Unite, compatte, pronte a nuotare e a sfuggire ai predatori, o meglio ai predicatori di odio che hanno portato il Paese a un degrado sconcertante. Sono le cosiddette sardine, non i pesci ma le donne e gli uomini, in gran parte molto giovani, che hanno scelto di riprendersi le piazze. Un movimento spontaneo che si sta diffondendo a macchia d’olio in tutta Italia, testimoniando il bisogno di migliaia di persone di uscire dal silenzio, di costruire una narrazione diversa. Un movimento che non ha cappelli politici, a differenza di quel che pensano i detrattori, ma che condivide un sentimento profondamente antirazzista e antifascista. Il bisogno di silenziare la retorica violenta non soltanto di Salvini o delle forze sovraniste, ma anche di chi sul tema della solidarietà e dell’accoglienza, della lotta al razzismo e alle derive neofasciste, non ha fatto abbastanza o ha commesso errori gravissimi.
Il bisogno di rispondere a quella parte di Paese che ha offerto e continua ad offrire il peggio di sé. Sono bastati una ragazza e tre ragazzi, con la loro fantasia, con i loro sorrisi, a togliere il coperchio a una pentola che bolliva di rabbia civile ma stava quasi bruciando in una disperata rassegnazione. Hanno fatto quello che sembrava semplice ma semplice non era: riprendersi la piazza, pacificamente, con creatività e fermezza. Un passaparola efficace, un simbolo facile da riprodurre e da sostenere, l’idea che, come le sardine, anche gli esseri umani, minacciati dall’arroganza e dal disprezzo di odiatori seriali, potessero trovare forza e determinazione stando insieme, compattandosi attorno a valori che appartengono a tanti, indipendentemente dalle visioni politiche individuali. Un atto di generosità, un sentimento collettivo che richiede l’adesione incondizionata a valori non più negoziabili, non più svendibili ad interessi politici o di consenso.
Questo movimento, partito a Bologna per salvare l’Emilia dai deprimenti siparietti di Salvini, sta nuotando rapidamente lungo tutto lo Stivale e sta raccogliendo l’entusiasmo di chi è stanco di slogan, di una politica al ribasso, di un accanimento indegno e di una indifferenza funesta nei confronti degli ultimi. Un popolo che ha scelto di non rimanere più in silenzio o rinchiuso nel privato del proprio dolore civile, ma che vuole tornare a partecipare, a provare il piacere nuovamente di incontrare l’altro, di confrontarsi, di sputare via il veleno del quale è rimasto vittima troppo a lungo. In parte è lo stesso popolo che si è schierato con le Ong, che si è incazzato per le vergognose parole di odio contro Carola Rackete, che ha sbattuto i pugni davanti agli insulti a Liliana Segre, che si è indignato vedendo la Costituzione trattata come carta straccia.
Lo stesso popolo che chiedeva di non rinnovare gli accordi con la Libia e di cancellare i decreti sicurezza, lo stesso che era nei porti o sulle scogliere, a manifestare per chiedere che si facessero scendere i naufraghi per completare le operazioni di soccorso. Ma anche il popolo che chiede un linguaggio differente, una sana dialettica politica, il rispetto delle diversità, l’unità della nazione minacciata da pericolose spinte autonomiste o da influenze oscure di oligarchie esterne. C’è il Paese che non si è arreso, ma che ha rischiato di farlo, il Paese che si è sentito tradito da chi avrebbe dovuto rappresentarlo con coerenza, incarnando valori universalmente riconosciuti e che invece sono stati schiacciati dal calcolo politico. Con risultati peraltro fallimentari.
Qualcuno si preoccupa del fatto che dietro questo movimento civile e civico si possa celare una regia politica. Basterebbe vedere chi sta aderendo, per accorgersi che non c’è alcuna regia e che dentro ci sono anime molto diverse che, possibilmente, su altri temi non la pensano allo stesso modo e che passerebbero ore a dibattere su lavoro, ambiente, sviluppo, economia senza ,magari trovarsi d’accordo. Ed è proprio questa la bellezza, questo l’atto di generosità partito da Bologna. Unirsi su ciò che unisce. Che non è l’essere anti qualcosa o qualcuno, ma essere alternativa, essere qualcos’altro, qualcosa di nettamente distante da ciò che si combatte. E ribadirlo con il sorriso, con l’ironia ma anche con la fermezza e con la chiarezza che su certi temi non possono esistere sfumature o confini morbidi. Se appoggi le misure proprie della politica di Salvini (e purtroppo non solo di Salvini) o se non ti disturba lo sdoganamento del neofascismo, allora non puoi far parte di questo movimento.
Inoltre, cosa non secondaria, questo movimento ha ridato la voglia di partecipazione a tanta gente. I numeri incredibili di Bologna, di Modena, le adesioni in tante altre realtà, la voglia di organizzare altre manifestazioni in tante città, dimostrano che c’è il desiderio di utilizzare il virtuale per organizzarsi in qualcosa di reale. Non ci si accontenta più, non ci si sente più in pace con la coscienza mettendo un like e poi restando a casa a vivere privatamente la propria indignazione. Una indignazione improduttiva nei fatti. Le sardine ci stanno dicendo che questo Paese non è morto, non vive solo di odio, anzi ha voglia di non odiare più, di non dare più ascolto ai propri sentimenti negativi. Perché anche chi si oppone ad orrori e ingiustizie, anche chi si oppone all’odio si è trovato pervaso da sentimenti lontani dalla propria idea di mondo e dalla propria indole. Spesso isolandosi e alimentando una disgregazione difficilissima da curare e superare.
Adesso un gruppo di giovani ha deciso di mettersi in moto, spingendo anche chi giovane non è a seguirli in questo cammino comune, tornando ad avere la voglia di incontrarsi, di confrontarsi serenamente e lavorare per produrre un’alternativa che sia culturale prima di tutto. La speranza è che questo movimento cresca ancora e porti con sé anche delle proposte politiche, nel senso nobile del termine, che creino pressione e chiedano il superamento di certe logiche e la rimozione di tutte quelle norme e quegli accordi che hanno trasformato l’Italia in un Paese disumano ed egoista. È una bella sfida e forse è prematuro parlarne, ma la speranza in molta gente si è riaccesa e ha già fatto infuriare Salvini e i suoi fan (che hanno scatenato odio, sessismo e fango), oltre a imbarazzare quella parte politica che per anni, per inseguire le destre, non è riuscita a rispondere in maniera soddisfacente a queste esigenze civili e solidali, ma che anzi le ha tradite più volte.