Secondo la Costituzione la rappresentanza parlamentare dei cittadini si realizza con il voto eguale. Il voto eguale è possibile solo con il sistema di voto proporzionale. Qualsiasi alterazione del sistema proporzionale produce, con minore o maggiore severità, diseguaglianza del voto. Un sistema proporzionale che adotti la soglia di sbarramento rende nullo il voto dei cittadini che hanno scelto la lista che non la supera: non avranno rappresentanti e quindi il loro voto non è eguale a quello degli altri. Anche il premio di maggioranza altera l'eguaglianza del voto. Nei sistemi maggioritari la trasformazione dei voti in seggi avviene tramite il principio del voto non eguale: il voto di chi ha scelto la lista che prende più voti conta più del voto di chi la scelto le liste che hanno preso meno voti. A seconda del sistema adottato lo scarto può essere più o meno rilevante. Maggiore o minore vi sarà sempre diseguaglianza nel voto.
Si dice che il criterio proporzionale può entrare in conflitto con la necessità della democrazia governante. È innegabile. Ma l'esperienza mostra come anche il voto diseguale non assicuri sempre la certezza della democrazia governante. Perfino nell'esperienza anglosassone , incardinata sul sistema maggioritario più severo, vi sono casi che hanno reso necessari, anche in età vittoriana, governi di coalizione.
Conclusione provvisoria. Il sistema proporzionale assicura la perfetta rappresentanza ma questa non è certo che assicuri la governabilità. Il sistema maggioritario assicura, se va bene, la governabilità ma non la perfetta rappresentanza. E se la forzatura maggioritaria è energica rischia di attribuire la maggioranza a una minoranza.
Si potrebbe obbiettare che anche la rappresentanza perfetta esclude gli astenuti dal voto e gli astenuti dal seggio. Ma l'obiezione è superata dalla volontarietà dell'astensione: chi annulla il voto o se ne astiene reclama il diritto di non essere rappresentato.
La rappresentanza democratica ha quindi sempre, in proporzioni e modi diversi, una sua immanente criticità. Si potrebbe parlare di consapevole rappresentanza imperfetta. Questa potrà produrre inconsapevole sovranità imperfetta?
La rappresentanza imperfetta (da qui in poi, eccetto le ultime righe, si omette l'aggettivo) produce il Parlamento. Il Parlamento produce il Governo. Il destino della rappresentanza è assicurato dalla dialettica tra Parlamento e Governo. Se davvero il Parlamento fosse la sede dell'attività legislativa e il Governo di quella esecutiva la rappresentanza sarebbe lo strumento con cui si esercita la sovranità.
Ma da vari decenni il Governo si è progressivamente impossessato della potestà legislativa. Di fronte a questa tendenza da decenni si invoca la centralità del Parlamento ma l'invocazione risuona sempre più impotente e penosa. (Qui si inserisce una parentesi di natura non istituzionale ma politica e addirittura umana: i Parlamenti degli ultimi decenni hanno avuto la dignità necessaria per rivendicare la propria centralità? Il Parlamento che votò Ruby come nipote di Moubarak? Ma, al di là degli aspetti grotteschi, resta il rilievo statisticamente accertato dell'incapacità tecnica nell'azione legislativa dei Parlamenti; e per la verità anche dei Governi: leggi, decreti legge e riforme costituzionali scritte coi piedi).
Un Parlamento, volontariamente o coattivamente privato della sua potestà, vanifica la rappresentanza e disperde la sovranità. Questa non è più rintracciabile nell'azione del governo. Ma il dissolvimento non finisce qui. La maestà governativa si rivela a sua volta aleatoria. Affrancati dalla presa cogente della rappresentanza, Parlamento e Governo (non necessariamente d'accordo) non sanno più a quale rappresentanza riferirsi: quella espressa dal voto trascorso o quella che discenderà dal voto futuro, indovinato dai sondaggi? Si dirà che resta sempre il vincolo delle maggioranze in aula. Ma è proprio certo? L'incertezza del voto futuro non paralizza forse le maggioranze in aula? E non rende vistosamente irresoluto il Governo? C'è in questo una stringente ironia: il governo che si è impadronito dell'attività legislativa non sa più come esercitare questa sua prepotente potestà.
Riassumiamo: il voto produce nel migliore dei casi una rappresentanza imperfetta, ma l'alterazione nel rapporto tra Parlamento e Governo aggiunge un danno ulteriore: l'evanescenza della sovranità popolare. Rappresentanza imperfetta, sovranità impossibile.
Che fare? Si dovrebbe ricostruire le condizioni per cui il Parlamento sia degno di rivendicare la propria centralità. Ma come si fa? Non possiamo che ripartire dal voto ma sapendo che comunque la rappresentanza assicurata sarà intrinsecamente imperfetta. Si tratta di scegliere il grado di imperfezione. Se si pensa che si debba garantire la centralità del Governo la via è il sistema maggioritario, basato su una rappresentanza così imperfetta da rasentare l'impossibile. Se si vuole garantire la centralità del Parlamento non c'è che il sistema proporzionale, basato su una rappresentanza che potrebbe essere perfetta se non fosse resa (ragionevolmente?) imperfetta da soglie di sbarramento o premi di maggioranza. Non ci sarà subito una maggioranza parlamentare? Non è strano, è naturale: sarà proprio il Parlamento, forte della propria centralità, che dovrà esprimerla in aula. La politica è un'arte sperimentale. Se il Parlamento non saprà esercitarla avrà, per sua deficienza, temporaneamente dimostrato di non essere all'altezza della sua responsabilità. Ma chi dovrebbe costruire maggioranze se non il Parlamento?
In definitiva se non si obbliga il Parlamento a riprendersi in pieno la potestà sull'azione legislativa la sovranità finirà nelle mani di un Governo sempre meno controllato dalla rappresentanza. È intuitivo che il Parlamento avrà la capacità di mantenere salde le sue prerogative costituzionali solo nella misura in cui il voto avrà l'energia di esprimere una rappresentanza reale.
Si dice che il criterio proporzionale può entrare in conflitto con la necessità della democrazia governante. È innegabile. Ma l'esperienza mostra come anche il voto diseguale non assicuri sempre la certezza della democrazia governante