A gennaio, infatti, esauriti le verifiche di competenza della Cassazione, la stessa Corte costituzionale dovrà valutare se il referendum richiesto da 1.300.000 persone sia ammissibile. Per chi ritiene di dover contrastare non solo le incostituzionalità, ma il complessivo disegno politico di divisione dell’Italia che l’attuale maggioranza promuove è questo il passaggio decisivo.
Ci sono rischi che la Corte chiuda la porta al referendum, dichiarandone l’inammissibilità? Vista la storica indeterminatezza della giurisprudenza costituzionale in materia di referendum non può escludersi nessun esito. È però vero che tutte le obiezioni che vengono avanzate sembrano infondate, alla luce della stessa, pur controversa, giurisprudenza costituzionale. Appare pertanto utile esaminare i principali argomenti che dovrebbero indurre la Corte a non impedire che il corpo elettorale possa pronunciarsi ai sensi dell’articolo 75 della Costituzione, esercitando un suo diritto costituzionale.
In primo luogo, si sostiene che la richiesta non sarebbe ammissibile perché «collegata con la legge finanziaria». In tal caso si dimentica però che la Corte ha sempre tenuto a precisare che per dichiarare inammissibili i quesiti referendari la connessione con la finanziaria deve operare «al di là della loro qualificazione formale». Non basta, dunque, una relazione solo apparente che, come scrive la Corte, «di per sé non idonea a determinare effetti preclusivi in relazione alla sottoponibilità a referendum» (così la sentenza n. 2 del 1994). La Consulta è del tutto consapevole che altrimenti basterebbe includere un qualunque disegno di legge tra i «collegati» alla finanziaria per impedire il referendum. Ora, è proprio questo il nostro caso: che il legame con la legge finanziaria sia puramente formale, è esplicitatamene confessato dalla dichiarazione di invarianza finanziaria (all’articolo 9, della legge n. 86 del 2024). La legge Calderoli è una legge di natura procedurale e non di spesa. Essa rinvia espressamente ad altre fonti le eventuali variazioni di bilancio. Dovrebbe, dunque, essere evidente che – usando le parole della stessa Corte – non sussiste il presupposto necessario per dichiarare l’inammissibilità.
In secondo luogo, è stato sostenuto che si tratterebbe di una legge «a contenuto costituzionalmente necessario». Senza però considerare che l’inammissibilità dei relativi quesiti è stata in passato causata dal timore manifestato dalla Corte che l’abrogazione determinasse «la soppressione di una tutela minima per situazioni che tale tutela esigono secondo Costituzione» (sentenza n. 35 del 1997). Non è questo il nostro caso: la legge Calderoli è una legge – lo si ripete – di natura procedurale, per nulla necessaria per dare attuazione all’articolo 116, terzo comma della Costituzione. Tanto è vero che le intese tra Stato e Regioni le si voleva approvare – tanto dal governo Gentiloni quanto dal successivo governo Conte I – anche in assenza di legge attuativa. Da ultimo è stato lo stesso maggior fautore dell’autonomia differenziata – il presidente Luca Zaia – ad affermare con arroganza che anche nel caso vincesse il referendum l’autonomia differenziata si può fare: reo confesso.
In terzo ed ultimo luogo, si denuncia una presunta «disomogeneità del quesito». Ma in questo caso non mi sembra si tenga conto che il referendum contro l’autonomia differenziata ha natura dichiaratamente abrogativa. Da questo punto di vista assolutamente in linea con quanto imposto dall’articolo 75 della nostra Costituzione, che prevede espressamente l’abrogazione totale dell’intera legge. Non è applicabile, dunque, al caso di specie tutta quella ampia e controversa giurisprudenza (ad iniziare dalla sentenza n. 16 del 1978) relativa alla necessaria «omogeneità» della richiesta referendaria, elaborata per limitare i referendum manipolativi o di abrogazione parziale della legge. Nel nostro caso, il rischio della disomogeneità è negato in radice, avendo la legge una matrice o finalità unitaria e non avendo i promotori operato alcuna artificiosa manipolazione del testo.
La scelta dei promotori del referendum è stata improntata alla chiarezza della domanda da sottoporre al corpo elettorale: unitaria e onnicomprensiva. Sarebbe contraddittorio ora imputare a tale univoca scelta di volere confondere l’elettore. Insomma, abbiamo buoni argomenti da far valere dinanzi alla Corte. Poi ad essa, certo, spetta l’ultima parola.
Sui temi di questo intervento si terrà stamattina a Roma, presso la facoltà di Giurisprudenza della Sapienza, un convegno di costituzionalisti dedicato appunto all’ammissibilità del referendum. Parteciperanno anche ex giudici della Corte costituzionale e due presidenti emeriti della Corte.