Nella tradizione politica moderna uomini di stato che hanno finito di svolgere la loro funzione politica possono dedicare il loro tempo a conferenze ben remunerate. La cosa è abituale negli USA dove il Presidente alla fine della carica è, se è un buon oratore, una sorta di brillante disoccupato a vita, in giro per università e fondazioni. In tempi più recenti il fenomeno si è manifestato anche in Europa, dove alle conferenze si sono aggiunte le consulenze. Blair, cessato l'incarico, ha guadagnato molto di più con queste nuove attività di quanto guadagnasse come premier. Schroeder, dopo il cancellierato in Germania, è imprevedibilmente approdato a Gazprom in Russia (una versione benevola di questo passaggio è la difesa degli interessi tedeschi nella distribuzione del gas russo).
Ora Domani ci presenta un caso nuovo. Renzi non ha atteso la fine della carriera politica per dedicarsi all'esternalizzazione del proprio talento. Che avesse un giro vorticoso di conferenze ben pagate qua e là si sapeva. Ma Domani ci informa che, proprio nei giorni della crisi da lui aperta in Italia, il senatore toscano doveva essere presente a Riad per onorare un contratto che lo vincola alla partecipazione diretta al board di una fondazione in mano alla famiglia regnante. Partecipazione remunerata, pare, con 80 mila dollari annuali.
L'osservazione principale, avanzata già da vari commenti, riguarda il rapporto critico tra il ruolo di senatore in carica della Repubblica italiana e la non improbabile incompatibilità con una fondazione che persegue interessi ben diversi da quelli della Repubblica. Se Renzi fosse soltanto l'ex presidente del consiglio e non sedesse in Parlamento, come aveva solennemente promesso di fare, sarebbero fatti suoi, ma non è questo il caso. La seconda osservazione riguarda il ruolo, molto discusso, del maggior esponente della famiglia regnante nell'omicidio e nell'occultamento del cadavere di un notissimo giornalista saudita, Kasshoggi, critico nei confronti del potere dominante; fatti avvenuti all'interno della ambasciata saudita a Istambul. A questo proposito Renzi si è già sperticato in lodi del regnante saudita, Salman, lodato, bontà sua, come esempio di modernità e democrazia.
Quanto alle consulenze ci si può chiedere che cosa si possa ricavare dalle opinioni di un premier inglese uscito con ignominia dall'esperienza politica dopo aver avvallato la teoria, dimostrata falsa, delle armi di distruzione di massa in mano al vecchio dittatore iracheno Saddam Hussein. Un'operazione che ha distrutto un paese, ucciso decine di migliaia di persone, cancellato molti dei suoi preziosi beni culturali e diffuso il terrorismo in una misura e una vastità prima sconosciute.
Ci si può anche chiedere che cosa, tra le competenze di Renzi, corrisponda a 80 mila dollari annuali. La sua immagine di uomo di successo, scalfita in profondità dalla sconfitta clamorosa nel referendum sulla sua riforma costituzionale, in fondo è ormai affidata solo alla sua efficacia nel buttar giù i governi retti dal suo partito. Allora forse c'è un movente più modesto. Poiché Renzi ha spiegato che il suo personale contributo riguardava la gestione della cultura nell'ambiente urbano, si può immaginare i sauditi affascinati dal suo documentario su Firenze, e intenzionati a risarcirlo per la sua sfortuna mediatica: accantonato dai grandi media e costretto a girare solo nelle reti minori.
Ma insomma, se le fondazioni insisteranno, come ci auguriamo, a pagarlo profumatamente, Renzi si dedichi allora in esclusiva a questo suo emergente talento. Fare politica nei ritagli di tempo potrebbe, alla lunga, nuocere alla sua fama.
L'osservazione principale, avanzata già da vari commenti, riguarda il rapporto critico tra il ruolo di senatore in carica della Repubblica italiana e la non improbabile incompatibilità con una fondazione che persegue interessi ben diversi da quelli della Repubblica