Il tentativo, finora fallito, di appropriarsi (è questo il termine corretto) di una importante figura istituzionale (il 15° giudice della Consulta) da parte della premier Meloni, è certamente segno di una concezione proprietaria dello Stato e delle Istituzioni. Secondo quest'idea la vittoria elettorale, legittimando l'Esecutivo a comandare più che a governare, consentirebbe una procedura "a spallate", in grado di piegare, distorcere e indirizzare a proprio vantaggio le Istituzioni.
Nè può far velo a questa "dottrina" l'esistenza di un grossolano conflitto di interesse, come quello che coinvolge il papabile giudice Marini, già redattore del ddl sul premierato. Come fa notare Massimo Villone, costituzionalista e presidente del CDC, la cronaca di questi giorni non è altro che la rappresentazione plastica di quel progetto di demolizione della Costituzione del '48, frutto del combinato disposto Autonomia Differenziata-
Premierato-Riforma della Giustizia. A un/una premier eletto/a con una legge elettorale ipermaggioritaria e il suo iniquo premio di maggioranza, basterebbero pochi voti per accaparrarsi la maggioranza nella Consulta, nel CSM e anche l'elezione del Presidente della Repubblica.
Quelli che dovrebbero essere gli organi di garanzia, gli arbitri, svestirebbero la "giacchetta nera" (una volta si chiamava così) per indossare la divisa (o l'orbace) del governo. Trump docet, insomma: dismessi i panni di finta democratica al guinzaglio di Biden, Giorgia si appresta ad "uscire il naturale" appena (e se) il tycoon dall'orrendo ciuffo si re-insedierà.
Bisogna ammettere che il nero per lei sarà molto, molto più naturale.