Quando si ritornerà alla normalità? Ma la normalità è questa: quella delle misure dell’emergenza coronavirus. Quella che invece abbiamo conosciuta negli ultimi decenni (e anche prima) non era “normalità”, ma una immane deviazione da come sarebbero dovute andare le cose.
Nell’emergenza coronavirus ci sono cose inaccettabili se dovessero durare, che dobbiamo adoperarci per aggirare o superare al più presto (senza mettere in pericolo l’incolumità nostra o altrui): sono le misure che limitano o cancellano gli incontri di ogni tipo, la dimensione sociale – fisica e non virtuale – delle nostre esistenze, quella che fa di noi degli esseri politici, ma anche la perdita di lavoro e di reddito per chi campa del proprio lavoro. Ma ci sono anche cose che dobbiamo imparare ad apprezzare: l’aria pulita, il cielo stellato, parchi e giardini pieni di gente di tutte le età, medici e infermieri che si adoperano per te. E poi la riduzione del traffico, dell’inquinamento, degli acquisti inutili, delle attività superflue, dei ritmi di lavoro insostenibili, del turismo compulsivo, delle crociere (la maggiore fonte di infezione!), dei grandi eventi, dei viaggi d’affari e di tante altre cose che sono arrivate di conseguenza.
Usiamo quest’occasione per discernere vantaggi e svantaggi di questo tempo e per studiare come salvaguardare e sviluppare i primi e neutralizzare e superare gli altri. Perché, quando l’emergenza coronavirus sarà finita, ci ritroveremo in mezzo a un’altra emergenza, ben maggiore, quella climatica e ambientale, che in realtà ha preceduto e in parte forse anche causato l’altra, tanto da essere dichiarata ben prima, anche in molte sedi ufficiali. Ma senza che a questa dichiarazione facessero seguito scelte e decisioni corrispondenti: “la nostra casa brucia”, ripete Greta, “e voi continuate a pensare ai vostri affari come se l’incendio dovesse spegnersi da solo”.
Il coronavirus ci insegna che emergenza vuol dire cambiare abitudini, cambiare comportamenti, cambiare vita. E soprattutto che se non vogliamo subire solo scelte fatte da altri, queste cose dobbiamo imparare a farle tutti insieme, a condividere le decisioni e a imporle a chi non vuole saperne. Per la salvezza di tutti.
Non siamo in grado di valutare la misura del colpo che il coronavirus assesterà all’economia italiana e a quella mondiale. Ma sarà ingente, a riprova della fragilità di un assetto che esibisce invece ogni giorno la potenza planetaria della finanza – e di chi la controlla – per cercare di convincerci che nulla può o deve veramente cambiare (Tina: there is non alternative). E ci chiameranno a ricostruire quel mondo, quel panorama sociale, quello stesso spettacolo che il coronavirus avrà temporaneamente alterato o interrotto.
Ma a quel punto l’emergenza climatica e ambientale, che intanto continua a crescere, si ripresenterà sulla scena – in realtà non se ne è mai allontanata – con una forza cento volte superiore a quella del coronavirus. Che però, oggi e domani, ci dà l’occasione di prepararci ad affrontarla con la consapevolezza che le alternative ci sono: una vita più sobria, lavori meno frenetici, la riconquista di tempo da dedicare a noi e alle nostre relazioni, pause per riflettere sul senso delle nostre esistenze, ma soprattutto un ambiente meno soffocato e soffocante, con meno smog, meno veleni, meno rumori, meno ferraglia per le strade, meno spettacoli degradanti, soprattutto sulla scena della “vita politica”.
Una, anzi molte ragioni in più, per non fare più guerre: sia a coloro che cercano la salvezza nei nostri paesi (segno evidente che il coronavirus non ha comunque reso le nostre terre e le nostre vite peggiori di quelle da cui tanti profughi sono stati costretti a fuggire), sia nei tanti paesi da cui, anche e soprattutto con il nostro stile di vita e la nostra indifferenza, li stiamo costringendo a fuggire.