Migranti. Tunisia, il prezzo della frontiera: così i soldi italiani finanziano la repressione di Saied

di Youssef Hassan Holgado - Domani - 26/10/2025
Oggi in Tunisia, con la complicità dei soldi dell’Ue e dell’Italia, c’è un sistema che non si limita a respingere chi parte ma mette a tacere anche chi prova a raccontarlo.

Il paese nordafricano è diventato un laboratorio di repressione finanziato con fondi europei e italiani. Lo dimostra anche l’ultimo rapporto di Avocats Sans Frontières “Prigioni a cielo aperto”. Solo da Roma sono arrivati 40 milioni in quattro anni, mentre nel paese il regime è sempre più forte. Dietro il calo degli sbarchi provenienti dalla Tunisia c’è una realtà che non viene rappresentata nelle statistiche del Viminale sugli arrivi in Italia. Dietro ogni numero c’è una storia, fatta di violenze e repressione con la complicità delle istituzioni italiane. Sono storie che passano in secondo e terzo piano nella propaganda di governo che continua a vantare a ogni occasione utile il segno meno davanti ai numeri del ministero. Lo scenario tunisino sta diventando sempre più preoccupante. Il paese nordafricano è diventato un laboratorio di repressione finanziato con fondi europei e italiani.

Alle prove presentate da diverse inchieste giornalistiche internazionali si aggiunge il rapporto “Prigioni a cielo aperto” realizzato da Avocats Sans Frontières che documenta - dati alla mano - come la cooperazione tra Roma, Bruxelles e Tunisi non ha fatto altro che legittimare il regime repressivo del presidente Kais Saied con l’obiettivo di fermare le partenze ma a discapito di violazioni di diritti umani che sono all’ordine del giorno. In un solo anno, le intercettazioni in mare sono aumentate del 45 per cento, mentre le partenze verso l’Italia sono crollate dell’80 per cento. Ma insieme ai numeri ufficiali crescono anche le denunce: respingimenti collettivi, deportazioni nel deserto, arresti di massa.

In questo scenario preoccupante l’Italia svolge un ruolo di primo piano. Negli ultimi vent’anno le autorità hanno non soltanto hanno garantito finanziamenti milionari alla Tunisia, accompagnati da mezzi marittimi e terrestri, ma hanno anche addestrato la Guardia costiera tunisina diventata nel mentre sempre più violenta con i migranti subsahariani e i cittadini tunisini. 

Dal 2020 al 2024 i fondi italiani hanno superato i 40 milioni di euro, destinati alla riparazione e all’acquisto di motovedette, fuoristrada e sistemi di sorveglianza. Ogni incremento di partenze, spiega il rapporto, è seguito da nuove forniture o protocolli: una catena che lega gli aiuti alla capacità di “contenere” i flussi. Questo trend è riscontrabile più volte. A ogni aumento delle partenze, ci sono nuovi accordi economici. È accaduto nel 2011, poi nel 2017 e l’ultima volta in piena pandemia nel 2021.

I soldi forniti dal governo italiano non sono legati a un meccanismo di controllo che possa verificarne l’utilizzo. Ma, si legge nel rapporto, non mancano indizi e prove che alcuni dei mezzi europei e italiani siano stati impiegati nelle intercettazioni e nei respingimenti eseguiti dalla guardia costiera tunisina a largo delle sue coste. E alcune delle intercettazioni si trasformano in tragedie: il naufragio di Sfax del 5 aprile 2024, ricostruito da immagini satellitari e testimonianze, sarebbe avvenuto durante una manovra di speronamento, eseguite dalla guardia tunisina.

C’è un altro ruolo di primo piano svolto dall’Italia e più nello specifico dalla premier Giorgia Meloni che è quello di mediatrice per conto di Saied all’interno delle istituzioni dell’Unione europea. Dopo diverse visite di stato a palazzo Cartagine, il governo Meloni ha facilitato le trattative tra Tunisi e Bruxelles che hanno portato poi il 16 luglio del 2023 alla firma del Memorandum of Understanding dal valore complessivo di un miliardo di euro. 

L’accordo, presentato come “partenariato globale”, prevede 105 milioni per la gestione delle frontiere, 150 milioni di aiuti macrofinanziari e il resto dei finanziamenti legato a riforme economiche richieste dal Fondo Monetario Internazionale. Ma per il momento, questi soldi servono a rafforzare l’apparato di sicurezza tunisino, che sta diventando sempre più violento nei confronti dei suoi cittadini. E anche qui non esiste un meccanismo pubblicato per tracciare l’uso dei fondi né una clausola che ne sospenda l’erogazione in caso di abusi. Come accaduto nel caso di alcuni dei pick-up dati dall’Ue, per esempio, che sono stati visti trasportare gruppi di migranti verso le zone desertiche di confine.

L’altra faccia dei finanziamenti di Ue e Italia è il rafforzamento del regime tunisino e la legittimazione del presidente Kais Saied che dal 2021 a oggi ha eseguito un colpo di mano istituzionale accentrando su di se i poteri. Un accentramento che ha portato a una dura repressione interna non solo contro i migranti ma anche contro avvocati, attivisti, giornalisti e società civile.

La repressione è aumentata a partire da febbraio 2023 quando davanti al Consiglio di Sicurezza nazionale, Saied ha accusato le “orde di migranti subsahariani” di essere una “minaccia demografica” per il paese. Parole che hanno innescato una campagna di violenze, rastrellamenti e deportazioni dei migranti verso le frontiere con la Libia. Persone lasciate a morire di stenti in mezzo al deserto senza cibo e acqua. Fatti documentati con testimonianze raccolte anche in altri articoli di Domani.

Nel frattempo, il governo tunisino ha incarcerato centinaia di persone tra giornalisti, avvocati e attivisti tra cui Sonia Dahmani o Sherifa Riahi, in carcere solo per aver denunciato abusi o criticato la politica migratoria di Saied. Oggi in Tunisia, con la complicità dei soldi dell’Ue e dell’Italia, c’è un sistema che non si limita a respingere chi parte ma mette a tacere anche chi prova a raccontarlo.

Questo articolo parla di:

archiviato sotto: