Non si può rimanere delusi che da una aspettativa tradita e penso che nessuno si aspettasse, dall’attuale governo, un PNRR rivoluzionario e nemmeno pienamente rispondente alle raccomandazioni che ormai da decenni esperti e scienziati formulano nel tentativo di arrestare la nostra folle corsa verso la distruzione del pianeta. Era però legittimo aspettarsi che venisse colta questa occasione unica per un ripensamento delle politiche ultra-liberiste più recenti, le cui conseguenze sono state solo accelerate dalla pandemia.
Nel documento approvato (praticamente a scatola chiusa) dal Parlamento troviamo invece confermate previsioni che speravamo definitivamente cancellate: dal ponte sullo stretto di Messina alla cosiddetta ‘autonomia differenziata’ regionale, solo superficialmente imbellettate da una spruzzata di richiami formali ai due veri obiettivi cui dovremmo tendere: la tutela dell’ambiente e la creazione di posti di lavoro. Problemi che richiedono scelte radicali, alternative all’attuale modello di sviluppo, che non vengono nemmeno prese in considerazione.
Non contenti di sapere che il materiale bellico disponibile a livello mondiale è più che sufficiente a desertificare il pianeta, continuiamo a incrementare le spese per armamenti. E in particolare per materiali spiccatamente aggressivi, come i famigerati F35, in barba all’articolo 11 della Costituzione.
Nonostante il ripetersi di frane e alluvioni continuiamo a investire poco nella manutenzione del territorio e negli interventi preventivi, consentiamo i disboscamenti, aumentiamo le aree cementificate, moltiplichiamo la rete viaria (in genere preliminare a nuove lottizzazioni), finanziamo nuova edilizia invece di incentivare efficacemente il recupero dell’esistente, pensiamo a nuove opere prevalentemente inutili, ma che avranno impatti pesanti, invece di garantire la sicurezza (basti pensare alla vicenda del ponte Morandi).
Là dove qualche intervento è stato previsto, è in genere insufficiente a rendere economicamente appetibili comportamenti ‘virtuosi’. Viviamo da tempo in una fase di sovrapproduzione a livello mondiale dei beni di consumo non essenziali, impiegando (e sprecando) risorse per produrre ‘cose’ che in gran parte non verranno mai utilizzate e finiranno per essere distrutte. Un sistema che per sopravvivere necessita di una continua spinta artificiosa al consumo, aumenta le differenziazioni fra aree ricche e povere del mondo, sottrae risorse a finalità ben più utili.
Continuiamo a utilizzare confezionamenti in materiale plastico (pensiamo agli alimentari nella grande distribuzione) in quantità assolutamente sproporzionata alla necessità reale, generando problemi enormi per il suo smaltimento e contribuendo a distruggere la fauna marina.
Più in generale, se pensiamo al problema occupazionale: l’inarrestabile sviluppo tecnologico, unito alla sovrapproduzione di cui ho già scritto, non può che allontanare l’obiettivo di assicurare a tutti un reddito da lavoro (non necessariamente dipendente). Preferiamo intervenire con provvedimenti assistenziali (pur indispensabili) piuttosto che ampliare il mercato del lavoro riducendo drasticamente il tetto delle 40 ore settimanali, risalente all’inizio del secolo scorso e spesso addirittura superato con il ricorso sistematico agli straordinari.
Questi sono alcuni dei problemi che dobbiamo e possiamo affrontare con coraggio e lungimiranza; a essi devono essere destinati finanziamenti non solo simbolici, così come al rilancio della rete dei servizi pubblici, indispensabile per adempiere all’obbligo per lo Stato di rimuovere le disuguaglianze fra le cittadine e i cittadini e garantire la loro piena libertà contenuto nell’art. 3 della Costituzione.
Questo ci dobbiamo aspettare da un vero programma per il futuro del nostro Paese, che non punti solo a mantenere in vita un sistema agonizzante, cui la pandemia sta dando solo il colpo di grazia.