Premierato: la destra sequestra il dibattito e trasforma la Repubblica in “capocrazia”

di Alfiero Grandi - strisciarossa.it - 11/02/2024
Le destre pasticciano e raccontano balle, ma stanno preparando un piatto avvelenato la cui prima vittima sarebbe la democrazia della Costituzione del 1948.

Il progetto di legge che punta all’elezione diretta del Presidente del Consiglio è del governo: questo va ricordato a quanti parlano di questa proposta come se si fosse frutto di una procedura normale, ma non è così. Certo, non è il primo governo che pretende di cambiare la Costituzione a suo piacimento (anche il governo Renzi ci ha provato, ma non ce l’ha fatta).

Una proposta del governo

In passato, quando si è cercato di cambiare la Costituzione, le iniziative sono state prese per lo più una sede parlamentare, quindi con il coinvolgimento di tutti i partiti presenti sia alla Camera che al Senato. Per questo sono nate le commissioni ad hoc come la “bicamerale”. Una commissione parlamentare è ben diversa da una proposta del solo Governo perché presuppone un confronto tra maggioranza e opposizione.

Mentre il governo rappresenta solo la maggioranza e, come sta avvenendo in questi giorni, sequestra la discussione su punti importanti, modificando continuamente il testo su come e quando si scioglie il Parlamento di fronte alla caduta del Presidente del Consiglio.

C’è un’altra anomalia di rilievo nella procedura scelta dal governo Meloni, che all’inizio aveva detto che la sua proposta avrebbe attuato il programma elettorale che ha ottenuto –e non è così – il mandato dagli elettori. Non è vero perché nel programma delle destre c’è l’elezione diretta del Presidente della Repubblica, mentre ora si propone di eleggere direttamente il primo ministro.

Soprattutto, non è vero che la maggioranza dei cittadini abbia affidato questo compito al governo, perché nel 2022 ha votato il 63% degli aventi diritto e la destra ha preso il 44% dei voti di questi, cioè il 28% del corpo elettorale. Quindi la maggioranza dei cittadini non ha dato alle destre alcun mandato a modificare la Costituzione del 1948.

Altro discorso è la maggioranza ottenuta in Parlamento grazie ad una legge elettorale incostituzionale e che ha regalato alle destre un premio di maggioranza del 15%, gonfiando i propri gruppi parlamentari per portarli al 59%. Le opposizioni attuali hanno certamente sbagliato a non modificare il Rosatellum quando potevano avrebbero potuto farlo, ma questo non può essere un alibi per le balle della maggioranza.

Le trappole del premierato

Va sottolineato che il governo ha presentato una proposta di modifica della Costituzione che nasconde la realtà delle proposte e tenta di oscurarne la portata. Primo esempio: il meccanismo elettorale proposto dal governo, anche tolta l’esplicitazione della soglia minima del 55% alla lista vincente, porterebbe ad un legame inscindibile dei parlamentari con il capo del governo e ciò sarebbe in contrasto con l’articolo 67 della Costituzione, che prevede invece che il parlamentare debba agire senza vincoli di mandato. Mentre il ddl del governo propone un ruolo del Parlamento subalterno/fedele al governo e in particolare al Presidente del Consiglio eletto direttamente, sotto la minaccia di elezioni anticipate, con un evidente ricatto che finisce, nei fatti, per introdurre un vincolo di voto che l’articolo 67 invece esclude.

Il governo si è ben guardato dal proporre una modifica esplicita dell’articolo 67, ma vuole comunque introdurre nel ddl una norma ad esso opposta, creando un’evidente contraddizione tra due articoli della Costituzione. Non è l’unico caso di modifiche introdotte fingendo che non sia già previsto il contrario. La proposta del governo, infatti, riduce drasticamente i poteri del Presidente della Repubblica a favore del capo del governo. Stessa situazione verrebbe a crearsi per il Parlamento che diventerebbe, come detto, di fatto subalterno al governo e in particolare al premier.

Ma perché il governo cerca di nascondere le conseguenze delle sue proposte? Per diverse ragioni, le più importanti sono: la preoccupazione di non spaventare l’opinione pubblica con troppe modifiche, anche rischiando di scrivere in Costituzione previsioni contraddittorie; evitare di scatenare reazioni come quelle che potrebbero verificarsi se diventasse esplicito il disegno di ridimensionamento del ruolo del Presidente della Repubblica (si dice che la sostanza non cambierebbe, ma è una balla); l’obbligo di prevedere un riequilibrio di poteri nei casi in cui ne vengano concentrati troppi sulla figura del Presidente del Consiglio (il noto meccanismo del check and balance), che nella nostra Costituzione attuale esiste e si basa sulla classica divisione dei poteri con al centro il ruolo del Parlamento, che non a caso nel 1948, dopo lo scioglimento forzato da parte del fascismo, è stato messo a fondamento della nostra Repubblica.

La “capocrazia” meloniana

Perché Meloni insiste sull’elezione diretta del Presidente del Consiglio? Perché sente il bisogno di una legittimazione, che la Costituzione democratica e antifascista non le assicura in quanto essa rappresenta un forte antidoto a pulsioni autoritarie e inopportune nostalgie. Per questo ci si è inventati la formula della Terza Repubblica (eco della Quinta Repubblica francese di De Gaulle) e della scelta diretta dei cittadini di chi deve governare, suggestione che è sempre stata forte a destra. L’insistenza sull’elezione diretta del Presidente del Consiglio, una sorta di “capocrazia”, dovrebbe appagare tutto e tutti, poi se ne riparlerebbe dopo 5 anni. Naturalmente i parlamentari dovrebbero continuare ad essere nominati dall’alto, cooptati per fedeltà, perché il loro compito è di garantire il governo del capo.

La controproposta a questo disegno, però , sarebbe semplice semplice: anziché limitarsi ad eleggere il capo del governo, non sarebbe molto meglio eleggere direttamente tutti i 600 parlamentari cambiando una legge elettorale demenziale che ha rotto il legame tra rappresentanti e rappresentati? D’altronde, con una legge proporzionale e l’elezione diretta dei parlamentari da parte dei cittadini cambierebbe la vita parlamentare stessa. Del resto, negli stati presidenzialisti come gli Usa, che eleggono direttamente il Presidente della Repubblica, il parlamento è eletto del tutto autonomo e senza vincoli nei confronti del Presidente. Vige, in quei sistemi, una forma di divisione dei poteri e di controllo reciproco.

È paradossale che Meloni chieda ai cittadini di eleggere direttamente il capo del governo visto, che è Presidente di FdI, dei Conservatori e Riformisti Europei e del governo italiano e che per di più si regge su una maggioranza falsata, che viene usata per fare passare le proposte come un rullo compressore, comprese l’Autonomia regionale e le modifiche della Costituzione.

In realtà, la proposta del governo cerca di garantire la permanenza al potere della maggioranza attuale, di relegare l’opposizione in un ruolo ininfluente e di modificare nel tempo altri aspetti della Costituzione, perché è evidente che nel mirino c’è il futuro Presidente della Repubblica che con la legge maggioritaria verrebbe eletto dalla sola maggioranza, che potrebbe così influire sulla Corte Costituzionale e sul Consiglio Superiore della Magistratura.

Le modifiche vanno viste per gli effetti immediati e per quelli che avranno nel tempo. Il risultato conclusivo sarebbe che la nostra Costituzione democratica – basata sulla divisione dei poteri – ed antifascista verrebbe compromessa. E così la Repubblica avrebbe una nuova Costituzione voluta dalle destre.

Difendiamo e lottiamo per attuare la nostra Costituzione, contrastando in Parlamento questa proposta e preparandoci al referendum popolare per bocciare questa svolta politica ed istituzionale autocratica ed accentratrice, che punta a fare diventare un/a capo/a l’unica figura istituzionale a cui tutti dovrebbero inchinarsi, senza neppure il coraggio di dirlo apertamente e senza la sensibilità democratica di affidare ad altri il potere di controllo e verifica del suo operato.

Le destre stanno litigando sul testo, ma questo non fa che rafforzarne l’arroganza e la protervia come dimostra l’inizio della discussione in commissione affari costituzionali del Senato. Facciamo suonare le nostre “campane” prima che sia troppo tardi.

Alfiero Grandi

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