All’Inferno e ritorno

di Barbara Fois - Liberacittadinanza.it - 29/07/2022
Riflessioni sulla sanità italiana

Molti parlano e scrivono sulla sanità nel nostro paese, ma quanti l’hanno conosciuta davvero, dall’interno? A me è capitato qualche giorno fa e ho avuto modo di fare alcune riflessioni che mi piacerebbe condividere con voi. Sono arrivata al pronto soccorso in ambulanza, ma non mi ricordo quasi niente: avevo la febbre così alta che non ero lucida. Comunque chi ha in mente le immagini del telefilm ER, deve cambiare idea: nessun team corre a prenderti con in mano una flebo di salina, mentre i paramedici che ti hanno preso in consegna gridano i valori del tuo emocromo. I paramedici che mi hanno portato in ambulanza erano armati solo di una empatia commovente, di umanità e gentilezza, ma non potevano farmi niente, senza un medico presente. E sono rimasti con me e mia figlia, finchè sono stata presa in carico dal Pronto Soccorso e a quanto mi dice mia figlia ci sono volute alcune ore, ma è una fortuna che io sia arrivata in ambulanza, o magari sarei ancora in qualche dimenticata lista d’attesa. Nessuno ha corso, ma mi hanno fatto un sacco di esami: un tampone per il Covid (negativo), un emocromo completo, un elettrocardiogramma, un RX toracico, una eco dell’addome superiore e dei reni, etc. diluiti nelle 13 ore che sono stata lì. Ma non ho dovuto pagare un centesimo. Un check up completo a zero euro. Prova a farlo in America e vedi come finisci nei debiti per il resto della vita! Prova a farlo fuori dalle nostre strutture ospedaliere e vedi se non ti costa almeno 500 euro. Cerchiamo di ricordarcelo questo, se sentiamo il bisogno di parlar male della nostra sanità. Che Iddio ce la conservi la nostra “sgarrupata” sanità, o quel che ancora ne resta. E difendiamola, invece, contro chi la vuole affossare definitivamente.

Tornando a bomba: mentre mi facevano tutti questi esami, la febbre è piano piano scesa da sé, per conto suo: evidentemente non ne poteva più neppure lei di stare lì. Ma più scendeva e più io tornavo consapevole e vigile ed ero in grado di guardarmi in giro e di rendermi conto di quello che succedeva intorno a me: improvvisamente ero all’inferno, precipitata dalla mia casa amata e tranquilla. Per chi crede nell’Aldilà è normale che quando si muore ci si trovi all’improvviso in un’altra dimensione, avendo lasciato la propria vita sicura e conosciuta, ma per me la cosa era un po’ più difficile da accettare e da capire: non avendo memoria di quel che era successo mi chiedevo perplessa come fossi finita in quella bolgia. E con un pizzico di ironia: ma poi avevo davvero meritato l’inferno? Mi venne da sorridere: ormai ero completamente lucida ed ero in grado di capire che ero nell’Aldiquà, un posto anche più miserevole e spaventoso di quell’altro, perchè da anni governato da Caronti altrettanto raccapriccianti, ma inamovibili e incollati alle loro poltrone. Quelli che hanno rovinato la sanità italiana, appunto, una delle eccellenze di questo paese, insieme alla Pubblica Istruzione e hanno fatto strame di entrambe, per regalare i soldi alle strutture sanitarie e alle scuole private. E nemmeno nel vortice della pandemia qualcuno ha pensato di cambiare l’andazzo delle cose, ma anzi contavano anche di più sul privato, fregandosene di rafforzare il pubblico. E anche il piano di Draghi sembra fosse orientato in questo senso. Ahimè…

Ma dal momento che ero capitata lì, tanto valeva capire meglio dove fossi e con chi fossi. Chiesi di andare in bagno e visto che ero lucida e in grado di camminare da sola, mi lasciarono scendere da quella specie di letto-barella su ruote su cui stavo distesa da ore. Mi trovai così in un enorme andito pieno zeppo di letti-barella come quello da cui ero scesa ed erano tutti occupati da vecchi e da vecchie, abbandonati a sé stessi, mezzo sopiti, vestiti e coperti sommariamente, i visi asciugati dall’età e da qualche oscura malattia, senza denti, le orbite scure e fonde, rassegnati nella loro condizione disumana. Non potevo credere ai miei occhi: una carrellata di pitture nere di Goya era davanti a me e ce n’erano tanti, ma tanti che non finivo di contarli. Tutti vecchi. Ma come?, non era questo il periodo degli appelli accorati per proteggere i vecchi e le persone fragili? Un gesto simbolico di generosità pelosa? Più mi incamminavo e più mi ribolliva il sangue e la pietà mi mordeva il cuore. Una giovane ragazza degli OSS (Operatori del Pronto Soccorso) a domanda mi risponde che il reparto geriatrico è stato chiuso (che genialata di questi tempi!) e che i vecchi sono stati ammucchiati lì. “Li abbandonano qui d’estate, come fanno con gli animali domestici: cani, gatti…” .

Caspita, ma queste sono persone! Le lasciano in vita solo per prendersi la pensione? L’egoismo così smaccato e inumano mi toglie il fiato, ma poi penso “Ecco chi vota certi politici! Mi pare ovvio che non siano diversi da loro!” Finalmente sono arrivata al bagno: grande, pulito, con sapone liquido per lavarsi le mani e bei tovaglioloni di carta soffice per asciugarsele e finalmente mi tolgo la mascherina e mi lavo bene mani e faccia. Poi mi guardo nello specchio e resto folgorata: c’è una donna anziana in quello specchio, coi capelli scarmigliati, a metà fra una megera e una strega, vestita con un camicione da casa ormai spiegazzato, non diversa dagli altri vecchi parcheggiati nell’andito. E penso che ci vuole un attimo per non essere più una prof, o un ing, o un dott o un avv, per non avere più una collocazione sociale, un rango, un ruolo. Proprio un pizzico di nulla. Ma poi il mio inguaribile ottimismo mi dice che pure con questo aspetto dimesso, stropicciato, spettinato e trascurato sono stata trattata benissimo: un giovane infermiere mi ha perfino regalato una bottiglietta d’acqua e un succo di frutta e io non gli avevo chiesto proprio niente. Lo ha fatto lui, spontaneamente. Tanti pensieri mi girano per la testa e allora comincio a chiedere a questi giovani operatori, infermieri e addetti alle pulizie, di turni, di lavoro, di paghe. Mi raccontano storie di fatica disumana, di soldi che non bastano mai, di personale che non c’è, di ospedali che chiudono e di pazienti che arrivano a frotte non solo dalla città ma da tutto l’interland. Una cosa è leggerle queste cose, una cosa è ascoltarle dalle persone che le vivono in prima persona e te le raccontano. E tu ti chiedi: ma tutti questi miliardi che arrivano, dove caspita vanno a finire? Domanda retorica e inutile.

La febbre mi è scesa, ma la rabbia è salita oltre ogni segno. Mi chiamano nel reparto infettivi per fare il punto della situazione: il reparto è fresco, vuoto, i dottori gentilissimi, in realtà capisco che non mi hanno trovato niente: qualche valore mosso, ma niente di più. Devo fare altri accertamenti, fuori da lì, in laboratori più attrezzati, poi torno da loro e si vede che fare. Esco dall’ospedale dopo oltre 13 ore di permanenza e non vedo l’ora di tornare a casa. E finalmente riabbraccio mia figlia che non si è mai mossa dalla sala d’attesa, che non ha voluto abbandonarmi nemmeno per un attimo e mi sento davvero molto fortunata. Ma poi lei mi racconta cosa ha visto in quella sala d’aspetto ed è un altro film, un’altra realtà ancora. Io ho visto l’umanità del personale che mi ha seguita e accudita, lei ha visto una serie di persone che quest’umanità non l’hanno potuta provare: in attesa da prima che arrivassimo, la maggior parte di queste se n’è andata, senza essere stata visitata, a mattina inoltrata. Queste persone, quando i nostri politici proporranno altri tagli, altre donazioni alla sanità privata o la soppressione dei medici di base o di altri pronto soccorso nelle province più remote, probabilmente penseranno che non è una grave perdita, che in fondo non c’è niente e nessuno che faccia la differenza. Perché per una sinergia di fattori composta da codici colorati, personale stremato e politica incurante, non hanno potuto varcare quelle porte.

Questa nostra sanità, questi nostri ospedali sono stati distrutti da una politica insensata, ma i medici, paramedici, infermieri e operatori del 118 sono ancora eccezionali, ma non ce la fanno più e visto che dalla politica non possiamo aspettarci niente, dobbiamo cercare di fare qualcosa noi cittadini: petizioni, manifestazioni, proteste, comizi…sì, approfittiamo del fatto che siamo in campagna elettorale, ma non organizziamo comizi per sponsorizzare questo o quello, ma solo per raccontare ai cittadini che caspita succede in questo paese e nel mondo. Parliamo con loro di cose vere, che ci riguardano: parliamo appunto della sanità, ma anche del lavoro, dell’istruzione e dell’ambiente che si sta distruggendo sotto i nostri occhi, giorno per giorno. Facciamo in modo che il loro voto, a chiunque venga dato, sia un voto informato e consapevole e… che Dio ce la mandi buona.

 

Barbara Fois

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