Pancho Pardi: L’eversione anticostituzionale e il parlamento impotente

di Pancho Pardi - Micromega.net - 20/09/2024
Pubblichiamo un estratto dal libro di Pancho Pardi “Il Parlamento contro la Costituzione”, di prossima uscita per Derive Approdi.

Quello che segue è il capitolo “Presente e futuro” tratto dal libro di Pancho Pardi “Il Parlamento contro la Costituzione”, di prossima uscita per Derive Approdi. Ringraziamo l’autore e la casa editrice per la gentile concessione.

Nell’atmosfera creata dalla vittoria del centrodestra propiziata dalla legge elettorale voluta a tutti i costi dal centrosinistra (Renzi), tre temi di pesante rilievo costituzionale incombono: premierato, autonomia regionale differenziata, giustizia. Non privi di contraddizione reciproca, corrispondono alla vocazione delle tre componenti dell’alleanza.

I berlusconiani vogliono la punizione della magistratura. Il loro progetto è incardinato sulla separazione delle carriere tra giudici e procuratori. Se realizzato comporterà la soggezione sostanziale dei procuratori alla volontà del governo e ciò minerà alla base l’autonomia dell’ordine giudiziario. Sarà così attuata la volontà, esercitata da Berlusconi e poi dai suoi seguaci di mettere il bavaglio alla magistratura e incrinare così la divisione dei poteri, condizione essenziale per lo Stato di diritto.

I leghisti vogliono la dilatazione illimitata dei poteri regionali a danno del potere centrale, L’autonomia differenziata, ora diventata legge, è pericolosa per almeno due ordini di motivi. Ma prima di affrontare la questione nel merito si deve ricordare che essa si affaccia sulla scena politica come attuazione della Costituzione art. 116.3 e 117.2. Che cosa vuol dire? La risposta è amara: all’origine dell’autonomia differenziata c’è la sciagurata riforma del Titolo V della Seconda Parte della Costituzione, voluta a tutti i costi dal centrosinistra nel 2001. Oggi Calderoli e con lui il centrodestra hanno buon gioco a dire che l’autonomia differenziata, stabilita in quella riforma, e in particolare negli articoli sopra menzionati, è nulla di più che un dovere di attuazione costituzionale. In parole semplici il centrosinistra ha messo in mano al centrodestra lo strumento per insidiare gravemente principi costituzionali essenziali. I due ordini di motivi che creano il pericolo? La natura interna del nuovo regionalismo e le condizioni istituzionali già approntate per il suo cammino. Per motivi logici è necessario affrontare prima questo aspetto, indipendente dalla qualità stessa del progetto. È presto detto: sotto il governo Gentiloni (larghe intese pendenti a centrosinistra; la destra stava fuori) è stato fissato un accordo diretto Stato-Regioni che libera governo e regioni dalle facoltà d’intervento del Parlamento. Le Camere elettive potranno soltanto approvare o rifiutare senza possibilità di emendamento. L’impotenza del Parlamento non potrebbe essere più completa e definitiva. Accordo governo-regioni vuol dire: instaurazione di un regime pattizio tra i due contraenti, da cui il Parlamento è escluso per definizione. I patti potranno essere rimessi in discussione solo dall’iniziativa regionale, quindi mai. Questo snodo è la più colossale aporia logica: il Parlamento si è messo nelle condizioni di non poter esercitare la sua potestà. Fatto tanto più allarmante se si considera la potenzialità eversiva dell’autonomia regionale differenziata. Commentatori esperti avevano già da tempo rilevato la sua potenza creatrice di disuguaglianza: fin dall’inizio l’autonomia rafforzata è stata giudicata come la «secessione dei ricchi». Le regioni più ricche avrebbero la possibilità di usufruire di dotazioni finanziarie crescenti, mentre le meno ricche scivolerebbero nell’indigenza. Ma non c’è solo il crescente divario economico. C’è il rischio certo di una frammentazione regionale di sistemi che la Costituzione garantisce come statali e omogenei. Sono ammissibili una scuola regionale, una sanità regionale, politiche dei beni culturali, dell’ambiente e dell’energia regionali? Ogni regione, in base ai suoi egoismi potrà dare una torsione propria a bisogni e diritti che devono essere uguali per tutti. Il fatto che oggi non lo siano non giustifica la volontà di renderli ancora più disuguali. L’autonomia regionale differenziata è la base materiale per la dissoluzione dello Stato unitario (di recente giornalisti attenti hanno riportato alla memoria una proposta di riforma costituzionale avanzata da Meloni nel 2014: l’abolizione delle regioni!). Ora un largo fronte di forze di opposizione ha preso l’iniziativa di un referendum abrogativo: il protagonismo civile sarà ancora una volta chiamato alla mobilitazione.

Come antidoto alla frammentazione dell’unità nazionale, i postfascisti vogliono invece imporre il simulacro del potere centrale con l’elezione diretta del premier. Questa viene motivata essenzialmente con il bisogno della stabilità. Assisa sulla scena come feticcio indiscutibile essa non viene nemmeno argomentata. È la necessità primaria postulata senza spiegazioni. E illumina a ritroso la storia politica italiana come una vicenda di instabilità. Tesi perfettamente falsa: per decenni i governi si susseguivano con una durata media di poco più di un anno, ma la stabilità infranta dal rosario degli esecutivi era saldamente in mano alla Democrazia Cristiana, la cui capacità di durata veniva così temuta da creare la diffusa «paura di morire democristiani». Del resto la falsità della tesi è dimostrata dall’esperienza tedesca, un sistema istituzionale basato sulla democrazia parlamentare la cui solida stabilità è assicurata senza ricorrere all’elezione diretta del premier.

Tralasciamo qui le stranezze dilettantistiche della prima proposta di premierato, illustrata dall’incoerente artificio che rende meno stabile il premier eletto direttamente e più stabile il suo eventuale sostituto scelto all’interno del Parlamento. Se regnasse la logica l’intera proposta poggiata su una base così friabile dovrebbe essere mandata al macero. Concentriamo l’attenzione sull’essenza delle intenzioni che vogliono imporre il premierato. I cittadini vengono privati del diritto di eleggere direttamente i loro rappresentanti perché sono obbligati a votare liste bloccate decise dai capipartito (chiunque essi siano). Ma vengono lusingati e ingannati dal diritto di eleggere direttamente solo il premier. La loro facoltà di voto è spezzata in due parti di valore profondamente diverso. Quando votano per la loro rappresentanza, il Parlamento, il loro voto non è libero (come invece garantisce l’art. 48) perché è incanalato su liste bloccate dove non si dà possibilità di scelta. Appare libero quando votano per il premier, il capo del Parlamento. Ma almeno i due voti fossero separati! Ci sarebbe la possibilità, come nel sistema americano, di distinguere tra l’elezione della camera elettiva e l’elezione del premier. Il corpo collettivo avrebbe il suo carattere distinto dal corpo individuale votato per la carica preminente. Una personalità plurale di fronte a una personalità individuale. I costituenti americani hanno preferito il rischio di ridurre l’autonomia del presidente al pericolo di affidargli il dominio indiscusso. E invece no! Nel sistema ora proposto la facoltà di voto è spezzata ma unica. Il voto per il premier trascina con sé il voto per il Parlamento e attribuisce il premio di maggioranza alla lista collegata al nome del candidato che prevale. I parlamentari così eletti non potranno che essere grati al soggetto che li ha elevati (prima perché li ha scelti e poi perché li ha beneficati ingigantendo la sua maggioranza con i seggi sottratti alle minoranze). Così strutturata l’elezione diretta del premier sancisce la soggezione ontologica del Parlamento. I signori Nessuno di fronte all’Uno. Vogliono il sindaco d’Italia ma poi vietano il voto disgiunto! Così avranno un Sindaco d’Italia che potrà ridurre il Parlamento all’ectoplasma di un Consiglio Comunale

C’è poi tutta la questione delle conseguenze. Un sistema così organizzato produce effetti a cascata su tutti gli organi di garanzia. Una maggioranza artificiale al servizio del premier può impadronirsi delle cariche che dovrebbero avere carattere super partes: la presidenza della repubblica, la corte costituzionale ecc. Una monarchia elettiva

Si concluderebbe così il lungo cammino di svuotamento del Parlamento a vantaggio di un potere senza limiti e senza controllo. I postfascisti non si accontentano di quanto è stato prodotto finora dalla prassi. Godono già di un premierato forte, Ne hanno i vantaggi, possono fare e sfare a loro piacimento, ma non gli basta. Pretendono che la soggezione del Parlamento assuma un carattere formale certificato. Vogliono sfigurare la Costituzione che hanno subito per decenni come frutto della sconfitta inflitta al loro originario regime. La Costituzione aveva seppellito il loro regime. Vogliono seppellire la Costituzione. Per loro mano la Repubblica parlamentare deve inchinarsi al potere del premier.

Se questa operazione sarà coronata da successo la storia dei danni che il Parlamento ha fatto alla Costituzione, qui succintamente narrata, approderà alla sua conclusione finale. Non senza contraddizioni, se si considera che il regionalismo differenziato, se praticato come predica la volontà leghista, potrebbe sottrarre all’autorità monocratica del premier eletto dal popolo materie assai significative e quindi svuotare in molti settori il suo potere superiore. Potremmo chiederci: in che modo un Parlamento indebolito dal potere prevalente del suo premier potrà equilibrare i nuovi poteri dei governi regionali? Il parlamentare eletto in una regione non finirebbe per diventare cinghia di trasmissione della volontà di chi governa quella regione? E se preferisse restare succube di chi l’ha fatto eleggere, quali strumenti effettivi avrà il premier eletto dal popolo per imporsi sui governi regionali? La comune appartenenza a una coalizione smusserebbe gli angoli ma non è detto che questa condizione si verifichi sempre.

Ma l’autonomia regionale differenziata ha in sé un ultimo carattere temibile. L’arlecchinata delle regioni differenziate incrina l’unità del paese e dà forza alla soluzione cara a FdI per tenere insieme la nazione. Il premierato assoluto: italiani divisi nelle regioni ma uniti nella persona del Premier! Eletto direttamente e quindi da una parte, non potrà mai essere super partes, custode della separazione dei poteri. Il suo potere comprimerà quello già sfilacciato del Parlamento e limiterà quello del Presidente della Repubblica. Sulle ceneri della Repubblica parlamentare si instaurerà l’inedita Repubblica premierale. La Costituzione sarà sfigurata in modo molto più incisivo e pericoloso di quanto avrebbero voluto fare le riforme di Berlusconi e Renzi. E tutto ciò sarà realizzato da una coalizione parlamentare affermatasi nel voto grazie a una legge elettorale che ha permesso a una minoranza di fregiarsi del titolo di maggioranza.

Su molte questioni restano aperte le domande. Ma se si guarda a tutta questa vicenda tenendo come centro d’interesse il ruolo del Parlamento la conclusione è inevitabile. Il Parlamento ha ceduto parte delle sue potestà alle regioni e si è perfino escluso dalla possibilità di intervenire in merito alle materie alienate. Il Parlamento dopo aver ceduto l’intera potestà legislativa all’esecutivo ha scelto con la riforma costituzionale in corso di consegnarsi alla volontà del capo del governo. Se la riforma sarà votata secondo la volontà della maggioranza di destra, il Parlamento sceglierà un destino di servitù volontaria. Orizzonte desolato che può essere scongiurato solo da un nuovo ciclo di impegno civile. Nuove prospettive si affacciano. La massiccia partecipazione al voto politico in Francia non solo ha sbarrato il cammino al trionfo della destra ma ha scoperto la possibilità di un ruolo più autonomo del Parlamento di fronte al potere del Presidente. Una lezione contro il premierato assoluto.

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