Il “governatore”Bonaccini, l’uomo che ha spiegato all’Italia come “La destra si può battere”, e che sarebbe balzato agli onori della cronaca come auspicabile candidato alla guida del PD, deve in parte la sua vittoria all’aiuto di una potentissima società americana, la Social-Changes, che gli avrebbe elargito aiuti gratuiti sotto forma di produzione di video e sponsorizzazioni social[1].
Che cosa vuole questa fondazione, privata e americana, diretta dall’ex video-maker di Obama, di cui nessuno conosce i reali finanziatori, che investe in ogni angolo del pianeta risorse ingenti su candidati e candidate alle istituzioni pubbliche, scelti in base a criteri privatistici e in modalità riservata?
Questa fondazione americana in occasione delle elezioni in Emilia-Romagna ha messo a segno un risultato davvero considerevole.
In un colpo solo ha contribuito a far eleggere Bonaccini in qualità di Presidente della Giunta regionale, Elly Schlein, in qualità di vice-presidente della Giunta, Marilena Pillati, in qualità di presidente del Consiglio regionale, la Petitti in Consiglio regionale. Tutti costoro avrebbero usufruito dei servizi forniti da questa società americana.
Come non ricordare la retorica post-voto? “Il modello emiliano-romagnolo che parla al paese...”; “Dall’Emilia Romagna all’Italia, idee per un paese migliore”, a sottolineare la pretesa di guardare più in là, alla guida del paese, del partito…; il “miracolo Schlein.…”, che “ha fatto il pieno di preferenze...”
E’ stato proprio l’alto numero di preferenze ricevute a determinare l’attribuzione a questi personaggi della carica istituzionale che attualmente ricoprono.
La sfida dell’ agenzia americana peraltro è stata ancor più ambiziosa: prefigurare addirittura una coalizione di governo, attorno a Bonaccini presidente. Formalmente una alleanza di centro-sinistra, partorita a tavolino, costruita su Bonaccini e Schlein, che davano una mano di tinta riformista e democratica, ad un carrozzone inqualificabile, che includeva al suo interno di tutto: da Casini ai repubblicani, ai liberali, ai renziani, a più Europa. Insomma un sedicente centro sinistra liberale e liberista, la cui quintessenza, nel passato e nel presente, è quella di spegnere le lotte, smobilitare e disgregare le masse, dispensare velenosi strumenti culturali e ideologici, come la compatibilità e l’accettazione di questo sistema.
Riflettiamoci: una fondazione statunitense mette a segno in varie parti del mondo risultati politici di prim’ordine, dall’elezione del presidente degli USA all’elezione di un presidente regionale in Italia, assicurando sostegni, appoggi, strategie, finalizzate a determinare l’ascesa ai vertici delle istituzioni pubbliche della classe dirigente prescelta, funzionale ad uno stesso disegno economico, politico, sociale.
Abbiamo di fronte una rappresentazione nitida di quella sorta di “governamentalità privatizzata” (Brown 2015), che dagli USA all’Italia, senza soluzione di continuità, toglie la maschera alla retorica della democrazia, delle libere elezioni democratiche, del pluralismo politico .
Esiste solo la “libera” concorrenza tra potenti lobby per il controllo residuo della governance, esistono i modi, resi legittimi dal potere politico, di determinare con cospicui finanziamenti le scelte fondamentali della classe politica in corsa per le elezioni, nazionali o locali che siano.
I portatori dei grandi interessi privati si attivano attraverso tali fondazioni al fine di prefigurare forme di governance che assicurino il ruolo subalterno delle istituzioni pubbliche ai meccanismi del mercato, rese sempre più prone a sostenerne le istanze del controllo e del dominio, dell’espansione e della concentrazione nella lotta per la concorrenza, ancora più aspra in un contesto di grande instabilità economica e finanziaria.
Anche in Emilia Romagna è scomparsa la funzione pubblica e sociale delle istituzioni, quella di riequilibrare le storture del mercato, con interventi di redistribuzione della ricchezza e di tutela dei ceti meno abbienti (portata avanti nel passato da un ceto di amministratori straordinari che avevano fatto dell’equità ed inclusività la loro bandiera) e si è affermata quella di garantire la concorrenza e di veicolare le risorse economiche dall’ambito pubblico a quello di imprese, banche e finanza.
Il Patto per il lavoro (leggi: per le imprese), siglato nel 2015 in Regione Emilia-Romagna, puntava a sostenere le imprese nella corsa alla produzione “di valore aggiunto”, che le rendesse più attrattive e competitive sul mercato. Lo stesso Programma di mandato di Bonaccini esplicitava che la priorità era ”investire su ciò che può produrre valore aggiunto per il nostro sistema economico produttivo”.
Diverse imprese multinazionali (P. Morris,Toyota, Procter and Gamble, Lamborghini ecc.), in occasione della sottoscrizione di un Protocollo tra Regione e Confindustria, denominato Retention, hanno dichiarato il loro “interesse a difendere e proteggere questo sistema emiliano-romagnolo”.
Il disegno politico perseguito da Social-changes è proprio quello di sostenere l’affermazione di un sedicente modello di centro-sinistra, intrinsecamente neo-liberista, che faccia della competitività e attrattività delle imprese sul mercato la mission delle istituzioni pubbliche.
Il modello emiliano romagnolo in salsa Bonaccini si fonda sul paradigma vincente rappresentato dal consociativismo tra istituzioni, imprese, lobby, cooperative, università, privato sociale, corpi intermedi, tutti integrati e cooperanti nel governo regionale, conditio sine qua non dell’alto livello produttivo e riproduttivo regionale.
La giunta regionale ha favorito privatizzazioni a tutto spiano, cementificazioni, autostrade, grandi opere dannose, inceneritori, autonomia differenziata, legge urbanistica regionale, che azzera la pianificazione pubblica, welfare a privati e terzo settore, privatizzazione della sanità, non contrasto a cooperative spurie e caporalato, ecc.
Tale paradigma agita la bacchetta magica delle partner-ships pubblico-privato, che trasforma tutto in PRIVATIZZAZIONI.
La Regione Emilia-Romagna è in prima fila, al fianco di Lombardia e Veneto, nella richiesta di attuazione dell’autonomia differenziata che attribuirebbe a queste regioni piena capacità legislativa su ben 23 materie e in contrasto con l’impianto solidaristico della Costituzione, la piena disponibilità delle ben più rilevanti quote dei tributi maturati nel territorio, in quanto regione più ricca.
Sembra di essere stretti dentro la morsa di una sorta di Internazionale neo-liberista, che assicura ovunque il predominio di forme di governo, strutturate attorno ai meccanismi del mercato.
Il neoliberismo non è solo una teoria economica, ma soprattutto una forma di governo, una sorta di “razionalità politica”, funzionale al mercato ed alla concorrenza, il cui scopo essenziale è di dirigere gli individui verso forme di soggettivazione che li rendano conniventi col potere (Foucault, 1978).
La macchina mediatica scatenata da PD e alleati durante le elezioni ha fatto la differenza: ha convinto gli elettori che il modello politico, economico e sociale emiliano-romagnolo, espressione di sinergia, collaborazione, cogestione di pubblico e privato, è vincente, addirittura “un passo avanti”.
[1]Ne hanno dato notizia, non smentita, le pagine regionali di Repubblica del 27 e del 28 dicembre 2020.