se diventasse realtà, metterebbe in discussione un principio fondamentale degli accordi sovranazionali in Europa e cioè la non possibilità per le Corti costituzionali dei singoli paesi di invadere lo spazio europeo, essendo chiaro che se il cattivo esempio venisse dalla Germania non si capisce perchè dovrebbero rinunciare a dire la loro le altre Corti costituzionali nazionali, con la conseguenza che il processo di integrazione si avvierebbe sul viale del tramonto, apparentemente non per una scelta politica.

Il secondo è che la Corte tedesca, a differenza di quella italiana, si pronuncia su istanza di singoli e di associazioni. Da noi questo non è possibile, l’accesso alla Corte non può avvenire da parte di singole persone, per quanto autorevoli, o di settori della società. I ricorrenti sono evidentemente difensori strenui della politica di austerità, su posizioni apertamente conservatrici, se non di destra, ed è la Corte tedesca che amplifica la loro voce con una evidente scelta politica perché arriva ad intimare chiarimenti alla Bce, pena il blocco del meccanismo per affrontare la crisi economica, che deve cercare di recuperare i danni economici e sociali della pandemia, in particolare nei paesi più colpiti, di cui la politica monetaria e di acquisto di titoli pubblici sul mercato secondario è un punto decisivo, anche se insufficiente. Inoltre questi sono i giorni in cui dovrebbero essere chiariti gli altri punti di intervento: dal meccanismo di sostegno al reddito di chi rimane senza lavoro (Sure) agli interventi a favore degli investimenti delle aziende attraverso la Bei, all’eventuale utilizzo del Mes, senza trascurare il punto di caduta degli interventi ulteriori sotto l’ombrello del recovery fund europeo che dovrebbe valere secondo alcune versioni almeno 1500 miliardi aggiuntivi. Del resto tutti gli stati importanti del mondo hanno previsto interventi massicci per uscire dalla crisi e l’insieme di questi filoni costituirebbe l’intervento europeo.

Se tutto questo dovesse fermarsi, ad esempio per l’improvvida sentenza tedesca, l’Europa entrerebbe in una fase di sofferenza dagli esiti imprevedibili.

Sia la Commissione europea che la Bce hanno avvertito il pericolo e hanno subito rivendicato l’autonomia delle decisioni europea. Oggi è arrivata anche la sentenza della Corte europea che ha rivendicato in modo chiaro la propria esclusiva competenza, escludendo che interventi nazionali, come quello della Corte tedesca, possano bloccare questo percorso provocando la crisi del disegno europeo. Su questo piano i chiarimenti ci sono stati, anche se le risposte istituzionali tedesche avrebbero potuto essere più forti e rapide. La riunione dell’Eurogruppo ha sciolto alcuni nodi ancora aggrovigliati.  Era ormai chiaro che il Mes era la via più rapida per gli interventi. Rimanevano ambiguità da sciogliere come la possibilità di avere parti non scritte all’inizio ma in grado di essere poste anche dopo l’utilizzo del Mes. È vero che la Commissione europea potrebbe anche senza il Mes chiedere misure aggiuntive per fare rientrare i bilanci pubblici nel sentiero previsto prima della pandemia, tuttavia è evidente che questo non è possibile vista la situazione. Per evitare che questo possa avvenire successivamente occorrono patti chiari e qualche affermazione recente ha mantenuto un’alea di incertezza.  È necessario che la decisione sull’intervento del Mes sia netta. Anche cambiargli nome non sarebbe male. Se i tempi per i prestiti saranno mediamente di 10 anni si sarà fatto un bel passo avanti. Anche i tassi siano debbono essere molto bassi e non un cappio che si stringerà più avanti.

Resta ancora invece vago il Recovery fund. Cambiare nome non è una tragedia, ciò che conta è che arrivi rapidamente a costituire un fondo di intervento per la ripresa di grande forza, che abbia la dimensione adeguata e che operi con strumenti a medio lungo sia con tassi bassissimi che con interventi a fondo perduto. La Presidente Von der Leyen aveva ipotizzato interventi 50 % con prestiti e 50 % con interventi a fondo perduto, sarebbe un punto di partenza rilevante. Per ora c’è un rinvio, sia pure con impegni confermati e la crisi morde ora.  Tutto questo per partire ha bisogno dell’intervento della Bce a sostegno della raccolta di fondi a costi pressoché inesistenti per finanziare i diversi capitoli di intervento, quindi è necessario che non solo la Corte tedesca rinunci alle sue intemerate ma anche che la Bundesbank partecipi a pieno titolo alle iniziative della BCE. È giunto anche il momento di andare oltre l’emergenza e ridiscutere i trattati in vigore, da Maastricht fino ad oggi. Ci sono aspetti degli interventi di emergenza che possono essere l’inizio di innovazioni di fondo, modificando il rapporto tra intervento pubblico e mercato, tra mercato e solidarietà.  Resta da esaminare un aspetto rilevante, cosa accadrà in Italia? Non si può dare l’impressione che tutto dipende dall’Europa. Certo molto dipenderà dagli interventi europei che possono essere anche l’occasione per un passo avanti verso una vera Unione Europea.

C‘è anche da decidere ciò che deve fare l’Italia. Su questo c’è una disattenzione preoccupante. Conte disse che piuttosto che ricorrere a strumenti discutibili avremmo fatto da soli, un conto è tornare alla realtà sapendo che in realtà fare da soli comporterebbe una crisi gravissima del nostro paese, ma sapendo che ci sono scelte che dipendono da noi. In sostanza gli interventi europei debbono arrivare su canali già preparati per rafforzarli, non per sostituire interventi nazionali. Gli interventi costano. Se c’è una parte del paese che rischia di essere sospinto verso la povertà e di imprese che potrebbero non riaprire occorre recuperare le risorse necessarie là dove sono, cioè dalla parte che detiene risorse e redditi sufficienti per partecipare ad una iniziativa di solidarietà. Il silenzio ogni volta che l’argomento viene sollevato è un errore e indebolisce la nostra trattativa in Europa. Questo è un problema politico di fondo, non stupisce tanto che il governo Conte 2 faccia fatica a parlarne ma che i partiti che lo sostengono non aprano su questo una discussione con lo stesso impegno che vien messo per recuperare risorse europee. Inoltre c’è un punto su cui c’è un silenzio poco comprensibile. In altri paesi europei ci sono esperienze che in diversi campi possono costituire un valido esempio, come del resto anche iniziative italiane lo sono per altri paesi. Perché non si possono studiare e copiare altre esperienze se funzionano?

Ad esempio la Cassa Depositi e Prestiti è stata riformata positivamente anni fa, oggi potremmo imitare l’esperienza tedesca sulla gestione del debito pubblico. La gestione del debito pubblico in Italia è un problema di prima grandezza e un’agenzia pubblica specializzata potrebbe aiutare non poco a risparmiare e quindi perché non adottare altre esperienze nella gestione del debito pubblico, ad esempio sul modello tedesco. Se la proposta è valida come dimostra il fatto che la Germania pur essendo in condizioni di finanza pubblica più solide assicura una gestione del debito attenta ci dice che probabilmente anche l’Italia avrebbe da guadagnare da quel modello con risultati molto maggiori, visto che il nostro debito pubblico ha un peso rilevante e richiede più attenzione di altri.

Non sarebbe uno strumento risolutivo ma potrebbe aiutare a gestire meglio un punto dolente della nostra economia.

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