Chissà se Zingaretti, con tutto quello che ha da fare, ha potuto ripensare alla sua prima uscita pubblica: l'Italia non funziona perché ha vinto il No nel referendum costituzionale.
Ma qui non è in causa la questione principale: quale sventura sarebbe stata l'affermazione di una pessima riforma costituzionale, con tutte le sua conseguenze a cascata, fino all'arbitrio del presidente del consiglio sulla sua maggioranza.
Ed è su questa sua opinione che si misura il giudizio di lungo periodo sul suo operato, che ci auguriamo però denso di ravvedimenti operosi.
Qui ci limitiamo a una questione secondaria, che non è trascurabile: se avesse vinto il Sì, con buona probabilità Lotti sarebbe ancora sottosegretario a Palazzo Chigi. Non so se vi rendete conto.
Lui, registrato (grazie al cielo: viva le intercettazioni!) in una riunione in cui non doveva essere presente, a dire cose che non doveva dire, a millantare relazioni istituzionali inesistenti, si difende dicendo che erano parole in libertà. Lasciamo da parte il problema filosofico: il sottosegretario (ex) ha questa concezione delle parole? E della libertà?
Ma andiamo al sodo. La butta in giurisprudenza: c'è un reato? Assolutamente no.
C'è un'imposizione da parte mia? Assolutamente no. Anche se è un eccesso di generosità chiederglielo, provi a buttarla in politica: può un ex sottosegretario a Palazzo Chigi in una riunione con magistrati partecipare al totonomine nel Consiglio Superiore della Magistratura e caldeggiare il siluramento del magistrato che ha inquisito la famiglia di Renzi (e non insistiamo sull'eleganza del linguaggio usato)? Assolutamente sì, se il soggetto è Luca Lotti.
Renzi, che non perde occasione per parlare a vanvera, non ha niente da dire?
E Zingaretti non ha da ringraziare il cielo per la vittoria del No nel referendum costituzionale?
Questa ricordiamola bene perché tornerà utile quando la maggioranza attuale o, non si sa mai, quella futura, proverà a proporre una sua riforma presidenzialista.