Punti di svista

di Corrado Fois - liberacittadinanza.it - 30/04/2024
Si dice che in Italia ci sia il peggior socialismo d'Europa. E sia pure: l’Italia avrebbe il socialismo che si merita- Gramsci

L’Italia non ha mai fatto una rivoluzione, e si vede. Si vede nell’arroganza imbecille degli incapaci che mandiamo di volta in volta al governo, con sigle diverse ed eguale comportamento. Si vede nella passività di un popolo capace talvolta di creare avanguardie straordinarie, ma prevalentemente di esprimersi in una massa pigra, scettica e pronta al compromesso.

Nell’intro al pezzullo che posto, scritto per un blog d’oltralpe nel quadro di un dibattito sulle prossime elezioni europee, recupero le parole di Mario Monicelli. E’ il regista che personalmente ho amato di più. Prima di scegliere una data ed un’ora per mettere fine alla sua straordinaria vita (comunque a 95 anni e per via di un cancro terminale) decise di aprire il suo pensiero politico. Riporto il passaggio che mi colpì di più, mi permise un rispecchiamento di idee quasi perfetto, mi commosse per l’intrinseco e forte amore per la sua gente. L’amore più vero, quello che esiste avendo chiara visione, perfetta contezza dei limiti e delle piccole miserie dell’amato.

La speranza è un’invenzione dei padroni. Io spero che arrivi quello che in Italia non c’è mai stato: una bella botta, una bella rivoluzione. Ci vuole qualcosa che riscatti veramente questo popolo sempre sottomesso, che da centinaia d’anni è schiavo di tutti. Se vuole riscattarsi deve fare la rivoluzione ed il riscatto non è una cosa semplice. E’ doloroso, esige dei sacrifici. Se non lo fa allora vada pure alla malora cioè dove sta andando, ormai da generazioni. ( cfr. https://www.civicolab.it/parla-mario-monicelli-la-speranza-e-una-trappola/ )

La sua riflessione ben si accosta alle considerazioni di Gramsci che cito nel sottotitolo, ed è prossima alle parole di Giaime Pintor nella lettera a suo fratello Luigi, che sarà poi fondatore del Manifesto.( https://www.manifestosardo.org/25-aprile-1945-2021-la-lettera-di-giaime-pintor-al-fratello-luigi/ )

Riporto quelle parole dure destinate a tutto il Popolo Italiano perché nel pezzullo - relativamente al vanishing della sinistra - concentro la mia attenzione sulle responsabilità della classe dirigente politica. Ma onestamente credo che ne siamo responsabili un po' tutti, in parti e misure differenti è chiaro.

E’ un po' nello spirito di questo Paese lamentarci del lavoro altrui. Diamo giustamente le responsabilità ai politici, per il loro ruolo, ma non dovremmo mai dimenticare che in molti abbiamo ricoperto in modo astenico il ruolo più cruciale della Repubblica, il ruolo di Cittadino.

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Caro Eric, mi piace la domanda che poni: Come si presenta la sinistra europea alle elezioni di giugno? Mi permetterei di aggiungere un mio punto personale nella questione generale, cioè, in cosa si sostanzia la sua proposta agli elettori, cos’è questa sinistra?

Nel tempo – a cadenze ricorrenti - la sinistra s’è posta questa domanda cruciale. Una questione così complessa che nella risposta per offrire migliore definizione si è scelto frequentemente un aggettivo distanziante, quando non dirimente, tra le diverse anime che la compongono. Sinistra di classe. Sinistra rivoluzionaria. Sinistra democratica. A cui si è aggiunta, specie nel nuovo secolo, l’aggettivazione più ambigua, progressisti. Partecipo volentieri alla discussione con un contributo assolutamente di parte poiché vedo la questione sia da socialista – nella sua accezione più ampia e non di partito, ovviamente- che da italiano. Anche questo inteso in senso ampio, direi esperienziale, di certo non nazionalista.

Sottolineo di parte, poiché in questo dibattito stiamo usando come perimetro un luogo parlamentare – sinistra – per sua natura generico, non un pensiero politico specifico. Nella sinistra in passato hanno avuto giustamente casa anche gli anarchici ed anche i laici repubblicani, come furono in Italia le donne e gli uomini del Partito d’Azione. Nel tempo, con il continuo allargamento del campo e con la vaghezza che ha assunto la definizione stessa, la sinistra non è più una casa comune con un proprio indirizzo, essa è diventata prima un condominio ed oggi sembra un villaggio vacanze.

Per dirla ancora più nettamente: quando guardo all’insieme della sinistra europea vedo confusione, di certo non identità precisa o condivisa. Ad esempio, se volgo attenzione al vostro Paese non mi pare di cogliere alcuna relazione progettuale tra la visione di Jean Luc Mélenchon col suo movimento e quella del PSF di Olivier Faure, o del PCF di Fabien Russel. Credo siano ancora loro segretari. E pur tuttavia devo riconoscere nel vostro scenario politico che tutti e tre i partiti hanno riconoscibilità, vorrei dire tridimensionalità. Ovviamente la mia percezione è assolutamente superficiale, ho frequentato sporadicamente la sinistra francese ed in tempi, come ricorderai, assai diversi. Interpreto dunque a partire da ciò che leggo.

Vivendo in Italia osservo come da noi la sinistra, per come la intendiamo in questo dibattito, sia totalmente immersa nel vago. In una qualche misura è scomparsa dallo scenario. Di certo non ha più precisa identità politica e non ha una proposta di gestione della cosa pubblica alternativa a quella liberale ( aggettivo all’italiana, verrebbe da dire, assunto che nel mio Paese il liberalismo era incarnato da mr. Berlusconi ) oppure reazionaria, com’è attualmente.

La sinistra è giunta a tal punto di secchezza ideale che l’unica proposta in grado di elaborare si concretizza in cinque parole: non facciamo vincere la destra. In coerenza con i primi vent’anni del secolo nel quale ha usato, sempre come proposta, altre 5 parole: non facciamo vincere Berlusconi. Di com’è oggi la sinistra italiana parlerò tra qualche istante, userò qualche riga di riflessione su com’era prima, perché il suo passato giustifica il mio aggettivo attuale: scomparsa.

Nel mio Paese, per decenni, la sinistra è stata un coacervo di personalità alte, talvolta molto conflittuale e sempre animato da precisi connotati ideologici. Il PCI era il più forte ed il più radicato partito della sinistra, ed il più grande ed influente nello scenario comunista europeo. Nel suo punto di massima espansione in Italia lo votava un elettore su tre. Le cinture operaie delle grandi città erano presidiate dalle sue sezioni, centri di aggregazione sociale e di formazione politica. Le Feste dell’Unità – il giornale di partito- erano eventi straordinari. Kermesse capaci di durare, come ad esempio a Milano, diversi giorni con centinaia di migliaia di partecipanti. Essere di sinistra in Italia, in quegli anni che vanno dal dopoguerra fino alla fine degli anni ottanta, voleva dire rispecchiarsi nella linea del Partito o misurarsi con esso.

Il PCI impernia la propria storia, dal dopoguerra alla sua fine, su due personalità straordinarie e differenti che incarnano la profonda eppur coerente evoluzione politica. Prima la grande capacità di guida di Palmiro Togliatti, che orientò il Partito nella sua fase di affermazione durante tutti gli anni della guerra fredda più aspra. Dopo qualche segreteria di transito emerge la forza morale e la visione innovativa di Enrico Berlinguer, che ne segna l’evoluzione con l’abbandono dei postumi dello stalinismo ed un pensiero meno dottrinario e più socialista. Entrambe, durante tutta la loro vita, subirono pressioni ed intimidazioni da Mosca, questo è risaputo, come si sa che queste minacce non funzionarono, su nessuno dei due. Personalità forti, strutturate. Degne.

La forza morale del Partito Comunista Italiano era indiscutibile, la sua linea di condotta sempre chiara. Il PCI si esprimeva con posizioni ferme e rigorose davanti ad ogni evento, fosse esso la politica industriale dei vari governi democristiani, incarnata da personaggi come Prodi, od il terrorismo. La fermezza del vertice era orgoglio e sicurezza per tutti i militanti. Nessun partito della sinistra storica ha avuto così consenso e così ampio mandato dalla sua base. Le rare fuoriuscite sono da imputarsi a posizioni soggettive e dogmatiche. Ad esempio nel finire degli anni 50 con l’uscita di settori toscani e lombardi per via del superamento dei dettami di Stalin; od ancora sul finire dei ’60 con la creazione del Manifesto- su posizioni più prossime alla sinistra rivoluzionaria del Movimento- voluta da quadri ed intellettuali di partito come Luigi Pintor, Rossana Rossanda, Lucio Magri. Personalità tanto compiute quanto minoritarie.

Come potremmo definire la sinistra italiana in quei lunghi anni di predominio comunista? Una forza trainante ed impressiva. Da un lato socialmente radicata, politicamente sempre determinante, ideologicamente molto chiara. Dall’altro separata al proprio interno tra la visione movimentista, sulla scia della sinistra insurrezionale che si andava affermando, ed il Partito, fortemente istituzionale e costituzionale. Il resto dello scenario di parte non era considerato sinistra, se non nell’accezione di geografia parlamentare a cui accennavo all’inizio. Luogo fisico, non ideologico. Non era considerato di sinistra il PSI, dopo la svolta di Craxi, tantomeno lo erano i socialdemocratici che, nati con la scissione di Saragat, esprimevano una posizione acriticamente atlantista.

Che cos’era la sinistra in Italia? Un forte presidio di classe ed una opposizione ferma e consapevole, con un progetto alternativo di società ben dimostrato dalle Regioni in cui era al governo. Non vi era ambiguità, ma proposta netta con identità definita. Chi la sceglieva sapeva cosa essa volesse realizzare ed anche come.

Cos’è oggi la sinistra in Italia? Un residuo. Come si è arrivati a questo è scritto nelle cronache politiche degli ultimi 30anni. Un capitale – politico e reputazionale- solido come era quello lasciato dal PCI non si poteva sciogliere in poco tempo. Distruggere questo patrimonio ha richiesto non solo scelte assolutamente sbagliate ma anche il volerle perseguire con una tenacia ed un rigore distruttivo degni di migliore causa. Di questa dissoluzione è responsabile la classe dirigente residua, o meglio residuale, del PCI.

Il progressivo sfaldamento parte dalla crisi del PCI degli anni 90, con le oscillazioni emotive della segreteria di Achille Occhetto, e si realizza con la fondazione del Partito Democratico che, già solo nella scelta del nome, dimostra tutta la sua ambiguità. Nel passaggio tra le due fasi si afferma la leadership di Walter Veltroni, è lui che traghetta il Partito Democratico della Sinistra nel terzo millennio, aprendolo ai democristiani e togliendo dal simbolo e dal nome la definizione di area: della sinistra.

Come costui la pensi è evidente già nel ’97 quando è vice premier del governo Prodi (Romano Prodi, democristiano, quel responsabile delle politiche industriali come presidente dell’IRI cui accennavo poche righe fa). I punti di riferimento internazionale di Veltroni sono Clinton e Blair, un liberale ed un liberaldemocratico.( In proposito questo articolo del 1997 https://archivio.unita.news/assets/main/1997/03/02/page_007.pdf.)

A leggere l’articolo ci si domanda perché ci sia stata tanta inimicizia con Renzi. Il toscano aveva gli stessi riferimenti internazionali, la stessa strategia ( meno welfare e più flessibilità ) e la stessa visione verticistica nella gestione del PD di Veltroni. Probabilmente si trattava di beghe interne e personalismi, condite da accuse di malafede del tutto indimostrabili.

Renzi sta alla sinistra come il cavolo fritto sulla torta di mele. Esattamente e specularmente lo è Veltroni. Entrambi in tempi diversi sono responsabili della sparizione della sinistra italiana.

La rinuncia all’area di riferimento per avere in cambio una piccola parte dell’ex DC, gente di seconda fila, rende sterile il Partito Democratico. Esso perde inesorabilmente il ruolo di rappresentante della classe, rinuncia ai riferimenti guida del pensiero socialista e di conseguenza perde la capacità di elaborare un programma politico ed un modello di coesione sociale chiaramente alternativo.

Per vent’anni, in una continua ricerca della mediazione preventiva ed interna sempre fallita, il PD costruisce due alleanze di governo naufragate una dopo l’altra ed alla fine si trova per più di un lustro in continuità di governo grazie ad una serie di accrocchi istituzionali - specie nella gestione del presidente Giorgio Napolitano, anch’egli ex comunista redento - che hanno a che fare con tutto meno che col voto del Cittadino.

La crisi della sinistra italiana è in larga parte conseguenza di quella decisone di Veltroni e associati: togliere il della sinistra dal partito di riferimento e spalancarne le porte a chiunque. Si è voluto far sparire ciò che restava del Partito Comunista e del suo radicamento sociale, quasi fosse una colpa, quasi si volesse abiurare. Al punto tale che Veltroni stesso affermò di non essere mai stato comunista. Cosa facesse come dirigente della Gioventù Comunista è uno degli infiniti misteri della sua storia politica e della sua psiche.

Il PD in pochi anni ha disintegrato il primato morale conquistato dal PCI in dieci lustri. Il Partito Democratico si è infarcito di personaggi assolutamente equivoci che hanno riempito le cronache giudiziarie del Paese per anni, ininterrottamente. Quei personaggi sono riusciti dove hanno fallito tutti, dai servizi segreti al grande partito democristiano, scardinare l’opposizione politica italiana e delegittimarla. Le peggiori degenerazioni sono sempre quelle che nascono all’interno.

La, diciamo, sinistra italiana va alle europee senza uno straccio di programma. L’unica discussione, accesissima è stata sulla proposta della segretaria Elly Schlein di mettere il suo nome nel simbolo. Si è rivisto anche il consueto Prodi discettare della faccenda. Era ostile alla proposta, probabilmente perché a lui non è riuscito. In compenso se non ricordo male riuscì a Veltroni. Questo è il grande tema su cui si è ingaggiata la sinistra ufficiale in Italia, a più o meno dieci settimane dal voto.

Quindi il mio contributo al dibattito è così riassumibile: da parte italiana, per come la vedo io ovviamente, la diciamo sinistra non ha proposta e non ha identità, non ha radicamento sociale e consenso politico. Chi voterà il PD lo farà solo perché in questo Paese abbiamo la destra più grottesca incapace ed ignorante che mai l’Europa abbia partorito. Dunque si voterà contro qualcosa non per qualche cosa. Il che, a mio avviso, è la fine di ogni partecipazione politica.

Questo è il mio punto di vista, o di svista se Tu preferisci.

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Ho riportato questo pezzullo pari pari qui sul blog perché era inutile scriverne uno ad hoc sul tema elezioni europee. Tutto quello che l’Italia ha passato e passa è di certo responsabilità di Berlusconi e di tutti i suoi epigoni, inclusi due governi tecnici e due ammucchiate senza alcuna forma così come l’attuale governo reazionario. Lor signori hanno potuto farlo, hanno potuto mangiare denaro pubblico e minare il futuro Paese perché si è disintegrata – dall’interno - la forza della sinistra storica. Chi l’ha fatto - chiamando per di più questa idiozia riforma della sinistra - ha agito per ambizione, presunzione e poca lungimiranza. Se fosse riscontrabile della buona fede, la considero un’aggravante.

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