Sìnite pàrvulos venire ad me (lasciate che i pargoli vengano a me) è una frase di Gesù molto nota (Marco 10, 14), rivolta ai suoi discepoli, che cercavano di respingere coloro che gli portavano i bambini perché lui li toccasse. La frase continua con l’affermazione che soltanto chi è puro e innocente come un fanciullo entrerà nel regno dei cieli (talium enim est regnum Dei).
Non solo Gesù amava e rispettava i piccoli, ma odiava i pedofili e li condannava infatti con parole durissime: “Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, conviene che gli venga appesa al collo una macina da mulino e sia gettato nel profondo del mare” (Matteo 18, 6). Presa di posizione che a molti preti deve essere sfuggita…
Ma cosa direbbe ora Gesù davanti al dilagare della violenza fra ragazzi sempre più giovani? Cosa direbbe delle cosiddette baby gang, come quella che ha torturato e picchiato un povero pensionato a Manduria, provocandone la morte?Che posizione prenderebbe verso il bullismo giovanile? Contrariamente alla Chiesa, che parla ( e spesso a sproposito) per Lui, io non ci provo nemmeno, ma posso immaginare che si sarebbe chiesto come mai, perché, in quale modo e circostanza, avevano perso la loro innocenza e la cognizione del bene e del male. E certamente avrebbe cercato di aiutarli a ritrovare la strada giusta.
Ma Lui è Lui, è pazienza, tolleranza e amore, tutte cose che davanti ai delitti odiosi perpetrati da questi giovani criminali, personalmente non provo affatto. Mi corre l’obbligo come giornalista di cercare di mantenere – sia pure con grande difficoltà – un distacco e una obiettività professionali nell’analizzare il fatto o il fenomeno, ma sia chiaro: conoscere e comprendere i fenomeni sociali, non vuol dire certo giustificarli: capire non vuol dire né accettare, né scusare, né tantomeno condividere.
E’della vittima che mi preoccupo, è lei che mi fa pena. Non dei carnefici, per quanto abbiano avuto storie difficili o famiglie disastrate ( ma non è il caso della gang di Manduria, a quanto dice il loro avvocato), perchè questi elementi vengono spesso letti come circostanze attenuanti, che depenalizzano quando addirittura non scusano i loro crimini. Inoltre ci sono migliaia di persone che hanno avuto una vita difficile, una infanzia e una adolescenza dure e problematiche, ma non per questo sono diventati torturatori o assassini.Voglio dire: cosa può giustificare il massacro di un povero pensionato con problemi psichici, torturato, picchiato, deriso e filmato nel suo calvario durato per 12 ore, da parte di un branco di 14 ragazzi a Manduria? Nulla. Non esistono giustificazioni. E non importa che la maggioranza del branco sia composta da minorenni. L’età a questo punto è un mero dato anagrafico, senza importanza. Non è l’età o l’immaturità la causa di queste sevizie. Che duravano fra l’altro da mesi, tanto che il poveretto non usciva più di casa ( e a questo punto c’è da accertare come mai nessuno ha fatto nulla per aiutarlo!).
A questo proposito Maurizio Montanari su “Il fatto quotidiano” scrive: « Né la noia, né il “vuoto profondo”, né tantomeno “la mancanza di bar” o attività di svago in zona sono a fondamento della serie di sevizie alle quali è stato sottoposto il 66enne di Manduria. E’ bene fare piazza pulita di triti luoghi comuni che non aggiungono nulla a un’analisi sociologica di questo fenomeno. Ognuno di noi ha il ricordo di interminabili giornate adolescenziali colme di noia con pomeriggi infiniti da riempire. Non per questo si andava in giro a torturare i passanti. E’ necessario introdurre nel lessico quotidiano le categorie cliniche che la psicoanalisi ha evinto, e dare alle cose il loro nome: questo modo di agire si chiama sadismo.
Il sadico trae un godimento infinito nel ridurre l’altro a oggetto, ottenendo soddisfacimento in maniera proporzionale alla sofferenza che riesce a infliggergli.[…] instaurando su di lui un potere che pretende illimitato […]. gruppi violenti corroborati da alcol e droga che individuano un soggetto debole per annientarlo non hanno alcuna finalità se non quella di consolidarsi come unità basata sull’identificazione di un“inferiore” da eliminare » e più oltre l’autore dell’articolo stigmatizza «Si noti che il filmare gli atti di violenza e diffonderli obbedisce pienamente alla struttura del perverso, che gode dall’essere visto mentre viola la legge o commette una sopraffazione.»
La chiusa dell’articolo è terribile, ma assolutamente condivisibile:«Cercare la loro redenzione o il loro pentimento è per lo più tempo perso. Il soggetto sadico obbedisce a un ordine morale improntato all’altrui sofferenza: un’altra legge, un altro modo di vivere.»
Al di là della redenzione o del pentimento a cui nessuno può credere e nemmeno porsi come obiettivo, la situazione merita un approfondimento perché, infatti, non si limita solo a qualche caso isolato come quello di Manduria: il fenomeno è così diffuso nel Paese, da essere una nuova emergenza nazionale, veramente preoccupante. Secondo gli ultimi dati dell’Osservatorio nazionale sull’adolescenza, infatti, il 6,5% dei ragazzi minorenni fa parte di una banda giovanile, il 16% ha commesso atti vandalici, mentre almeno tre ragazzi su dieci hanno partecipato a una rissa. Fabio Armao, professore di Relazioni internazionali all’Università di Torino e curatore di «Gangcity», un progetto nato nel 2016 proprio per analizzare il tema delle bande giovanili, sostiene «È un fenomeno relativamente recente in Italia, ma è cresciuto molto negli ultimi anni, soprattutto a causa delle situazioni di disagio nelle periferie e per l‘aumento delle migrazioni»
Non è un fenomeno strettamente criminale: a volte è anche un modo per crearsi una appartenenza, per inserirsi in una comunità, che ha leggi, musica, tatuaggi e simboli che la conformano. «I ragazzi all’inizio cercano un’identità, spesso arrivano da realtà molto dure, famiglie difficili o assenti», spiega ancora il professor Armao. Poi, però, le storie di violenza si assomigliano quasi tutte.
«La crisi economica purtroppo ha accentuato molto il disagio dei nostri ragazzi, le baby gang sono in fortissimo aumento» dice Cesare Romano, Garante per l’Infanzia e l’adolescenza della Regione Campania.
L’intervento degli assistenti sociali sull’intero territorio nazionale traccia una mappa dettagliata del disagio giovanile. Vediamo qualche numero illuminante. E’ così infatti che scopriamo con sorpresa che è Bologna con 2506 ragazzi presi in carico dai servizi sociali la prima città d’Italia, seguita da Roma con 1427 casi, Catania 1225, Bari 1090, Palermo 969, Napoli 878, Genova 864, Torino 694, Milano 468, Bolzano 180. È una classifica spaventosa, agghiacciante da leggere, quella che racconta di ragazzi difficili presi in carico dai servizi sociali: soggetti pericolosi, aggressivi, rabbiosi, segnalati per violenze e bullismo. In tutta Italia sono stati 19.516 nel 2016, di cui 4917 di origini straniere.
Nel febbraio 2017 i minori in carico ai servizi sociali erano 14.466, nel dicembre dello stesso anno il numero era cresciuto a 20.313. Nel medesimo lasso di tempo, i reati commessi da minorenni sono cresciuti da 40.669 a 54.962, e tra febbraio e dicembre 2017 la percentuale di minori in carico ai servizi sociali è aumentata del 40,4%, mentre il numero di reati commessi del 35,1%.
I dati poi forniti da Francesco Ciano sul sito “Più sicurezza” sono inquietanti: 117 omicidi volontari, 208 tentati omicidi volontari, 5.511 accusati di percosse, 1.013 accusati di violenza sessuale, 134 di sequestro di persona. Su 54.962 reati commessi soltanto 437 sono i minorenni in carcere (al 15 dicembre 2017). Degli altri si occupano i servizi sociali. Questo fa sì che questi criminali pensino che la loro giovane età li renda immuni dalle punizioni e da qui dunque la certezza di essere intoccabili. E questo deve essere cambiato: se sono in grado di torturare e uccidere la gente, debbono essere puniti di conseguenza e considerati come adulti. Sarà meglio per tutti, anche per loro stessi, che imparino sulla propria pelle che certe cose non si possono fare impunemente.
A Napoli, dove secondo le statistiche le baby gang spadroneggiano, nel mese di giugno dell’anno scorso è stato costituito un gruppo investigativo permanente all’interno della squadra mobile per analizzare il fenomeno.
Luigi Rinella, dirigente della squadra mobile di Napoli, ci tiene a precisare la netta differenza tra criminalità minorile e baby gang.
La criminalità minorile, fenomeno in crescita e da ‘tenere d’occhio’, viene ‘coltivata’ dalla camorra, che seleziona i giovani/giovanissimi più spregiudicati come riserva per utilizzarli in caso di necessità. Secondo la Dia (Direzione investigativa antimafia), i minori rappresentano un esercito di riserva per la criminalità organizzata, da usare nello spaccio di droga (bambini pony express per consegne a domicilio di stupefacenti). Per queste baby aggregazioni criminali si parla di una particolare ferocia nelle azioni, di una omertà totale, di reati da 416 bis (omicidi, estorsioni).
Le baby gang hanno altre caratteristiche: atti vandalici, bullismo metropolitano, furti, rapine, scippi, aggressioni, percosse, violenze sessuali. Tutto rigorosamente compiuto in branco. Fanno parte di queste bande ragazzi cresciuti in quartieri degradati, nel loro microcosmo, senza altri interessi, che hanno come unico punto di riferimento i boss della zona, figure da imitare. Si tratta di ragazzi alla deriva socio-criminale (come l’ha definita la Dia). Si uniscono in bande già a partire dai 10-11 anni, sono aggressivi e abbastanza abitudinari. Per sfuggire alla noia inventano giochi violenti, risse, sfide, abusano di alcol o droghe, danno fuoco ai barboni. L’effetto del branco deresponsabilizza il singolo: nel gruppo è come se ci fosse una divisione della responsabilità. Ci si sente meno colpevoli.
Il Consiglio Superiore della Magistratura (CSM) nel mese di settembre 2018 ha confermato l’emergenza criminalità giovanile, l’aumento di azioni violente e criminali compiute da giovanissimi.
La psicoterapeuta Maura Manca, direttore dell’Osservatorio Nazionale Adolescenza, spiega che esistono minori che mettono in atto comportamenti violenti e pianificati pur non appartenendo ad ambienti criminali e non essendo cresciuti con modelli malavitosi. Questo genere di devianza abbraccia ora anche i cosiddetti ragazzini di “buona famiglia”.
Secondo Maura Manca, certi minori compiono atti efferati nella piena consapevolezza che alla loro età non sono punibili. “Non sarà la soluzione ma, senza dubbio, bisogna prendere in considerazione l’abbassamento del limite dell’imputabilità a 12 anni, se vogliamo evitare il dilagare della devianza giovanile”.
In Italia, i reati commessi da ragazzi tra i 14 e i 18 anni non compiuti sono giudicati dai Tribunali dei Minorenni, i cui esperti giudicano in base al grado di maturazione psichica dell’imputato. Di fatto sotto i 14 anni, un ragazzo ha, praticamente, la licenza di uccidere.
Ma torniamo al caso di Manduria, da cui abbiamo preso lo spunto di partenza.
L’avvocato difensore di gran parte del branco (che per colmo d’amara ironia di cognome fa Bullo) è su questo che ha impostato la sua difesa: sono minorenni, sono ragazzi “normali” che frequentano il liceo e il fatto che la vittima, il pensionato Antonio Cosimo Stano, sia morto dopo 18 giorni di agonia in ospedale, per le lesioni interne riportate, potrebbe non essere collegato al massacro patito. Per chi ha visto su internet il filmato che quei criminali sociopatici hanno memorizzato sui loro telefonini e poi messo in rete, per chi ha ascoltato le urla strazianti di quel pover’uomo in preda al panico e al dolore, non esiste nessuna difesa possibile, nessuna scusa accettabile.
L'avvocato Lorenzo Bullo può sostenere fino allo sfinimento «Sono tutti ragazzi normalissimi, studenti di liceo nati e cresciuti a Manduria in contesti familiari a modo, figli di commercianti e impiegati pubblici » come ha detto all'Adnkronos.
Ma noi sappiamo bene che non stiamo parlando delle “simpatiche canaglie” di una vecchia serie TV, e che non esistono ragazzi normalissimi che picchiano per ore, torturano e uccidono altri esseri umani. E nemmeno che bruciano barboni per noia, come non fossero esseri umani ma spazzatura. Ragazzi così non sono normali, sono dei sociopatici e come tali vanno trattati. Sono un pericolo per gli altri, sono come cani rabbiosi che vanno isolati e resi inoffensivi. Non esiste proprio che queste nullità abbiano la possibilità di evitare la punizione esemplare che si meritano, solo per un mero cavillo anagrafico.
Fra l’altro poi quando parliamo di baby gang, di cosa stiamo parlando?? Si tratta infatti di otto giovani arrestati (6 minori di 17 anni e due maggiorenni di 19 e 22 anni). Altri sei minori sotto i 17 anni restano indagati in stato di libertà. Dove sarebbero i baby?? Ma allora anche la Banda della Magliana di Roma era una baby gang: Renatino de Pedis aveva 20 anni la prima volta che fu arrestato! Anche Renato Vallanzasca, il bel René della banda della Comasina di Milano, aveva 22 anni quando fu arrestato: le loro erano tutte baby gang? Ma per favore!! Quando mai l’età è stata una scusa, una giustificazione per depenalizzare un reato?? E a questo proposito: certamente i film e gli sceneggiati portati recentemente sullo schermo o in tv, incentrati su queste famose bande e su altre associazioni a delinquere, finiscono spesso per mitizzare il ruolo del cattivo e dei suoi sgherri, anche attraverso gli attori scelti per interpretarli: attori famosi, bei ragazzi fascinosi, simpatici e accattivanti… non certo i brutti ceffi ritratti nella realtà delle loro foto segnaletiche. Anche questa può essere letta come apologia di reato.
Del resto in Italia ci vuole poco per trovare attenuanti a chi delinque: in questi ultimi giorni, ad esempio, abbiamo visto che non vengono applicate le sanzioni per chi fa apologia di fascismo, inneggiando a Mussolini come fosse un fatto normale e lecito! Sembra infatti che in questo paese si possa fare qualunque cosa, senza mai venir puniti: è il bengodi di ogni criminale, di ogni corruttore, di ogni colluso, di ogni profittatore e malfattore. E’ il paese in cui le sentenze vengono annullate e le pene dimezzate in processi di stupro, magari perché la vittima viene considerata dai giudici non particolarmente avvenente. Un paese in cui ogni 72 ore una donna viene massacrata da un suo ex , ma in cui magari a un femminicida viene dimezzata la pena perché ha ucciso in preda a un “turbamento emotivo”; un paese in cui uno può uccidere i genitori e il fratello e dopo un certo numero di anni di galera (pochi) godersi l’eredità per cui ha sterminato la famiglia; un paese in cui si espellono extracomunitari che hanno commesso reati, ma nessuno si assicura poi che se ne siano davvero andati; un paese in cui una rom ha al suo attivo 51 borseggi ma è a piede libero e non viene rimpatriata forse perché “rubare è il suo lavoro”; un paese in cui da oggi in poi con la scusa della legittima difesa le armi circoleranno abbondanti e tutti diventeranno potenziali assassini, anche perché la caccia al diverso è stata aperta in questo paese e proprio da chi lo governa… beh, se non vogliamo aggiungere un altro carico da 90 e lasciare che i ragazzini di questo paese diventino un branco di debosciati, sarà il caso di punirli quando delinquono.
Perfino il dottor Benjamin Spock, che ha cambiato il modo di allevare ed educare i bambini attraverso il libro “Common Sense Book of Baby and Child Care.” (Libro del buon senso per la cura di neonati e bambini, del 1946), improntandolo al totale permissivismo, senza correzioni di alcun tipo, si rimangiò tutto dopo aver visto i devastanti effetti di quel tipo di educazione.
Il principio fondamentale che va osservato, infatti, se vogliamo vivere in una comunità civile, è il rispetto delle regole concordate, insieme alla certezza della pena per chi le infrange: forse è il caso di cominciare a prenderlo in seria considerazione. A qualunque età, nessuno escluso.
Barbara Fois
Qualche approfondimento
https://voxnews.info/2018/04/24/roma-la-zingara-dei-51-borseggi-resta-libera-e-il-mio-lavoro/
https://tg24.sky.it/cronaca/2019/04/30/manduria-baby-gang-pensionato-ucciso-minori-fermati.html