Alla fine Mattarella, uomo paziente, ne ha avuto abbastanza. Ha segnalato che i ritardi infiniti nella stesura dei decreti legge già approvati in consiglio dei ministri con la formula «salvo intese» rendono necessaria una nuova deliberazione del consiglio dei ministri.
Mattarella ha ragione. Forse qualcuno eccepirà che in tal modo il Presidente interferisce in un processo politico al quale è – e deve rimanere – estraneo. Ma non dimentichiamo che il capo dello Stato emana i decreti-legge e autorizza la presentazione alle camere della legge di conversione. Potrebbe anche rifiutare l’emanazione nel caso di manifesta incostituzionalità. Ad esempio, per la mancata copertura di una spesa. Quindi, una parola potrà ben dirla.
Il punto è che l’approvazione «salvo intese» è di per sé censurabile, in specie nel caso del decreto legge. Dove finiscono i presupposti di straordinaria necessità ed urgenza richiesti dall’articolo 77 della Costituzione se passano addirittura settimane dalla deliberazione in consiglio dei ministri alla emanazione?
Ma c’è di più. Il «salvo intese» spedisce il testo in un percorso imperscrutabile e occulto, dal quale emergerà un testo. Ma le intese saranno intervenute con chi, dove, quando? Al più, ci saranno rumors e illazioni, e l’alta probabilità che alla fine tutto passi attraverso un confronto tra i due dioscuri di governo, Salvini e Di Maio.
Vengono allora meno altri due elementi che concorrono decisivamente alla solidità costituzionale del decreto: la collegialità, e la piena assunzione di responsabilità di tutto il consiglio dei ministri. Nel modello del decreto legge posto dall’art. 77 della Costituzione tutto il governo decide, tutto il governo è responsabile. Ed è ovvio che sia così, poiché dal consiglio dei ministri esce una regola giuridica che vincola immediatamente tutti i cittadini italiani con la forza della legge. Non è cosa da poco.
Quel che meraviglia davvero è che sia Mattarella a chiedere una nuova deliberazione, e non i ministri alla cui decisione e responsabilità l’esito viene imputato. Come si dice spesso, la forma è sostanza. E certo nella forma della decisione di un consiglio dei ministri si traduce la sostanza di equilibri politici generali e di coalizione. È la precarietà di questi equilibri che il «salvo intese» traduce nella deliberazione. E che pone nell’organo collegiale non ministri della Repubblica, ma ectoplasmi di governo.
La precarietà è un connotato generale del governare in gialloverde, che nasce da un «contratto» che ha giustapposto le priorità degli alleati-competitors, ma non ha generato un progetto politico condiviso. In questo momento l’Italia è un paese che ha un governo, ma, per dirla con i costituzionalisti, non un indirizzo di governo. In molti casi ne ha due, o più, o nessuno per le tante questioni non contemplate dal contratto. La cosa andrebbe affrontata nelle sedi opportune, ovviamente prima di arrivare in consiglio dei ministri, e non dopo.
La stessa precarietà spiega la sollevazione contro Salvini dei generali, che affermano – per l’ultima direttiva sui migranti – di rispondere al ministro della difesa e al capo dello Stato. Per una volta, siamo d’accordo con i generali. Al ministro dell’interno è già in larga misura riuscito il gioco di intestarsi il messaggio securitario, e vuole proseguire in fuga solitaria. Leggiamo ora di una direttiva che chiede ai prefetti di sostituirsi con propria ordinanza ai sindaci nell’adozione dei daspo urbani. Bisognerà farne un’analisi attenta, ma, a parte i dubbi sulla costituzionalità, è chiaro il messaggio che Salvini è l’unico vero argine contro minacce o turbamenti all’ordine e alla sicurezza pubblica. Ovviamente, non può essere questa la strada per attrarre sul Viminale ogni decisione sugli ingressi nel paese o sulla convivenza nelle città. Ancora cerchiamo di capire che fine abbia fatto la competenza di Toninelli, ministro delle infrastrutture, sui porti.
Nei governi che si rispettano le decisioni complesse si affrontano con intese e concerti tra ministri, e non a colpi di direttive solitarie e di comunicazione sui social. Salvini ci preoccupa. La prossima volta che torneremo dall’estero avremo momenti di ansia alla frontiera. Troveremo una direttiva Salvini che ci costringerà raminghi in terra straniera?