L’Associazione Italiana di Psicologia (AIP), società scientifica dei ricercatori e professori universitari di psicologia, esprime alcuni commenti sull’impatto psicologico di alcune parti della Legge 132/2018 (il cosiddetto Decreto sicurezza), in particolare sul rapporto tra le finalità del legislatore – che rispondono a un diffuso senso di insicurezza collettiva - e i mezzi per perseguirle nel nostro contesto psicosociale.
Sono stati da più parti evidenziati i rischi dell’eliminazione, prevista nell’art. 1, del permesso di soggiorno per motivi umanitari, sin qui applicato a quanti - pur sprovvisti dei requisiti per ottenere l’asilo politico o la protezione sussidiaria - sono esposti in caso di rimpatrio al rischio di trattamenti disumani o a restrizioni della libertà. Questo può avere come conseguenze:
a) la drastica riduzione del numero dei potenziali beneficiari del permesso di soggiorno e l’ulteriore indebolimento delle tutele giuridico-assistenziali dei rifugiati, nonché la perdita di condizioni di proficuo inserimento già acquisite da molti immigrati;
b) l’aumento del numero degli irregolari (nell’ordine di sessanta-settantamila, secondo previsioni attendibili), con nuove e più gravi forme di marginalità, favorite peraltro dal depotenziamento del Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati (SPRAR).
Riguardo gli impatti psicosociali della Legge, che sono quelli di nostra pertinenza, segnaliamo che i fenomeni di crescente marginalità (precarietà, povertà, non fruibilità di presidi sanitari e, più in generale, assistenziali) potranno agire sulla salute dei migranti, in termini di maggiore incidenza di malattie, disagio psicologico, disturbi psichiatrici, condotte autolesive e suicidarie. È inevitabile, peraltro, che gli effetti negativi diretti e indiretti del provvedimento riguarderanno la stessa società italiana, generando così effetti opposti alle misure e allo spirito della Legge.
La letteratura scientifica mostra da tempo come condizioni di marginalità alimentino comportamenti antisociali e devianti. È dunque prevedibile che l’incremento di immigrati irregolari innalzi l’incidenza di fenomeni di deriva sociale, segregazione territoriale e micro-criminalità. Fenomeni, questi, che in una sorta di cortocircuito incontrollabile proiettano sull’immigrato l’immagine sinistra del “nemico” pubblico, generando fenomeni di intolleranza, rancore, odio e tensioni crescenti nella società italiana, di cui la cronaca ci offre già alcuni segni preoccupanti.
Non pochi osservatori hanno rilevato che la Legge 132/2018 rappresenta, in qualche misura, il tentativo del Legislatore di rispondere alla insicurezza sociale ed economica della società italiana determinata dalle dinamiche della globalizzazione. Secondo un recente studio, circa il 60% della popolazione adulta italiana nutre un sentimento di sfiducia nel proprio futuro, di incertezza e al tempo stesso una visione negativa dell’immigrato. Tali sentimenti assumono i caratteri di una reazione emozionale e di difesa dell’identità, che si organizzano – come già avvenuto in altre epoche storiche e contesti sociali - in funzione di un potenziale “nemico” (italiani versus stranieri) senza le opportune distinzioni all’interno di categorie comunque intese come un potenziale pericolo.
La difesa emotiva dell’identità, sollecitata peraltro da suggestioni mediatiche che trasformano il fenomeno immigrazione in un prevalente problema di sicurezza, appare a molti l’unica protezione possibile dalla minaccia di un nemico ‘esterno’. In questo contesto psicologico, se da un lato la Legge 132/18 risponde al reale bisogno di sicurezza dei cittadini, dall’altro – accompagnata dalle retoriche di una comunicazione politico-mediatica pervasiva – evoca, nelle persone più suscettibili a queste comunicazioni, reazioni viscerali ed emozionali che generano ulteriori insicurezze.
Sia chiaro, ad ogni latitudine rilevanti fenomeni migratori generano inevitabilmente criticità economico-sociali, specie nei segmenti più svantaggiati della popolazione. Qui, però, è in questione la conversione di oggettivi elementi di criticità sociale in rappresentazioni simboliche ostili, che hanno ricadute negative sulla fiducia sociale e sulla convivenza civile. Infatti, per la sua cifra emotiva arcaica, lo schema “amico/nemico” non resta circoscritto all’oggetto specifico che lo innesca, ma tende a generalizzarsi a tutti gli ambiti della vita sociale.
Negli ultimi decenni, le scienze psicologiche hanno prodotto evidenze in favore del carattere non alternativo ma complementare di identità e diversità. L’identità di un popolo si fonda sulla costruzione paziente e faticosa della pluralità e della convivenza delle differenze (etniche, ma non solo) come del resto realizzata in diverse epoche e in diversi paesi.
Il tema dell’immigrazione, prima che sul piano legislativo va affrontato a partire dalle evidenze scientifiche psicologiche e sociali, improntando l’azione di governo a un autentico pluralismo etnico-culturale. Non solo per ragioni etiche o per la propensione verso forme indiscriminate e ‘buoniste’ di accoglienza, ma per far sì che l’incontro con continenti simbolici e immaginali, anche di origini lontane, fecondi la vita sociale e le istituzioni pubbliche, garantendo spazi di libertà e non di restrizione ai diversi attori della società civile. Si incrementa così, anziché depauperarlo, il ‘capitale sociale’, inteso come atteggiamento di fiducia, congiunto a norme che regolano la convivenza e le reti di impegno civico.
Il governo di fenomeni complessi come i flussi migratori e la convivenza tra comunità etniche plurali non solo riducono le diseguaglianze, ma possono trasformare questi stessi fenomeni in autentica ricchezza per quella “comunità di destino comune” che definiamo società.
Il documento completo, incluse le citazioni bibliografiche, è consultabile nel sito AIP al link https://www.aipass.org/aip-immigrazione-e-sicurezza