Si può benissimo non essere d’accordo sull’operato di un governo senza per questo augurarsi la sua fine insieme alla fine della legislatura. Soprattutto quando la fine dell’uno e dell’altra prospettano aggravamenti drammatici delle difficoltà senza alcuna speranza di rimedio.
I 5 Stelle, dopo aver imposto il taglio dei parlamentari che li ridurrà al lumicino, hanno aperto la crisi ma non ne hanno gestito lo sviluppo e hanno lasciato alla Lega (già in grave difficoltà dai tempi del Papete) la libertà di rientrare trionfalmente sulla scena, sostenuta da Berlusconi che così ha potuto compiere il suo ultimo danno al paese.
Chi è d’accordo con Meloni e Salvini ha tutti i motivi per gioire e pregustare un esito favorevole delle urne. Le elezioni anticipate favoriscono la destra e, del resto, dopo la crisi del governo gialloverde non era stato salutato, magari a denti stretti, il governo giallorosso perché ci risparmiava le elezioni anticipate con una probabile vittoria della destra? Possiamo tranquillamente ammetterlo: mentre il ricorso al voto ogni cinque anni è la normalità costituzionale e nessuno può augurarsi la sua scomparsa, il voto anticipato è certo il prodotto di una situazione parlamentare (e in questo senso è anch’esso normale) ma nessuno è obbligato a farselo piacere.
C’è una parte di elettorato italiano, sicuramente più piccola di quanto vorrebbe, che aveva buoni motivi per criticare nel merito il governo Draghi, sia pure tenendo conto delle speciali condizioni in cui si trovava a operare, dettate dall’evoluzione stravagante della legislatura.
Una riforma della prescrizione che aumenta la possibilità dell’imputato di sfuggire alla giustizia e aggrava il destino delle parti lese; una riforma fiscale strisciante che favorisce i redditi più alti; l’incubo di una autonomia regionale differenziata che seppellisce il principio di uguaglianza dell’art. 3; una cifra tecnocratica e niente affatto ecologica nell’impianto dei dispositivi per il Pnrr; l’accoglimento delle ragioni dei Comuni che per operare nel quadro del Pnrr chiedono a gran voce di essere liberati dagli obblighi di legge che impongono loro il rispetto delle garanzie di ordine ambientale, territoriale e paesistico: un liberi tutti pericolosissimo. A questi, si potranno aggiungere altri, molti altri motivi di critica, ognuno avrà i suoi.
Ma anche la critica più fondata può fermarsi prima di invocare la fine dell’esperienza governativa semplicemente considerando le sue conseguenze. La scadenza naturale della legislatura era prevista tra meno di un anno. Con la corsa al voto anticipato, sotto il profilo tecnico si rischia di mancare la Finanziaria e di dover ricorrere all’esercizio provvisorio; sotto il profilo europeo si rischia di mancare l’ottenimento dei fondi promessi dall’Europa (per quanto restino criticabili le sue finalità); sotto il profilo tutto politico si rischia una vittoria a mani basse della destra.
Ma c’è un’altra conseguenza allarmante: con la vittoria della destra diventa più che probabile una torsione putiniana della politica estera. C’era un aspetto positivo nella politica estera del governo Draghi: l’appoggio convinto a sostegno dell’Ucraina aggredita e sempre più devastata dai bombardamenti russi. Già coincide con la sua fine la dichiarazione ufficiale che la Russia non si accontenterà del Dombass (in barba a tutte le illusioni di chi auspica un negoziato su quelle regioni). Possiamo essere certi che la fine del governo Draghi non sarà solo il via libera alla vittoria della destra in Italia, ma anche un passaggio delicato che aumenta la possibilità di una vittoria di Putin. Anzi, nel contesto europeo la fine di Draghi è già ora una vittoria di Putin. Bel risultato davvero! Chi nella sconsolata sinistra italiana potrebbe gioirne? Forse quelli che, dimentichi dei governi Berlusconi, hanno sostenuto che Draghi era il più grave pericolo per la democrazia…