Incredibile, vergognoso quello che è successo al giornalista Andrea Purgatori: è morto perché coloro che lo curavano non solo non hanno capito che aveva un’endocardite, e non delle metastasi al cervello, ma si sono intestarditi sulla propria diagnosi, senza ascoltare altri, senza fare indagini più accurate, senza fare esami come la TAC, che non avrebbero lasciato dubbi. Così l’hanno curato come se il cancro che aveva ai polmoni avesse allungato le sue metastasi fino al cervello e quindi l’hanno bombardato di raggi alla massima potenza. Questo lo ha indebolito moltissimo, intanto l’infezione al pericardio, non curata, si aggravava e lo portava alla morte. Bastavano invece poche pillole di un antibiotico mirato e sarebbe ancora vivo.
Non riesco a immaginare che razza di analisi gli abbiano fatto. A un mio amico bastò una TAC per sapere che aveva delle metastasi al cervello e sono passati 15 anni da quando ci ha lasciato. E certamente i macchinari allora non erano precisi e tecnicamente aggiornati come quelli di adesso! Come hanno fatto a sbaglarsi tanto? Che strumenti obsoleti hanno usato, se li hanno usati? Oppure, ed è l’ipotesi più probabile, sono degli arroganti, che pur di non ammettere di essersi sbagliati lo hanno massacrato di cure inutili e perfino dannose. E parliamo di un intero team, non di un solo luminare: erano in 4 a convenire su quella diagnosi, in 4 a sbagliarsi. Ma cosa avevano capito? Non hanno avuto nemmeno un dubbio, visto anche come continuva a stare sempre peggio il loro paziente? Evidentemente è mancata loro l’umiltà necessaria almeno per chiedere un consulto. Un modo di fare davvero esecrabile e intollerabile, non tanto per aver sbagliato (errare umanum est), ma per la superbia, la spocchia, la supponenza con cui si sono impuntati sulla loro diagnosi (perseverare diabolicum). Gente così merita di essere cacciata dall’Ordine dei medici e di finire in galera.
Ma anche qui è come per i politici: e chi li manda via? Una rivoluzione forse, come diceva Monicelli, una ghigliottinata, alla giacobina. Sarà che ormai ho perso la pazienza davanti alla cialtroneria, di ogni tipo, di ogni parte politica, di ogni genere, ma non riesco a non arrabbiarmi, a non indignarmi, a non pretendere che venga punita come merita.
Immagino la rabbia e la disperazione non solo dei suoi famigliari, ma anche dei parenti di Emanuela Orlandi alla notizia della sua morte, visto che lui stava indagando sulla sua scomparsa e aveva riaperto il caso dopo tanti anni. Qualche novità si era già vista, perché lui stava indagando, con lo stesso accanimento, la stessa sete di verità che aveva messo nel caso di Ustica. E in quel caso lo aveva fatto per anni, senza farsi scoraggiare o intimidire, senza stanchezza, finchè non aveva trovato il bandolo e svelato tutti i retroscena. Ed ora chi continuerà, a occupatsi del caso di Emanuela Orlandi? Chi vorrà rompere il muro di omertà, quel silenzio untuoso e viscido che avvolge tutta la vicenda e le inquietanti implicazioni di personaggi legati alle alte sfere del Vaticano, senza contare le infiltrazioni dei Servizi Segreti, le menzogne, i depistaggi, le ingerenze della Banda della Magliana, cioè quell’intreccio di interessi diversi, di protagonisti concorrenti ma solidali nell’omertoso silenzio, che hanno reso fino ad ora indistricabile la matassa di quel caso. Sono una lettrice di gialli e questra trama è improbabile, perfino per quei romanzacci più volutamente intricati e depistanti. Ma nei cattivi gialli in genere i colpevoli sono quelli che restano sullo sfondo, che saltano fuori solo all’ultimo momento, quelli che parevano insospettabili, o peggio ancora quelli che parevano scontati come tali da subito. Però nella vita reale le cose sono un po’ diverse, nella nostra politica poi la cosa è ancora più complicata… Ci voleva proprio Purgatori per seguire tutte le tracce e riuscire a distinguere quelle buone da quelle inventate e fuorvianti, però lui non c’è più e anche questa è una congiuntura veramente sconcertante…
Per questo, per quel che vale, esprimiamo ai suoi figli la nostra più partecipata solidarietà.
Barbara Fois