In attesa delle settimane cruciali pre-referendum vorrei riflettere su un tema attuale e cogente.
Il cambiamento di paradigma economico in cui ciascuno di noi sarà presto coinvolto, consapevoli e coscienti o meno. Può essere utile condividere almeno qualcuno dei temi correnti per comprendere la posta in gioco, cioè il futuro, e come vogliono muoversi gli attori in campo , quindi i politici e gli economisti. Partirei da una prima considerazione generale sul ventilato e possibile ritorno dello Stato come attore principale della programmazione economica. Scelta che metterebbe da parte il modello liberista e spontaneo ( lascia fare al mercato .. ) fin qui sposato da quasi tutti i governi occidentali.
Riportare lo Stato al centro del processo di investimento e controllo non è così semplice come dirlo. Chi invoca la statalizzazione delle imprese in crisi , vedi ad esempio Alitalia od Ilva ( che fine ha fatto il tema così cruciale ? ..fuori radar ormai.. ) non ha chiarissimo che si rischia di essere illegali rispetto alle regole internazionali sulla competizione. Costruire un sistema a matrice mista , libera imprenditoria e investimenti statali, implica alcune cose un filino complesse quali ad esempio il superamento del sistema legale vigente in materia di credito pubblico, la modificazione delle norme UE sugli “aiuti governativi”, la revisione delle delibere relative al possesso di pacchetti azionari pubblici .. per non parlare del processo decisorio , che va totalmente rivisitato.
Il primo e probabilmente ancora il più interessante e controverso studioso della complessa materia, oltre ad essere attualmente il più citato, più o meno a proposito, è stato John Maynard Keynes. Egli rappresenta , nel pantheon dei massimi esperti di economia , il punto di incrocio tra la dottrina sociale – che invoca un regolatore del mercato in grado di attuare politiche di indirizzo e controllo evitando l’asimmetrico accrescimento della ricchezza e la diseguaglianza - e la dottrina liberista del lassez faire , che cavalca lo spontaneo movimento di mercato immaginato libero da ogni laccio normativo così da crescere per la relazione naturale tra domanda e offerta.
Keynes dice che l’imprenditore ha il diritto, avendo investito capitali propri ( ..vabbè ) di svilupparsi e crescere come ritiene più opportuno , ma nell’ambito di norme che garantiscano la libera concorrenza, evitando trusts / cartelli / lobbies ed inoltre prevede che nell’arena entri anche lo Stato , in grado di intervenire nei settori di domanda che prevedono bassa remunerazione del capitale – e che sarebbero quindi trascurati dall’imprenditoria – e di rilanciare settori in crisi con l’iniezione di denaro pubblico. La collettività entra così nel processo di finanziamento all’impresa tramite il prelievo fiscale e ne ricava in cambio servizi di pubblica utilità a costi contenuti, maggiore occupazione ed in definitiva una parvenza di redistribuzione della ricchezza nazionale.
Questa sarebbe l’idea. Come dice Gaber se potessi mangiare un’idea avrei fatto la rivoluzione, come direi io tra il dire ed il fare c’è di mezzo la gestione politica. Quindi una cosa sono i punti di visione della dottrina di Keynes .. un’altra è come stata applicata in realtà.
Bisogna essere indulgenti con gli esperti in economia ..non ci prendono sempre. In effetti non è proprio una scienza esatta, principalmente perché non è una scienza.
Possiamo studiarla , approfondire , infilarci nei master di bocconiana impostazione. Scopriremo prima di tutto che essa è una visione a mosaico formata da discipline diverse. La matematica, la statistica, la sociologia, le dottrine politiche, che si avvale di tecniche predittive chiamate scenari e di articolate metodologie decisorie. Scopriremo inoltre , dopo averla studiata ed amata, che la maggior parte delle persone con cui si conversa dell’argomento non sono minimamente interessate .. ed ancora – dopo 40 anni- faccio fatica a capire il perché.
Fin dalla sua origine od almeno fin da quando i Greci tentarono di definirla ( il termine deriva dalla crasi di due parole oikos nomos ..il bene familiare e le sue norme..più o meno ) , la gente se ne catafotte di capirne le logiche. Salvo poi lamentarsi delle tasse, dei prezzi, della disoccupazione, dei salari .. cioè delle varie ricadute, nella vita quotidiana, della gestione complessiva e politica dei processi economici.
L’economia è una disciplina suddita. Scopriamo infatti che da sempre il ruolo dell’Economista è quello di consigliori. Egli intrattiene con il Politico lo stesso ruolo di Tom Hagen con il Padrino , mi si scusi la simmetria assai poco lusinghiera. Suggerisce cosa si potrebbe fare, volendo, per sviluppare norme e metodi coerenti con i bisogni della famiglia. Poi è la politica che ha il dovere di decidere se è opportuno ascoltare le logiche proposte o farne a meno. Ogni tanto qualche Presidente, per evitare corto circuiti, è tentato di affidare all’Economista il ruolo di pubblico gestore. Il risultato è una roba che conosciamo. Il governo Monti. Matematicamente ragionevole, quanto erroneo sociologicamente. La contraddizione non è casuale perché, essendo l’economia un mosaico di differenti discipline, l’Economista agirà in funzione della scuola di pensiero interpretativo in cui si è formato ( liberale, sociale, misto e quant’altro) e per via di questa scelta determinerà a cascata i comportamenti collettivi ed risultati finali ..influenzando l’intero Paese per anni ed anni. La specializzazione non aiuta sempre. Bisogna quindi equilibrare i due campi , attenzione all’intera società ed attenzione ai fattori economici, con un ben scelto mix di competenze e ruoli che devono essere collaborativi ma comunque diversi e separati.
Il momento migliore di questa delicata collaborazione è stato certamente il New Deal .
Il Presidente Roosvelt ( si parla di Francis Delano..ovviamente ) scelse le teorie del britannico Keynes per salvare l’America che affogava in una crisi doppia rispetto a quelle a noi note. I due non andarono sempre d’accordo ,anzi, ma il New Deal - ed il conseguente intervento dello Stato nell’imprenditoria- affiancò al capitalismo soggettivo la struttura oggettiva del bene pubblico, salvando il salvabile in pochi anni. Un modello tornato di attualità nella corrente revisione europea dei rapporti di mercato.
Inoltre Keynes fu il primo teorizzatore del lavorare meno, lavorare tutti, slogan poi sposato dai movimenti antagonisti degli anni sessanta, ed oggetto dell’attuale dibattito su come risolvere la crisi occupazionale . Nel 1928 già sosteneva : Un turno di tre ore al giorno, o quindici ore alla settimana. Mussolini , che era molte cose ma non un fesso, prese spunti dal pensiero keynesiano e ridusse per legge la giornata lavoro alle attuali 8 ore ed i giorni lavoro a 5 . Il risultato fu un ampliamento della base occupazionale ed una conseguente riduzione del plusvalore che compensò con politiche fiscali generose verso le Imprese e con la manipolazione del conflitto di classe. E’ la dottrina sociale del fascismo, ragione per la quale le destre europee invocano la statalizzazione, come le sinistre di classe.
John Keynes , inglese di scuola elitaria e baronetto, non fu mai un socialista. Anzi . Soleva dire : Il socialismo marxista ( da notare la distinzione ) rimarrà sempre un fenomeno per gli storici dell’opinione: è un mistero come abbia potuto una dottrina così illogica esercitare un'influenza così potente e duratura sulle menti degli uomini e, attraverso loro, sugli eventi della storia. Apparteneva, sul fronte politico, alla dottrina di Emile Durkheim fondatore della sociologia moderna e teorizzatore della coesione sociale . Credeva dunque nel metabolismo nazionale. Lo agevolò teorizzando l’allargamento dei ranghi imprenditoriali borghesi e dei quadri della burocrazia di Stato tramite la creazione di pari opportunità di istruzione per tutti e di accesso al finanziamento, superando così le prerogative delle classi dominanti. I conservatori inglesi, Churchill in testa, si incazzarono assai e lo presero per matto. Al contrario Roosvelt accolse proprio la teoria del finanziamento pubblico e privato delle idee innovative , che , applicato per legge negli States, fu la base determinante nell’affermarsi del sogno americano .. arrivato un po’ acciaccato fino ai giorni nostri.
La situazione attuale, guardata dal punto di vista keynesiano, si rappresenta come una realtà economica assolutamente selvaggia. Una realtà che non è più bene comune ma terreno di caccia basato sulla legge del più forte. Stato assente, mercati “liberi” di essere gestiti da smodati appetiti individuali, finanza speculativa deregolata . Ed in proposito a quest’ultimo punto che tanti soldi è costato a ciascuno di noi , è bene ricordare che fu Clinton a permettere l’accelerazione liberista.. tanto per dire che TheDonald è senz’altro una beata fava , ma chi l’ha preceduto non era molto meglio . Trattasi di politica organica allo sfruttamento, in un modo o nell’altro.
Anche la sinistra socialdemocratica riscopre oggi la visione keynesiana, dopo averla dimenticata sposando per lunghi anni le teorie liberiste. Ricordo – ad esempio -un Fassino dichiarare ..è il mercato che farà chiarezza.. con uno stucchevole antropomorfismo regalato a quell’arena crudele ed antisociale.
Dunque in queste settimane, di fronte alla crescente esigenza di una nuova era economica, ecco rispuntare Keynes . Molti politici UE , populisti o progressisti, lo citano con insistenza e così eccolo approdare nei più autorevoli quotidiani da Le Monde a El Pais … sbucare nei talks dei canali televisivi CNN, Fox e Sky .. e ricicciare persino su twitter! Il dibattito è più continuo ed intenso in Europa che in Italia dove è arrivato per sgocciolamento , probabilmente perché i nostri politici ignorano chi sia costui, così tanto citato a Bruxelles ed a Berlino, forse l’atteso centrocampista per l’Inter.
Lavorare meno, lavorare tutti , ricompare nei vari dibattiti come soluzione alla crisi occupazionale determinata dalla riconversione produttiva imposta dalle nuove tecnologie industriali. Molti commentatori pensano che si applicherà , forse a breve , in Francia Germania e paesi satelliti, ma io dubito che passerà nel nostro Paese. Il sistema produttivo italiano è basato su milioni di piccole imprese gestite da paronzini senza formazione, abituati al disordine gestionale che permette miliardi di evasione fiscale e contributiva, precariato e lavoro nero. Corrompere costa meno che investire in innovazione. Ragione per cui abbiamo una classe imprenditoriale modesta ed obsoleta.
Di conseguenza gli italici portatori del verbo keynesiano son assai più prudenti dei cugini europei. Stanno già edulcorando la formula con robe tipo la riconciliazione vita lavoro. Una frase poetica che si traduce così : qui e là ti sarà concessa qualche oretta per la tua famiglia o per formarti in proprio, ma con così tante e tali condizioni da far sembrare il pacchetto per la riconversione delle abitazioni ( il così detto 110 % ) una cosa chiara e praticabile.
Del resto anche il nostro sistema sindacale non appare pronto ed attrezzato per simili negoziati. Forse non è vero che, come dice qualche satirico, sia fermo all’era dei telefoni a gettone ma di certo da anni non elabora una riga di rivisitazione dei processi produttivi. Protesta dopo le chiusure delle fabbriche, ma senza averle minimamente previste e quindi almeno ostacolato disastri come quelli partoriti dalla nostra sedicente politica industriale.
Eppure varrebbe la pena anche da noi di intestarsi questa battaglia culturale per un nuovo approccio al lavoro ed alla prestazione, da affiancare alla riqualificazione ambientale, allo sviluppo della tecnologia abilitante, alla riforma della burocrazia e del sistema legislativo. Spetterebbe di certo ad una sinistra socialista, concreta e fattuale, che di fatto non abbiamo.
C’è però nel quadro generale da ascrivere un concorso di colpa a carico dei Cittadini che, in modo complice con la classe dirigente, non hanno la minima voglia conoscere, capire e comprendere i principi economici . La trovo una ingenuità fatale. Va bene delegare tutta la gestione della cosa pubblica al primo deputato di turno , ma consegnare pure il proprio portafoglio ed il futuro dei figli .. beh anche no, grazie.
Infatti è questa tenace ignoranza che ha permesso a speculatori - bancari e non - di fottere i risparmiatori, da Antonio Conte a zia Peppina. Gente per bene , magari competente nel proprio settore, che però si è bevuta storie assurde. Come avere interessi sul capitale pari ad una resa a due cifre quando abbiamo l’inflazione inchiodata allo zero. Oppure si è lasciata convincere a comprare azioni di una popolare che per legge ne determina in modo autoreferenziale il prezzo di vendita e quello di riacquisto. Caspita, si è più tutelati a giocare in borsa! Ed è tutto dire … Bisognava sapere queste cose elementari ( su internet trovi quello che vuoi sugli argomenti ) per evitare di farsi mangiare i risparmi di una vita. Non si è voluto. Era troppo noioso? Certo è più utile leggere il libretto di istruzioni dell’ e-phone per correre a postare le foto delle vacanze su face book … Non ci sono volpi senza polli.
Nella mia personalissima e modesta opinione Keynes sta alla giustizia sociale come la mascherina sta al coronavirus. Copre giusto dagli sputazzi , ma è comunque meglio che niente ed è certamente meglio dei neoliberisti che circolano dalle nostre parti.. Una sua frase molto nota : Il capitalismo non è intelligente né bello, non è giusto né virtuoso e non produce i beni necessari. In breve non ci piace e stiamo cominciando a disprezzarlo. Ma quando ci chiediamo cosa mettere al suo posto, restiamo estremamente perplessi. Comprensibile perplessità posto che l’alternativa di allora era il capitalismo monopolistico di Stato di matrice stalinista. Il Nostro è giustificato, scriveva nei due dopoguerra. Ere geologiche fa. Oggi si potrebbero innestare nel suo modello generale le teorie di Serge Latouche e di tutta la scuola della transizione ecologica fino a Gael Giraud o riflettere sul post capitalismo di Stiegliz ( cito i nomi se qualcuno ha voglia di farsi un giretto su Internet giusto per vedere di che diamine vado cianciando ) .
La teoria dello sviluppo armonioso dell’economia , che torna ad essere bene comune , oggi è importante per il futuro delle famiglie e forse dell’intero Pianeta. Vuol dire preservare l’ambiente dall’inquinamento , prima di tutto ripensando l’intero settore alimentare, specie quell’obbrobrio che è l’ industria della carne. Vuol dire comprendere l’importanza della connessione informatica e non solo per i social. Vuol dire offrire consenso a chi progetta un’industria culturale che per l’Italia potrebbe valere più di una dozzina di punti di PIL. Vuol dire concorrere a creare nuova linfa all’occupazione riducendo i gap sociali che oggi sono drammatici.
E sarebbe ora – finalmente! - di ripensare i criteri di valutazione dello stesso PIL che resta un indicatore del cavolo, inventato da Adam Smith il padre del liberismo, che John Maynard Keynes considerava un pericoloso egocentrico. Criteri di valutazione differenti che possano spostare il senso del debito pubblico da immensa iattura a ragionevole metodo di sviluppo, favorendo così gli investimenti pro futuro , portandoci fuori dagli angusti parametri di Maastricht che ancora incrociano debito e pil senza alcuna rivisitazione, senza equilibrio. Ed infine riportare lo Stato , e quindi i Cittadini, al centro dei processi di programmazione economico finanziaria che tutti , destra e sinistra , hanno consegnato per decenni ai signori del mercato.
Ma perché questo accada resta scoperto il punto da cui sono partito .. tra tutti gli impegni che spettano al Cittadino, tra le molte responsabilità che deve assumere per cambiare davvero ciò che è necessario allo scopo di garantirsi un futuro migliore , sviluppare la propria conoscenza dei sistemi economici è essenziale. Potrà essere faticoso come un’ora di palestra e forse anche una cosmica rottura di palle , ma va fatto. La vita non è sempre rosa e fiori ..lo diceva la mia professoressa di Filosofia al Liceo …. il che spiega molte cose!
Chiudo citando ancora Keynes .. uso la frase definita a suo tempo come il teorema del “ ribasso suicida” … Se un determinato produttore, o un determinato paese, taglia i salari, si assicurerà una posizione competitiva ed una quota maggiore del commercio internazionale fino al momento in cui gli altri produttori o gli altri paesi non faranno altrettanto; ma se infine tutti taglieranno i salari, il potere d'acquisto complessivo della comunità mondiale si ridurrà di tanto quanto si sono ridotti i costi: e da questo nessuno può trarre vantaggio … scritta decenni fa .. ed oggi , forse più di ieri, attuale ed abrasiva.
L’intelligenza non ha date di scadenza.