Recovery, il vincolo esterno e l’opacità del Draghi-sistema

di Alfonso Gianni - ilmanifesto.it - 17/04/2021
A pochi giorni dalla sua presentazione in Parlamento, anche qui la data chiave è il 26 aprile, nulla si sa del Piano di Resistenza e Resilienza che pure dovrebbe giungere a Bruxelles l’ultimo del mese

Draghi ha voluto sottolineare che tale decisione è stata assunta nella cabina di regia (composta da alcuni ministri e dai capi delegazione di maggioranza) all’unanimità, per cercare di stornare l’attenzione dalla crescente turbolenza nel governo. Draghi ha negato di avere mai fatto un appello all’unità non essendovi stato bisogno, dal momento che nel governo e nella maggioranza si respirerebbe “un’atmosfera eccellente”. Ma tale immagine idilliaca evidentemente non corrisponde alla realtà, visto che ha dovuto nella stessa giornata difendere apertamente l’operato del ministro Speranza, obiettivo prescelto per gli attacchi da parte della destra interna alla maggioranza, oltre che, ovviamente, di quella esterna. Draghi non è sfuggito al tema dei rapporti fra Esecutivo e Parlamento.

Ma lo ha fatto in chiave puramente paternalistica, riconoscendo da un lato che, a causa dei tempi stretti in cui si è costretti ad operare, il Parlamento soffre di una perdita di ruolo e di potestà legislativa, dall’altro assicurando che la consultazione e i contatti fra il governo e l’assemblea parlamentare non sono mai venuti meno. In sostanza le modalità che regolano i rapporti fra Governo e Parlamento sono state aggirate in virtù dello stato di eccezione che di fatto si è venuto imponendo sotto l’ombrello giustificativo della lotta alla pandemia. E’ il “Draghi sistema”, cioè il vincolo esterno cogestito dall’interno, come ha scritto Lucio Caracciolo. Ove l’esterno più prossimo è in questo caso la Ue della cui costruzione reale Draghi è stato uno dei principali attori nel ruolo decisivo di presidente della Bce.

Ed è proprio su questo versante che si avverte il deficit di trasparenza e dunque di democrazia. A pochi giorni dalla sua presentazione in Parlamento, anche qui la data chiave è il 26 aprile, nulla si sa del Piano di Resistenza e Resilienza che pure dovrebbe giungere a Bruxelles l’ultimo del mese. Raccogliere le osservazioni parlamentari sul vecchio testo stilato dal precedente governo appare sempre più come un paravento per nascondere i protagonisti, le modalità e i luoghi effettivi di decisioni cui il nostro paese resterebbe vincolato fino al 2026, quindi ben oltre la durata di questa legislatura, sostanzialmente senza possibilità di modifiche. La principale materia, cioè la ricostruzione del paese, è sottratta all’assemblea legislativa.

Draghi ha detto, e prima di lui Paolo Gentiloni nel ruolo di commissario Ue, che le regole del debito non torneranno come prima. In effetti sarebbe pazzesco il solo pensarlo, visto il suo livello che nel nostro paese è giunto al 159,8%. Il più alto degli ultimi cento anni, mentre il deficit è salito all’11,8%. Quindi il Patto di stabilità non va solo sospeso, ma completamente ripensato con altri criteri, e il fiscal compact cacciato in soffitta e fuori dalla nostra Costituzione.

Draghi ha ripetuto ostinatamente la sua formula: bisogna crescere. Ma qualcuno può veramente pensare che in questa situazione interna e mondiale il nostro paese possa crescere e al contempo favorire una ripresa dell’inflazione tale da ammorbidire il servizio al debito? O non è il caso che il governo si faccia portatore in Europa di una proposta per un taglio del debito, almeno nella parte contratta nella pandemia? Di questo si è cominciato a discutere nella Ue, ma con troppa timidezza e con un’alzata di scudi da parte dei “paesi frugali” e di Visegrad che intendono mantenere la prossima conferenza sul futuro dell’Europa, annunciata il 10 marzo, rigidamente entro i vecchi conservativi binari lasciando intatti i Trattati. Draghi ha detto che dobbiamo guardare il mondo con gli occhi di adesso, non quelli di ieri. Bene. Ma questo non riguarda solo la finanza ma la concezione stessa della crescita.

Questo dovrebbe essere il cuore del Recovery Plan e delle “riforme di contesto”, quale quella sul fisco, rimandata nel tempo e priva di linee conduttrici. Senza un’innovazione radicale, una vera e non green washing conversione ecologica dell’economia, non si “crescerà” qualitativamente, ma neppure quantitativamente. Parti importanti della società civile, pur nelle difficoltà del distanziamento forzato, il problema se lo sono posto e hanno avanzato delle soluzioni. Non c’è bisogno degli esperti della McKinsey per capire che è con queste intelligenze ed esperienze diffuse che un buon governo dovrebbe confrontarsi. Parafrasando Walter Benjamin: è giunto il momento in cui l’umanità, costretta a viaggiare in un treno lanciato verso la pauperizzazione della società e la distruzione del pianeta, tiri il freno di emergenza.

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