La distruzione della diga di Nova Kakhovka parla da sola. Ma non è improbabile che qualche difensore della Russia putiniana sostenga che la responsabilità è dell’esercito ucraino. E forse non mancherà qualche bello spirito pronto a insinuare che l’ha fatto per giustificare il rinvio della grande offensiva, temibile per chi deve attaccare difese ben trincerate.
Ma la distruzione della diga ingigantisce il problema per la vasta schiera di coloro che chiedono a tutti i costi l’apertura di trattative tra i due contendenti. Si può sostenere che la Russia è interlocutore credibile di colloqui di pace nel momento in cui aggiunge all’uso abituale e costante del fuoco di missili e cannoni l’insidia travolgente e stagnante dell’acqua? Quando i civili inermi sono non solo squartati dalle esplosioni ma anche inondati in un’intera larga regione?
Si impara a scuola che la fertilità straordinaria delle pianure del Nilo era il regalo ciclico delle sue grandi alluvioni. Queste distribuivano con generosità quantità incalcolabili di limo. Ma oggi in qualsiasi alluvione del mondo industriale il limo è mescolato al gasolio e agli altri veleni con cui siamo abituati a convivere. Il fango del Nilo sigillato dal sole poteva essere rovesciato dall’aratro e produceva grano. Il fango del Dnipro sarà sempre mescolato con i veleni.
Chi ha distrutto la diga di Nova Karkhovka ha commesso un delitto contro l’Ucraina ma anche contro la Terra. Ha avvelenato per anni i campi destinati a produrre messi. Qualcuno obbietterà che l’inondazione danneggia anche vaste terre a est del Dnipro, oggi in possesso degli invasori russi. Non sarà questo per loro fonte di preoccupazione. Le terre del Donbass da loro rivendicate le hanno già macerate con i bombardamenti senza fine; ed è noto il loro totale disinteresse per la vita dei coscritti che hanno rastrellato ai confini dell’impero asiatico e inviato a morire insieme ai carcerati per un’inutile metro di steppa ucraina. Fare il deserto è il loro mestiere e non si dorranno per questo. Anzi centinaia di chilometri di paludi avvelenate li fanno sentire al sicuro.
La distruzione della diga è, per ora, l’ultima dimostrazione che la Russia non ha alcun interesse per la trattativa. Deserto sì, pace no. Le rovine della diga di Nova Karkhovka esprimono un definitivo chiarimento sul lessico di guerra: snaturata da Putin la parola Russia (che fino a poco fa ci inteneriva col ricordo della sua rivoluzione ormai morta, con la sua letteratura e la sua musica sempre vive) oggi non è più compatibile con la parola Pace.