La Repubblica è "una e indivisibile", recita l’articolo 5 della Costituzione. Come sono indivisibili i diritti che spettano a tutti i cittadini a parità di condizione. L'autonomia differenziata messa in moto dal ministro Calderoli e preconfezionata dai governi precedenti ci può trasformare in un popolo disgregato di un mosaico di repubblichette. Non è vero che la Costituzione lo consente (art.116). La bozza dell'astuto ministro Calderoli che sa dove andare a parare, memore della parola secessione, presentata l’8 novembre, prevarica i principi costituzionali repubblicani con una manovra elusiva e a un tempo eversiva in apparenza legale. Un colpo di mano. Un po' come i pieni poteri votati nel 1925 a Mussolini dal parlamento che ne decretarono la fine.
Circa le competenze, le materie non sono tutte uguali. Altro è il commercio con l’estero, o fiere e mercati altro la sanità e la scuola. O il lavoro. La bozza elenca 23 materie in un solo calderone. Mescola la gestione di settori economici (come i porti o le casse di risparmio) con la tutela dei diritti fondamentali (la salute, il lavoro, l’istruzione). Che avranno discipline, tutele e garanzie diverse da una ragione all’altra. Tutto il contrario di «Stessi diritti al Nord e al Sud» pronunciato da Mattarella.
Nel 2018 – quando il governo Gentiloni siglò tre «accordi preliminari» con Lombardia, Emilia Romagna, Veneto – fu calcolato un surplus di 21 miliardi l’anno, da erogare alle Regioni per l’esercizio delle nuove competenze. Poiché la bozza dispone che il trasferimento avvenga senza maggiori oneri per la finanza pubblica, qualcuno ci guadagnerà e altri ci rimetteranno. Chi se non i cittadini o quanti hanno avuto la sventura di nascere nel posto sbagliato?
D'altronde, prova del nove del venir meno della unità nazionale, i «livelli essenziali delle prestazioni», standard che la Costituzione intende garantire su tutto il territorio nazionale, non sono mai stati stabiliti. La bozza pare permetterli, ma dichiara che se ne può anche fare a meno.
Nel disegno costituzionale, l’autonomia differenziata rappresenta l’eccezione, non la regola (artt.5 e 116). L'eccezione – per sua natura
se tale fosse è circoscritta a specifici casi e va motivata. Ma se tutte le 15 Regioni a statuto ordinario possono ottenere tutte le 23 materie in gioco, se non si pretende alcuna motivazione per le singole richieste, l’eccezione diventa regola che svuota l’articolo 117, che enunzia il catalogo delle competenze regionali.
Le cinque Regioni a statuto speciale, a quel punto, avranno meno poteri di quelle ordinarie. Una frode in barba all’articolo 138 della Costituzione, che delinea il procedimento di revisione delle leggi costituzionali. C’è voluta una legge costituzionale per le Regioni a statuto speciale. Ora, con una legge ordinaria, si rischia di alterare la fisionomia dello Stato, repubblicano, trasformandolo in uno Stato federale.
Il ruolo del governo nella bozza inabissa il Parlamento. La Regione prende l’iniziativa; il ministro avvia un "negoziato"; trovato l’accordo, il Consiglio dei ministri approva lo schema di intesa che viene trasmesso alla Commissione parlamentare per le questioni regionali, il cui parere non è vincolante; il governo e la Regione approvano lo schema di intesa definitivo; infine il Parlamento mette un timbro, senza il potere di correggere l’intesa, di proporre emendamenti. Prendere o lasciare. Se prendi è per sempre, dall’intesa non si può tornare indietro, a meno che non sia d’accordo pure la Regione. Addio Repubblica!