Presidenzialismo cominciamo a dire basta

di Francesco Pallante - ilmanifesto.it - 18/04/2025
Regioni La vicenda del tentativo fallito di De Luca e la decisione della Corte costituzionale ci ricordano che l’obiettivo dovrebbe essere spresidenzializzare. Le regioni e non solo

Un piccolo, e in sé insignificante, episodio mi è tornato alla mente leggendo le recenti notizie in tema di annullamento della legge della regione Campania sul triplo mandato presidenziale.
Qualche mese fa, dopo aver ascoltato un bellissimo intervento contro l’autonomia differenziata pronunciato da un assessore regionale di centrosinistra, mi sono avvicinato per chiedergli a che punto fossero giunte le trattative avviate alcuni anni fa dalla sua regione con il governo (per dovere di cronaca: non si trattava dell’Emilia-Romagna). L’assessore mi guardò con aria (che a me apparve) sincera e rispose: «Non lo so, bisognerebbe chiedere al presidente o ai suoi più stretti collaboratori».

Dopo aver inizialmente pensato che – in conseguenza della svolta iper-presidenzialista voluta dall’Ulivo con la riforma costituzionale del 1999 – le opposizioni nei consigli regionali non contassero più nulla, mi ero successivamente convinto che, in realtà, l’infernale meccanismo del simul stabunt, simul cadent (per cui se, per qualsiasi motivo, viene meno il presidente, allora viene meno anche il consiglio regionale) avesse messo politicamente fuori gioco anche la maggioranza: e, dunque, l’organo assembleare nella sua interezza. La risposta dell’assessore mi svelò che, in effetti, la verticalizzazione del potere è stata ben più radicale: nemmeno la giunta regionale, composta da assessori nominati (e sempre revocabili) dal presidente, ha mantenuto alcun ruolo realmente significativo. Il solo organo politicamente e istituzionalmente rilevante nelle regioni è il presidente: da lui tutto dipende, non esistendo contropoteri in grado anche solo di impensierirlo.

Lo dimostra, emblematicamente, il rovesciamento di 180 gradi della posizione dell’Emilia-Romagna sull’autonomia differenziata: nonostante la posizione di fiancheggiamento della Lega fosse diventata politicamente insostenibile, anche a causa del cambiamento di linea del partito democratico a livello nazionale, è stato necessario che Michele De Pascale sostituisse Stefano Bonaccini nella carica presidenziale per consentire alla regione di ritirare formalmente le proprie richieste.

In questo quadro, incentrato su una figura apicale che corrisponde a quella di un vero e proprio «capo», il solo limite allo strapotere presidenziale è il contenimento temporale della durata della carica. Due mandati consecutivi, di cinque anni ciascuno, come massimo: per un totale di dieci anni, più di quanto qualsiasi presidente del Consiglio dei ministri abbia mai potuto sperare (il record, detenuto dal secondo governo Berlusconi, è di 3 anni e 10 mesi: salvo si preferisca prendere a termine di paragone Mussolini…). È la regola generale dei sistemi incentrati sull’elezione diretta del vertice dell’esecutivo, considerata l’enorme concentrazione di potere nelle mani di una singola persona che ne deriva. Un enorme potere, sì, ma per un tempo (relativamente) circoscritto: una soluzione di compromesso minimale, è vero; ma, proprio per questo, ancora più necessaria.

Dottrina e giurisprudenza – della Corte costituzionale e delle supreme magistrature di merito – hanno, nel tempo, messo a fuoco, anche con riguardo ai sindaci (che, nei comuni, godono di una posizione di strapotere analoga), i pericoli che una durata in carica eccessiva comporterebbe: rischio di personalizzazione del potere, affievolimento dell’imparzialità dell’azione amministrativa, agevolazione dei fenomeni di clientelismo, sclerotizzazione del quadro politico, indebolimento della par condicio elettorale, impedimento al ricambio della classe politica. Tutti fenomeni che finirebbero, in ultima istanza, per ripercuotersi sul libero esercizio del diritto di voto da parte dei cittadini.

Ebbene: se la posizione dei sindaci può forse essere ritenuta peculiare, dal momento che i comuni non esercitano poteri legislativi, ma operano all’interno di un quadro di scelte politiche definite ai livelli superiori, analogo discorso non vale per i presidenti di regione. Alla riflessione critica sul regionalismo italiano, che la bocciatura della legge Calderoli ha reso necessaria, occorre affiancare il ripensamento della forma di governo delle regioni, con l’obiettivo di spresidenzializzarla. E, invece, ciò di cui si discute, con il premierato, è la sua estensione anche al livello statale.

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