Dopo lo stupefacente successo dei 5 Stelle nelle elezioni del 2018 non è stato semplice costruire un governo. Inutile qui rivangare tutti veti incrociati. Resta il fatto che l’unico governo possibile risultò quello stranissimo basato sull’accordo tra 5 Stelle e Lega.Accordo di convenienza temporanea in cui i due protagonisti del governo gialloverde dovevano ogni giorno mostrare al proprio elettorato che cosa riuscivano a realizzare dei due rispettivi, e quasi incompatibili, programmi.
L’accordo saltò per iniziativa di Salvini che, alla ricerca dei “pieni poteri”, si ritrovò sbalestrato con l’unico potere di esercitare l’opposizione al nuovo governo. Questo nacque con qualche soddisfazione dell’elettorato di sinistra ormai stabilmente orfano che avrebbe preferito fin dall’inizio l’accordo tra 5 Stelle e Pd, con l’aggiunta di Leu. Per gli stessi motivi per cui il governo gialloverde non poteva essere presieduto da un membro dei due partiti, anche il secondo governo giallorosso fu presieduto dalla stessa persona, l’avvocato Conte.
Il governo giallorosso, su cui la corrente di Renzi allora nel Pd avrebbe potuto opporsi, fu reso possibile proprio dal fatto che Renzi se ne fece in qualche modo promotore, in nome del realismo e della necessità (leggi: evitare elezioni dal probabile esito vincente per la destra). Ma poco tempo dopo Renzi guidava una scissione nel Pd e col suo gruppo parlamentare diventava arbitro del destino giallorosso. Nel frattempo il presidente del consiglio Conte riusciva a strappare condizioni insperatamente favorevoli per il Pnrr italiano. Come nelle commedie, sul più bello Renzi usciva dalla maggioranza e decretava la fine del governo giallorosso che aveva fatto nascere. Interamente sua la pars destruens.
La costruens fu tutta di Mattarella. Avrebbe potuto mandare il Paese alle elezioni? Come sarebbe andata non si sa. Nella sua saggezza il presidente preferì ricorrere a una soluzione estrema: una vasta maggioranza senza connotazione politica guidata da una persona dall’indiscutibile prestigio internazionale. Non ci furono obiezioni, solo la destra estrema voleva le elezioni. Renzi gongolava attribuendosi surrettiziamente il merito della sostituzione di Conte con Draghi. Fino a questo punto della storia siamo di fronte a una serie di fatti obbligati.
Nelle condizioni date il governo gialloverde era inevitabile. Poteva non piacere ma non c’era nulla da fare. Subito dopo anche il governo giallorosso era inevitabile e anche qui, oltre a polemizzare c’era poco da fare. Ancora più inevitabile, con la pandemia e la guerra russa in Ucraina, il governo Draghi. Ora ci tocca sentire i gridi di giubilo perché i 5 Stelle, indeboliti dopo una prima scissione e con una seconda in arrivo, mettono in crisi il governo. È certo difficile trovare qualcosa di buono nell’operato dell’ultimo governo. La riforma della giustizia garantisce una nuova moderna prescrizione per i reati dei potenti che possono allungare i tempi dei loro processi; l’autonomia regionale differenziata minerà alla base il concetto di uguaglianza affermato dall’articolo 3; la riforma fiscale strisciante favorisce gli alti redditi; il contrasto all’evasione e all’elusione fiscale è un rito verbale; l’impiego dei fondi Pnrr è saldamente in mano a un’autorità tecnocratica lontanissima dai principi ecologici; l’agibilità richiesta dai comuni nell’uso dei fondi eliminerà i più elementari criteri di garanzia nella gestione di ambiente, territorio e paesaggio.
Si capisce benissimo la richiesta della destra che è sicura della vittoria a mani basse nelle elezioni anticipate, ma l’infelice elettore di sinistra può solo essere sicuro dell’impossibilità di ridare vita in tempo alla rappresentanza di cui ha bisogno. E non consideriamo qui le turpi leggi elettorali con cui si è votato dopo il Mattarellum. Deve comunque darsi una mossa perché la scadenza naturale della legislatura è, anche se non anticipata, vicinissima.
Aggiungo un’ultima nota. L’eventuale caduta del governo Draghi costituisce un rilevante vantaggio gratuito per l’impero asiatico, neosovietico e neozarista di Putin che, incurante delle preghiere pacifiste, continua a macellare l’Ucraina. Anche se fosse solo per la politica estera il governo Draghi dovrebbe durare fino al termine della legislatura.