Se c’è una lezione da imparare dalla pandemia che ha quasi travolto il nostro Paese, e in particolare alcune regioni, questa è la riscoperta del ruolo dello Stato nella gestione della sanità. È alla sanità pubblica, che si deve, innanzi tutto ai suoi medici e ai suoi operatori, quanto di positivo, e persino di eroico, è stato fatto per gestire l’emergenza del coronavirus; e alle sue debolezze strutturali i problemi drammatici che si sono avuti.
Debolezze dovute a decenni di una gestione della sanità pubblica, rivelatasi alla prova dei fatti inadeguata per risorse, per il suo distorto rapporto con la sanità privata, e per lo stato di confusione del rapporto Stato–Regioni. Sedotti dal mantra dell’efficienza “economica” per definizione del solo privato – tradotto nel welfare sanitario aziendalizzato come cessione al privato di quote di servizi pubblici – e dell’efficienza altrettanto presunta per definizione dell’autogoverno territoriale, ci siamo ubriacati, per decenni, di “liberismo” istituzionale e di esternalizzazione di determinati servizi pubblici, come la sanità, che per loro natura necessitano di restare affidati alla mano pubblica.
L’epidemia del coronavirus ha dimostrato quanto questo sia costato in vite umane e in dispersione di risorse, e in difficoltà di gestione, al nevralgico settore della salute pubblica, che sempre più in futuro sarà chiamato a fronteggiare ricorrenze pandemiche. Urge pertanto che a partire dalla sanità si ripensi il rapporto Stato–Regioni, e si punti ad una sanità pubblica sempre più forte, centrata su un’efficiente medicina territoriale, e su ospedali pubblici in grado di rispondere in modo sicuro e differenziato ai bisogni della salute pubblica su tutto il territorio nazionale; facendola finita con il ruolo assunto da alcune regioni negli anni di concessionari pubblici di servizi sanitari di “qualità”, per altro spesso affidati al privato, per il resto del Paese.
Abbiamo bisogno di una sanità che smetta di concorrere alla secessione di fatto tra Nord e Sud, e messa in sicurezza dall’uso politico territoriale a fini di costruzione del consenso politico. Questo per il bene del nostro Paese.
PRIMI FIRMATARI: Eugenio Mazzarella, Giuseppe Tesauro, Paolo Corsini, Franco Casavola, Mauro Magatti, Roberto Zaccaria, Giuseppe Gristina, Massimo Villone, Lorenzo Chieffi, Lucio Romano, Paola De Vivo, Sandro Staiano, Maurizio De Giovanni, Vittoria Fiorelli, Enrica Amaturo, Luigi Iavarone, Rosanna Cioffi, Adriano Giannola, Renato Rotondo, Tino Santangelo, Mario Rusciano, Gianni De Simone, Lida Viganoni, Ernesto Paolozzi, Lucio De Giovanni, Tomaso Montanari, Raimondo Pasquino, Alberto Lucarelli, Riccardo Realfonzo, Pasquale Belfiore, Maurizio Bifulco.