Nel suo dissenso sull'approvazione della fusione tra Paramount e Skydance, Anna Gomez ha descritto l'azione come “una capitolazione vigliacca che stabilisce un precedente pericoloso, riformando il futuro dell'intrattenimento e allo stesso tempo erodendo la libertà di stampa”. La Gomez è stata nella minoranza del voto (2-1) dei membri della Federal Communication Commission, l'agenzia federale che regola la comunicazione in Usa, incluso radio, televisione, giornali, satelliti, cavo, ecc.
La fusione di Paramount e Skydance per un valore di 8,4 miliardi è stata approvata grazie ai voti di Brendan Carr e Olivia Trusty, membri della Fcc nominati da Donald Trump, mentre la Gomez è stata nominata da Joe Biden. Due dei seggi alla Fcc sono vacanti ma con 3 si raggiunge il quorum e quindi l'agenzia rimane funzionale. Il voto non sorprende e difatti l'esito è stato lodato da Carr, il quale agisce anche da presidente del gruppo.
L'attacco della Gomez è emerso in un'intervista concessa alla Public Broadcasting System (Pbs) nella quale sono affiorate giustificate obiezioni. La Gomez è giustamente preoccupata dal fatto che nell'accordo Paramount ha patteggiato con Trump nel caso di una denuncia esposta dal presidente. Durante la campagna elettorale del 2024 il programma 60 Minutes della Cbs, di proprietà della Paramount, modificò un'intervista con l'allora candidata democratica Kamala Harris. Trump sostenne che i cambiamenti furono fatti per agevolare la sua avversaria. Difatti tutti gli analisti hanno concluso che le modifiche erano giustificate da richieste editoriali. Il fatto che Paramount abbia patteggiato con Trump risarcendolo di 16 milioni di dollari, decisione avvenuta quasi allo stesso tempo dell'annuncio della fusione con Skydance, fa credere a un quid pro quo, ossia una mazzetta per non mettere in pericolo l'accordo. Da aggiungere anche che la Paramount ha accettato l'uso di un osservatore indipendente per garantire una pluralità di voci “su tutto lo spettro ideologico”. L'osservatore indipendente riporterà al Chair della Fcc per assicurarsi che non vi siano irregolarità. Inoltre la Paramount non farà uso di programmi di Diversity, Equity, e Inclusion, che riflette la linea politica di Trump.
L'inchino di Paramount a Trump include anche la cancellazione del noto storico programma serale “The Late Show” che negli ultimi anni è guidato da Stephen Colbert. Il conduttore è uno dei più abili comici e spesso punge il presidente con le sue satire mordaci. Persino nel suo annuncio della cancellazione del suo programma che avverrà l'anno prossimo Colbert ha chiosato che l'accordo fra Paramount e Trump include una “bella e grassa tangente”. Il presidente è stato soddisfatto dalla fusione ed ha annunciato che vorrebbe anche la cancellazione di altri programmi serali condotti da Jimmy Kimmel (Nbc) e Jimmy Fallon (Abc) che spesso prendono di mira il presidente.
Come si sa, Paramount non è l'unica corporation ad avere patteggiato con Trump per ragioni di programmazione televisiva. Anche la Abc di proprietà della Walt Disney aveva pagato 15 milioni di dollari a Trump per risarcirlo nel caso di un episodio del programma di George Stephanopoulos. Il conduttore aveva discusso il caso di E. Jean Carroll che aveva vinto una causa con Trump per aggressioni sessuali. Stephanopoulos usò la parola “stupro” che legalmente non era il termine appropriato. La compagnia di Walt Disney decise però che non valeva la pena lottare contro Trump e decise di pagare un'altra tangente.
La Gomez è preoccupata che queste azioni di corporation con altri interessi al di là delle notizie si piegano facilmente a Trump mettendo in pericolo la libertà di stampa. Mandano anche un potente messaggio ad altri di fare attenzione, censurandosi per non incorrere nelle minacce del presidente. Rispondendo a una domanda di Geoff Bennett, l'intervistatore della Pbs, la Gomez ha indicato che la strada giusta è quella della resistenza alla politica di Trump che continua a intimidire e minacciare i giornalisti e altre istituzioni. In questa luce vale la pena ricordare la presa di posizione della Harvard University, che attaccata ferocemente dall'amministrazione Trump con minacce di tagliare miliardi di fondi, ha deciso di mantenere la sua indipendenza per continuare i suoi programmi senza interferenza governativa. Harvard può permettersi di resistere perché ha un patrimonio di 53 miliardi di dollari ma le ultimissime notizie ci dicono che l'ateneo sta fornendo informazioni sull'eleggibilità di alcuni dipendenti senza però rivelare dettagli su studenti considerati privati. L'altro caso di resistenza ci viene offerto dal Wall Street Journal (Wsj) che Trump ha denunciato per la pubblicazione di una lettera con un disegno osceno che il presidente aveva mandato a Jeffrey Epstein nel 2003 per il suo compleanno. Il presidente ha denunciato il Wsj chiedendo 10 miliardi di dollari per diffamazione. Il giornale del magnate Rupert Murdoch ha però tenuto duro anche se Trump ha dichiarato, senza dare prove, che ci sarebbero trattative in corso per evitare l'eventuale processo.
Il presidente della Fcc Carr si è dichiarato soddisfatto della fusione e l'accordo con Paramount perché secondo lui gli americani “non hanno fiducia nei media tradizionali” di presentare informazioni accurate e obiettive. Non ha tutti i torti. Dimentica però che il “paladino” della disinformazione che spesso accusa i media di fake news è proprio l'individuo che lo ha nominato alla Fcc.
Domenico Maceri