Toti ci informa che: se il paese è ripartito, «è soprattutto merito delle Regioni che si sono prese le responsabilità di scrivere le linee guida»; non c’è nessuna emergenza, e il parere del Comitato tecnico scientifico (Cts) si spiega perché deve «anche ribadire la sua esistenza in vita»; «il governo non ha cercato alcun dialogo alla faccia delle competenze e dell’autonomia. È già sgradevole per la nostra Costituzione scritta ma anche per quella materiale che si è formata nella gestione del virus»; in materie di potestà concorrente la concertazione è necessaria, e nella specie si sarebbe dovuto avere il parere del Cts, una conferenza Stato-regioni, e infine una decisione collegiale.
Bisogna dire a Toti che il ruolo delle regioni, probabilmente abnorme, nella gestione dell’emergenza è venuto dalle scelte di Conte e del governo, che hanno scelto la via dei Dpcm, dei comitati tecnici, delle cabine di regia e delle conferenze. Avrebbero probabilmente fatto meglio a costruire un percorso meno affollato e più centrato sul parlamento.
Ci sono stati elementi di debolezza di Palazzo Chigi, che non sono certo la nuova costituzione materiale che dice Toti, ma solo una errata politica istituzionale, con momenti di appeasement verso i governatori. Che però non hanno, né possono avere, il ruolo di rappresentanza generale che per Toti dovrebbero assumere. Sono poco rappresentativi persino per il territorio che governano, visto il modello istituzionale e i sistemi elettorali regionali. E comunque una concertazione fra esecutivi non esaurisce la domanda di capacità rappresentativa e di governo che solo istituzioni genuinamente nazionali possono assicurare.
Le conferenze sono luoghi – tra l’altro poco o nulla trasparenti – sensibili alle assonanze / divergenze delle maggioranze tra centro e periferia, in cui storicamente hanno prevalso gli interessi dei territori più forti. Vanno ripensate. Ma qui cogliamo un pericolo che emerge dal confronto sul taglio dei parlamentari e sulla legge elettorale.
Il taglio di per sé indebolisce il parlamento, come abbiamo argomentato su queste pagine. Voci anche insospettabili parlano ora di un pericolo per la democrazia. Parallelamente, è certo che il danno, da grave che è comunque, diventa devastante se non: a) si adotta una legge elettorale proporzionale con recupero nazionale dei resti, e b) si cancella la base regionale per l’elezione del senato. Una strategia di riduzione (parziale) del danno. Italia viva ha invertito la rotta rispetto all’accordo sul proporzionale stipulato con la nascita del governo perché evidentemente Renzi ha smesso di sperare in una crescita dei consensi.
Per una piccola forza politica è ovviamente meglio un maggioritario in cui portare i voti decisivi per la vittoria di una coalizione, piuttosto che un proporzionale commisurato ai consensi effettivi. In soldoni, col maggioritario si vale il 3%, e si contratta per il doppio dei posti. Al momento, la strategia di riduzione del danno si mostra impervia.
Un esito negativo porterebbe a una devastane caduta di rappresentatività delle Camere, in perfetta e perversa sinergia con l’aspirazione a una rappresentanza generale del paese da parte dei governatori. La conferenza Stato-regioni diventerebbe di fatto una terza camera para-legislativa, chiamata a dare il disco verde alle politiche nazionali che fossero nell’agenda di governo.
Vanno in questo senso i rumors secondo cui nell’ambito dei festeggiamenti del cinquantenario del regionalismo sarebbe presentato un documento che chiede un nuovo «patto» tra Stato e Regioni. Patto tra chi, e per cosa? No, grazie. È passato il tempo delle Repubbliche marinare, e speriamo non venga mai quello delle repubblichette.
La costituzione materiale nata col virus che piace a Toti richiede un vaccino urgente. Vogliamo un paese unito e forte, in cui non accada che passando un confine regionale qualcuno si debba alzare e scendere dal treno, perché ogni territorio decide per sé. Capiamo che, come dice Toti del Cts, i governatori devono giustificare la propria esistenza in vita. Ma non esagerino.