Nel non facile tentativo di ricondurre il regionalismo differenziato, introdotto con la riforma costituzionale voluta dall’Ulivo nel 2001, ai principi di solidarietà, uguaglianza e unità della Repubblica, la sentenza della Corte costituzionale sulla legge Calderoli opera una ricostruzione che va oltre la devoluzione dei poteri alle regioni.
Centrale è l’insistenza sulla necessità che qualsiasi decisione in tema di ripartizione territoriale delle funzioni risponda non a interessi particolari, siano essi ascrivibili a partiti o a enti territoriali, ma «al modo migliore per realizzare i principi costituzionali». Con la conseguenza – mortale per la bulimia di potere dei fautori del regionalismo differenziato – che saranno ammissibili solo richieste regionali «giustificate e motivate con precipuo riferimento alle caratteristiche della funzione e al contesto (sociale, amministrativo, geografico, economico, demografico, finanziario, geopolitico ed altro) in cui avviene la devoluzione, in modo da evidenziare i vantaggi – in termini di efficacia e di efficienza, di equità e di responsabilità – della soluzione prescelta». Forse ancora più rilevante è, però, il passaggio della sentenza in cui la Corte costituzionale sottolinea la differenza tra i livelli essenziali delle prestazioni (Lep) concernenti i diritti costituzionali, da un lato, e il nucleo minimo dei diritti costituzionali, dall’altro.
SPIEGA LA CORTE: «In sintesi, il nucleo minimo del diritto è un limite derivante dalla Costituzione e va garantito da questa Corte, anche nei confronti della legge statale, a prescindere da considerazioni di ordine finanziario: “a garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio, e non l’equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione” (sentenza 275 del 2016). Invece, i Lep sono un vincolo posto dal legislatore statale, tenendo conto delle risorse disponibili, e rivolto essenzialmente al legislatore regionale e alla pubblica amministrazione; la loro determinazione origina, poi, il dovere dello stesso Stato di garantirne il finanziamento». Significa che il nucleo minimo di un diritto costituzionale è un dato oggettivo, ancorché mutevole nel tempo, ricavabile dalla Costituzione; mentre il livello essenziale delle prestazioni concernenti lo stesso diritto è un dato soggettivo fissato dal legislatore. Tale Lep può essere corrispondente o anche superiore al nucleo minimo del diritto, a seconda di quel che discrezionalmente deciderà il legislatore; non può invece mai essere inferiore, perché in tal caso si verrebbe a verificare la violazione del diritto costituzionale.
Il punto decisivo è che, una volta sancito un diritto nella Costituzione, l’attuazione quantomeno del suo nucleo minimo non è rimessa alla buona volontà delle autorità competenti, ma si pone come un vero e proprio vincolo giuridico.
A ESSERNE GRAVATO è specialmente il legislatore, che risulta tenuto tanto alla predisposizione della normativa di attuazione (dalla cui esecuzione per mano della pubblica amministrazione deriverà, poi, la concreta “messa in atto” del diritto), quanto all’allocazione nella legge di bilancio delle risorse economiche necessarie (dal momento che, come scrive la Corte costituzionale ancora nella sentenza 275 del 2016, l’effettività di un diritto «non può che derivare dalla certezza delle disponibilità finanziarie per il soddisfacimento del medesimo»). Alla Corte costituzionale spetterà, quindi, controllare che le leggi, inclusa quella di bilancio, siano effettivamente rispettose del vincolo giuridico volto a dare effettiva attuazione ai diritti. È quello che ha fatto, a pochi giorni dalla “pronuncia Calderoli”, con la sentenza 195 del 2024, che ha annullato la legge di bilancio per il 2024 nella parte in cui procede a una riduzione generalizzata «delle risorse a qualsiasi titolo spettanti a ciascuna regione». La legge, sancisce la Corte, avrebbe dovuto distinguere tra risorse destinate ad alimentare la «spesa costituzionalmente necessaria» – quella, cioè, rivolta al «finanziamento dei diritti sociali, delle politiche sociali e della famiglia, nonché della tutela della salute» – e risorse finalizzate a sostenere spese «che non rivestono la medesima priorità», concentrando i tagli solo su queste ultime.
Se ne ricava che le spese pubbliche non sono tutte uguali. Alcune sono necessarie e non possono essere ridotte al di sotto della soglia necessaria a erogare i Lep (o, se non individuati, il contenuto minimo del diritto). Altre sono facoltative, in quanto discrezionalmente decise dal legislatore: sono queste ultime a dover essere ridotte in caso di necessità, pena la violazione dei diritti costituzionali.
Coerenza vorrebbe che la Corte costituzionale giungesse a dichiarare incostituzionali le spese facoltative decise dal legislatore nonostante l’insufficienza delle spese necessarie. Per esempio nel caso dei finanziamenti alla scuola privata, stante il disastroso sottofinanziamento della scuola pubblica. Ma, come si suol dire, un passo alla volta.