Sul premierato mai nell’«arco costituzionale» della destra

di Massimo Villone - ilmanifesto.it - 21/12/2023
Se diciamo no alla proposta dell’elezione diretta del premier assistita da un maggioritario scritto in Costituzione, introdurvi piccoli correttivi sarebbe la peggiore sconfitta

Nel premierato della destra il punto fermo è l’elezione diretta del presidente del consiglio. Che trascina con sé come corollario intangibile l’assist maggioritario all’elezione, senza il quale non sono garantiti gli obiettivi conclamati di stabilità e governabilità.

Un doppio punto fermo, dunque, che rovescia l’impianto costituzionale uscendo dalla forma parlamentare di governo. Tutto il resto può cambiare, ma la sostanza rimane. Sulla riforma non si deve inseguire la destra, e bisogna invece prepararsi da subito a una battaglia referendaria. Non si può e non si deve entrare in un nuovo «arco costituzionale» egemonizzato da Giorgia Meloni.

DA ATREJU LA PRESIDENTE ribadisce con nettezza l’elezione diretta del premier, anticipando lo scenario di un referendum che non teme, e che anzi cerca per legittimazione. Non è – ha precisato – un referendum su lei stessa, ma sul futuro dell’Italia. E chi può deciderlo meglio degli italiani, più consapevoli – dice – di quanto un «certo mainstream» li rappresenta? Casellati ripropone il risibile argomento di una «riforma minimale», in cui peraltro l’elezione diretta è irrinunciabile.

La Russa lamenta che le mediazioni hanno peggiorato il testo, e che è meglio andare da soli. Ammette, poi, il ritaglio in chiave notarile dei poteri del Capo dello Stato. Sarebbe però – ed è tesi fantasiosa forse suggerita da un ghost writer costituzionalista o aspirante tale – il recupero di un originario disegno della Carta, slargatosi poi in modo abnorme nella costituzione materiale.

La strategia della destra è a verbale. È il campo progressista ad avere un problema, mostrando pulsioni verso mediazioni impossibili con una destra da cui non vengono segnali di significativo e operoso ravvedimento. I mediatori ad oltranza devono chiedersi: accettiamo l’elezione diretta del premier assistita da un maggioritario scritto in Costituzione? Se la risposta è no, attenzione. Perché se la riforma della destra mantenesse i suoi connotati fondamentali introdurvi piccoli, marginali e ininfluenti correttivi sarebbe la peggiore sconfitta. Darebbe il messaggio di essere non solo perdenti, ma anche subalterni e succubi delle scelte della destra. Un errore politicamente costoso. Su tutto fa premio l’opzione referendaria, nonostante gli autorevoli consigli a Meloni di raggranellare i due terzi per evitare «l’incognita» del voto popolare (Cassese, Libero del 9 dicembre).

A POCO VALGONO le dotte ricostruzioni in tutto o in parte originali o imitative di modelli altrui, come ad esempio la proposta Ceccanti o il recente paper della Fondazione ASTRID. Se i punti essenziali della proposta della destra rimangono – e tutto indica che sarà così – è un errore condividerne la premessa di base che la Costituzione va riscritta in quanto debole e difettosa, magari ab initio (per questo ho rifiutato di firmare il paper di ASTRID).

La storia va invece letta senza seguire i luoghi comuni della stabilità e della governabilità, che gli ultimi trenta anni dimostrano fragilissimi. Vanno ricostruite istituzioni capaci di rappresentare e mediare interessi e conflitti. Come? La parola d’ordine non è eleggere direttamente il primo ministro, lontano e irraggiungibile, ma un parlamentare cui possiamo efficacemente chiedere di portare la nostra voce nei luoghi del decidere. Quindi, legge elettorale proporzionale che ridia a chi vota la scelta degli eletti, legge sui partiti politici, finanziamento della politica. La priorità è ripristinare le fondamenta. Il resto viene dopo.

SU QUESTO VA impostato il messaggio nel lavoro parlamentare, evitando l’appeasement. Una linea da sostenere dando vita, senza ritardo, a una rete civica di forme associative e comitati, volti a costruire con chi è disponibile radicamento e consapevolezza nel confronto referendario che verrà.

La rete va attivata anche sull’autonomia differenziata, la cui perversa sinergia con il premierato è dichiarata ed evidente. Il disegno di legge Calderoli andrà in Aula in Senato il 16 gennaio. Subito dopo, è in calendario il disegno di legge costituzionale di iniziativa popolare promosso e sostenuto dal Coordinamento per la democrazia costituzionale, volto a modificare gli articoli 116 e 117 della Costituzione.

Il mondo di oggi costringe talvolta a drastici ripensamenti, e offre ben poche certezze. Ma di una cosa siamo incrollabilmente sicuri: nel pantheon delle madri e dei padri costituenti ai Mortati e Calamandrei non aggiungeremo Meloni e La Russa.

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