Signor Ministro,
mi permetta di esternarLe in tutta franchezza il mio giudizio negativo sulla lettera che ha inviato agli studenti e alle scuole in occasione del 9 novembre, che a me pare caratterizzata da illogicità manifesta, incompetenza culturale e incompetenza istituzionale.
1. Illogicità manifesta
Dalla premessa secondo cui il comunismo avrebbe rappresentato «il sogno di una rivoluzione radicale che sradichi l’umanità dai suoi limiti storici e la proietti verso un futuro di uguaglianza, libertà, felicità assolute e perfette» Lei ricava che «là dove prevale si converte inevitabilmente in un incubo altrettanto grande». L’inevitabilmente non è in alcun modo giustificato sotto il profilo logico. Sarebbe come se dicessi: «Godo di ottima e comprovata salute, ma se mi metto alla prova inevitabilmente mi ammalerò». Non è inevitabile.
Quale testo o quale passaggio dell’opera marxiana legittimerebbe di concludere che: «perché l’utopia si realizzi occorre che un potere assoluto sia esercitato senza alcuna pietà, e che tutto – umanità, giustizia, libertà, verità – sia subordinato all’obiettivo rivoluzionario»? Per dimostrare la stretta correlazione intercorrente tra il disegno di un progetto alto, giusto, riumanizzante (come Lei stesso definisce il comunismo) e il suo inevitabile esito assolutistico, occorrerebbe fare riferimento agli elementi teorici che ne evidenzino le intrinseche contraddittorietà e malvagità. Lei non lo fa. Provo io ad azzardarne uno. È luogo comune fare riferimento alla cosiddetta “dittatura del proletariato”, che lettori frettolosi di Marx potrebbero in qualche modo definire come espressione di un “potere assoluto”. Essa allude in realtà a una prospettiva di società che rovescerebbe la dittatura economica, finanziaria, mediatica di una minoranza (la dittatura della finanza o dell’1% globale), a favore della maggioranza degli sfruttati e oppressi. Certo, costoro potrebbero imporre – vedi ad es. i decreti del novembre 1917 in Russia – la nazionalizzazione delle banche, la requisizione dei grandi capitali speculativi, delle proprietà ecclesiastiche e religiose, la fine della proprietà fondiaria della terra, la sua redistribuzione tra i contadini poveri con l’equa suddivisione dei lotti coltivabili, in usufrutto gratuito.… Queste certamente si sono configurate, pur a titolo di esempio, come misure imposte contro la volontà della minoranza espropriata. E certo potrebbero non essere affatto gradite. Capovolgerebbero la piramide e i rapporti tra la base, la minoranza, e il vertice, la maggioranza. Non Le sembrerebbe più democratico?
Lei ricava dalla realizzazione storica dei regimi socialisti nell’est Europa, sicuramente fallimentare, illiberale, violenta, corrotta, una conclusione non lecita: la fine del comunismo («finisce un tragico equivoco nel cui nome, per decenni, il continente è stato diviso e la sua metà orientale soffocata dal dispotismo»). Non é lecito dedurlo per almeno due ragioni:
– perché non si può liquidare il pensiero marxista, che da quasi 200 anni costituisce in tutto il mondo e per milioni e milioni di persone la più potente critica dell’economia politica, del capitalismo e del suo dominio materiale e immateriale, a partire dalle realizzazioni storiche dei regimi socialisti. Sarebbe come se dalle pagine drammatiche delle crociate, dell’Inquisizione, della caccia alle streghe, delle alleanze tra il trono e l’altare, delle guerre combattute o sostenute dalle istituzioni ecclesiastiche, si potesse ricavare la fine del cristianesimo, per presunte responsabilità criminali e omicide, implicite nel suo messaggio;
– perché il pensiero marxista, a dispetto della formidabile opera di denigrazione di cui è stato oggetto, conserva una straordinaria vitalità, anche solo come strumento di analisi dei processi economico-sociali, che risiede nella forza delle cose, nella materialità dei rapporti sociali, nella disumanità dello sfruttamento e del dominio capitalistici
2. Incompetenza culturale
La storia va ricostruita attraverso i dati di fatto, le fonti, le interpretazioni di dati e fonti. Il crollo dei regimi dell’est Europa deve essere ricostruito sulla base di dati ed eventi intrinseci, nel contesto storico-politico e nelle condizioni precise che lo hanno prodotto. L’interpretazione non coincide con un uso politico della storia, rispetta canoni di ricerca rigorosi, che non consentono conclusioni ideologiche. Come può essere spacciata per conclusione storica corretta, e non come uso politico della storia, la frase in cui Lei afferma che il 9 novembre costituisce «una festa della nostra liberaldemocrazia […] l’unico ordine politico e sociale che possa dare ragionevoli garanzie che umanità, giustizia, libertà, verità non siano mai subordinate ad alcun altro scopo, sia esso nobile o ignobile»? Umanità, giustizia, libertà, verità nella tratta dei neri, nel colonialismo storico e nel neo-colonialismo contemporaneo, nelle guerre inter-imperialistiche, nella schiavitù in cui sono stati e sono ancora ridotti interi popoli, razziati, saccheggiati, emarginati, ridotti a bassa manovalanza senza diritti nelle miniere, nei campi, nei tuguri in cui si producono le merci destinate al mondo occidentale? La storia gronda dei crimini compiuti dai regimi liberal-democratici.
Lei, signor Ministro, spaccia l’apologia dei regimi liberal-democratici come una lezione che viene dalla storia, senza rendersi conto che la storia cui allude è quella bianca, borghese, euro/etno-centrica: quella dei dominatori. Mi unisco a W. Mignolo (2015): «Si tratta di una retorica che promette la felicità e che la gente vuole credere, di una retorica che ha fatto di una narrazione particolare – modernizzazione e democrazia, progresso e sviluppo – un processo universale, globale e che è giunto ad occultare il lato più oscuro della modernità, il quale consiste nella riproduzione permanente della colonialità».
3. Incompetenza istituzionale
La Sua lettera costituisce una violazione della natura e della finalità della scuola pubblica. Non spetta a un Ministro fornire conclusioni storiche, ma agli storici. Ancor meno fornire interpretazioni di parte, viziate da un punto di vista particolare, poiché la scuola pubblica è la scuola di tutti. Un Ministro, pur espressione di un preciso indirizzo politico, nell’esercizio della sua carica istituzionale non ha la funzione di filtrare il sapere e la storia dell’umanità attraverso la lente della sua parte politica. Nella scuola della Costituzione non può esistere o essere imposta una cultura di stato o una monocultura egemone, che lo stato dovrebbe portare al popolo. A questo ruolo assolveva il Ministero in epoca fascista, quando «la scuola fu sottomessa ad una tumultuosa e nefanda legislazione, che mentre rinnegava ogni libertà spirituale, offendeva la dignità del sapere» (Manifesto per la difesa e lo sviluppo della scuola nazionale, 5 novembre 1946). L’indottrinamento, svolto da un Ministero dell’Istruzione, contraddice la finalità della formazione pubblica, che è scuola di pensiero libero e critico, chiamata a svolgere una funzione civile e sociale.
La lezione derivante dalla storia dei regimi dell’est ha aperto tra gli attivisti e le organizzazioni, che continuano ad avere nel marxismo il proprio riferimento, una grande Babele, la cui «cima doveva raggiungere il cielo», ma in cui le lingue si sono confuse e «le idee e i propositi, [….] interrotta la costruzione della città, si sono dispersi per il mondo». Questo lascito di enorme complessità e responsabilità ha di fronte a sé il non rinviabile compito di aprire una grande, vasta, articolata riflessione teorica sulla transizione al socialismo, sulle prospettive strategiche, sui modi per giungere alla costruzione di una società libera dallo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, garante al contempo di uguaglianza, diritti, libertà. Per proclamare la fine del comunismo, signor Ministro, come vede, dovremo aspettare ancora molto tempo.