Questo 2018 non deve essere un anno di anniversari, di ricordi, di celebrazioni: quelli che hanno fatto davvero il ’68, con la testa e col cuore, sanno bene che non c’è niente da celebrare: non siamo ancora morti e non sono morte le nostre idee. Covano soltanto sotto la cenere di 50 anni di lotte furibonde e disperate per non arrendersi e morire, davanti a un potere che non era per niente una tigre di carta, come ingenuamente credevamo noi. E allora torniamo indietro, ma solo per un momento, il tempo di fare il punto della situazione.
Era il 1968 e il mondo giovanile era in fermento e non solo in Europa. Solo qualche mese prima, ad ottobre del 1967, era morto il Che, idolo di tutti i giovani del mondo, ucciso sui monti della Bolivia.
In America c’era la guerra del Vietnam, che si avviava ad una clamorosa sconfitta: i giovani americani tornavano in patria troppo spesso chiusi nelle bare, gli scontri fra polizia e studenti erano all’ordine del giorno e sempre più ragazzi americani fuggivano in Canada o in Messico per non andare in guerra.
Tutto si stava muovendo, stava cambiando. Anche qui in Italia.
Il 1 marzo di quell’anno ci fu la battaglia di Valle Giulia, a Roma. Io ero là per un congresso dei giovani universitari Socialisti, che si teneva ad Ostia. Avvisati dai compagni di Roma che c’era in atto uno scontro con le forze di polizia alla facoltà di architettura, prendemmo d’assalto la metropolitana di superficie e arrivammo nei pressi di Valle Giulia, ma l’intero quartiere era tutto blindato. Camionette della polizia chiudevano le strade, mentre ogni altro possibile accesso era sbarrato da un muro di poliziotti in equipaggiamento antisommossa. Era la prima volta che li vedevo in quell’assetto e ne fui colpita, ma quello che non potrò mai scordare era il rumore che facevano battendo forte, ritmicamente, dei lunghi manganelli neri contro gli scudi rettangolari di plastica trasparente. Era un suono cupo, profondo, inquietante, aggressivo, spaventoso. Era un suono di guerra, lo Stato si mostrava con la sua faccia crudele, impietosa, nemica. Avremo visto poi, negli anni seguenti, con le stragi di Stato, cosa era capace di fare.
Noi giovani, studenti o no, volevamo un mondo diverso, senza discriminazioni, in cui prevalesse il talento di ognuno, senza condizionamenti di classe, genere, razza, religione. Ma chi deteneva allora il potere non era certamente d’accordo e cercò in ogni modo di annientare “il fresco profumo di libertà” (fatemi parafrasare una bellissima immagine di Paolo Borsellino) portato dalle nostre idee, arrivando anche alla eliminazione fisica di chi si batteva, senza armi, per ciò che credeva giusto.
Il 4 aprile di quel 1968 fu ucciso a Memphis Martin Luther King. Dopo l’assassinio di JFK era davvero lo shock più grande che avessimo mai provato.
Ma a maggio la Francia apriva un capitolo nuovo nella sinistra: studenti e operai marciarono insieme per la prima volta.
Sembrava che tutto potesse cambiare, ma il 5 giugno a Los Angeles veniva ucciso anche Robert Kennedy. Di nuovo il mondo intero ne fu impressionato, commosso e sconvolto. Kennedy era candidato alla Casa Bianca e aveva appena vinto le primarie. Avrebbe vinto facilmente anche le elezioni presidenziali, dunque bisognava fermarlo, come era già successo con suo fratello.
Il 20 agosto i carri armati URSS invasero la Cecoslovacchia, che viveva un momento di grande rinnovamento - chiamato la Primavera di Praga - grazie al nuovo capo del governo, il democratico Alexander Dubček, eletto il 5 gennaio 1968.
Da quel 20 agosto in poi le proteste giovanili si susseguirono fino a culminare nel suicidio di Jan Palach, che si diede fuoco nel gennaio del 1969, seguito da altri 7 suicidi simili. I successori sovietici di Dubček cercheranno poi di “normalizzare” il paese, che comunque rimase in stato di occupazione fino al 1990.
Il 2 ottobre di quel travagliato 1968, dieci giorni prima dell'apertura dei XIX Giochi Olimpici a Città del Messico, proprio lì, nella Piazza delle Tre Culture, un gruppo di studenti manifestava pacificamente contro l’occupazione del campus universitario da parte dei militari del presidente Gustavo Diaz Ordaz. Improvvisamente e senza alcun motivo gli studenti furono circondati e letteralmente massacrati dai soldati, che sparavano ad altezza d’uomo. Fu una strage: non venne mai reso noto il numero dei morti, ma secondo alcune fonti furono addirittura diverse centinaia. Fra i feriti c’era anche Oriana Fallaci, che poi raccontò al mondo cosa era successo, altrimenti tutto sarebbe stato sepolto nel silenzio del segreto di stato. Se non si seppe mai con precisione il numero dei morti, però - e a maggior ragione - si continuò a definire massacri come questo “macelleria messicana”.
Ma nonostante questo eccidio le olimpiadi si tennero ugualmente in quella città, come se niente fosse accaduto. Tutti facevano finta di niente, e non parlo solo del governo messicano, a cui ovviamente faceva comodo un atteggiamento indifferente, ma nessuna delegazione di altri paesi fu ritirata dai giochi olimpici, né ci fu alcuna sanzione.
29 anni dopo il massacro, nell'ottobre 1997, il congresso messicano formò un comitato per investigare sul massacro di Tlatelolco. Il comitato raccolse vari testimoni e attivisti politici dell'epoca, incluso l'ex presidente Luis Echeverria Alvarez, che all'epoca era Segretario del Governo. Echeverria ammise che gli studenti erano disarmati e che l'attacco militare fu pianificato precedentemente per distruggere il movimento studentesco.
Questo si spiega solo se si ammette che gli studenti erano diventati ovunque una forza con una connotazione politica precisa. I giovani si ribellavano e reagivano contro ogni repressione. Per la prima volta, trasversalmente, un’intera generazione aveva gli stessi ideali, gli stessi miti, gli stessi obiettivi, la stessa musica e si sentiva affratellata, senza nessun distinguo.
Ma di quella Olimpiade si ricorda soprattutto la premiazione dei 200 metri piani, durante la quale il vincitore l’afro americano Tommie Smith - col tempo record del mondo - e il suo connazionale John Carlos, terzo classificato, alzarono il pugno chiuso guantato di nero in segno di protesta contro il razzismo, facendo conoscere al mondo l’esistenza delle pantere nere e del movimento del black power.
“ Ascoltarono l'inno nazionale americano con il capo chinato come per vergogna, tenendo gli occhi fissi sulle loro medaglie come in segno di protesta… Lo stesso gesto venne adottato dalla ginnasta ceca Věra Čáslavská, che trovandosi sul gradino più alto del podio insieme alla sovietica Larisa Petrik dopo la gara di corpo libero, rifiutò di guardare la bandiera dell'URSS e di ascoltarne l'inno, tenendo il capo chinato in segno di protesta dopo l'invasione sovietica della Cecoslovacchia. Questo gesto le costerà un ritiro forzato dalle competizioni e il divieto di viaggiare per 12 anni.” (F.Buffa)
Eravamo giovani e vedevamo cose meravigliose e terribili accadere attorno a noi e il futuro appariva pieno di incognite, ma anche di traguardi entusiasmanti. Noi volevamo l’immaginazione al potere, noi gridavamo “ Una risata vi seppellirà!“. Del resto "Libertà, creatività, responsabilità" era uno dei principali slogan del '68 e a mio avviso era realmente, profondamente rivoluzionario, infatti: chi ha detto che la rivoluzione deve essere per forza cruenta? Noi scrivevamo sui muri slogan pacifisti “Fate l’amore, non fate la guerra”, “Mettete fiori nei vostri cannoni”, “Peace and Love”; perle di saggezza come “Lavorare meno, lavorare tutti” o di ironia “ Siamo realisti, pretendiamo l’impossibile! “; ma anche frasi fra la promessa e la minaccia “Non è che l’inizio. La lotta continua” ed anche “ Fascisti, Borghesi, ancora pochi mesi!” …ma pochi mesi per fare cosa? Non era prevista alcuna violenza, nessuno di noi era armato: né coltelli, né tanto meno pistole!
Ma eravamo ancora nella prima fase del Movimento Studentesco, in cui confluivano partitini extraparlamentari “marxisti-leninisti” ( che poi andarono via), ma anche “cani sciolti” , hippies, anarchici, cattolici progressisti seguaci di don Milani e perfino ragazzi militanti nelle federazioni giovanili socialista e comunista. Un mosaico composito e spesso rissoso ( ma và?!), come nella buona tradizione della sinistra.
Cantavamo canzoni bellissime e “nostre” come “Hasta siempre comandante”, di Carlos Puebla, “Addio a Lugano” o “Bella Ciao” e quelle popolari che cantava Giovanna Marini “Sebben che siamo donne” o “Sciur parun dalli belli braghi bianchi”. E le canzoni di Ivan Della Mea e di Paolo Pietrangeli, come “O cara moglie”, “Contessa” e “Valle Giulia”.
Ascoltavamo Bob Dylan e Joan Baez, i Beatles, i Rolling Stone, ma anche Enzo Jannacci e le sue canzoni stralunate “Vengo anch’io, no tu no” e “Ho visto un re”, e poi i cosiddetti “cantautori”: Tenco, Guccini, De Andrè… le canzoni non parlavano più di cuori e fiori, di mamme e di amori, cantavano altre storie di vite spezzate, pensieri, aspirazioni, delusioni, impegno politico. E non importava che fossero storie piccole e personali, perchè allora si sosteneva che anche il personale era politico… tutto era politica, tutto era impegno, era solidarietà, amicizia…
Noi leggevamo tantissimo: Marcuse, Lucaks, Marx, Levi-Strauss, noi discutevamo di strutturalismo, delle nuove tendenze della storia: Le Goff, Braudel, Duby; del cinema italiano: Pontecorvo, Pasolini, Bertolucci, Bellocchio, Fellini, Antonioni e soprattutto del militante francese Godard; del teatro politico di Fo-Rame, ma anche del “Terzo teatro” e delle nuove teorie teatrali di Grotowski... insomma: tutto quello che era nuovo ci interessava: nell’arte, come nella moda, dalla pop art di Andy Warhol alla minigonna di Mary Quant. Perfino il mondo dei fumetti era cambiato e il mensile Linus ci faceva conoscere i nuovi autori da tutto il mondo: Schulz, Copi, Quino, Crepax, Pazienza, Lunari, Al Capp, Feiffer, Hugo Pratt, etc
Eravamo bravi ragazzi normali, ma assetati di sapere e intorno a noi c’erano così tanti stimoli, così tante novità, così tanta gioia di vivere e di cambiare! Avevamo brave famiglie normali, con storie normali, ma il mondo che ci avevano lasciato i nostri padri e nonni era troppo piccolo e angusto per noi, che sognavamo grandi cose, volevamo riformare la società, secondo l’aurea formula rivoluzionaria dell’89 “Liberté, egalité, fraternité”… mai del resto compiutamente applicata.
Quando tutto ci è sfuggito di mano? Quando “Fascisti, carogne tornate nelle fogne” è diventato “Poliziotto fa fagotto, arriva la compagna P38”? Quando è entrata la violenza, il sangue, le pistole nel nostro mondo di giovani intellettuali, borghesi e engagées? Intendiamoci: non eravamo dei “signorini” inamidati, anche noi, come dicevo prima, ci picchiavamo coi fascisti, eccome! Ce le davamo di santa ragione, ma alla pari e senza usare armi. Loro, le BR, invece avevano pistole e mitragliette: come e dove diavolo se le procuravano?
Quando dunque dal Movimento Studentesco era nato il terrorismo delle BR? Eh, no. Non è nel nostro mondo che è nato. Ricordo che alle loro prime apparizioni, all’inizio degli anni ’70, ci guardammo tutti allibiti: ma da dove uscivano questi? Qualcuno di noi li guardò con ammirazione e perfino invidia perché riuscivano a realizzare ciò che noi avevamo minacciato di fare, senza crederci troppo. Ma qualcun altro pensò che non gli piaceva per niente la piega che avevano preso gli avvenimenti e che di quella gente non c’era da fidarsi. Soprattutto non ci piaceva la loro segretezza, quel che di sfuggente e minaccioso, così distante dai nostri modelli aperti e libertari.
A ripensarci adesso, guardando indietro, il cambiamento, lo snodo, il punto di svolta, quasi certamente fu il massacro alla Banca dell’Agricoltura di Milano, il 12 dicembre del 1969 e quello che ne seguì. Quella bomba fece volare tutto per aria, non solo i muri e i poveri clienti di quella banca. E poi ci si aggiunse il depistaggio continuo, infinito e l’assurda accusa al povero Valpreda e Pinelli, misteriosamente volato giù da una finestra del commissariato di Milano… quel voler addossare ad ogni costo la colpa alla sinistra, quando le prove portavano proprio dall’altra parte.
Noi tutti lo sapevamo - l’ho già detto e scritto – e lo gridavamo nei cortei che erano stati i fascisti a mettere le bombe e che Pinelli era stato “suicidato”, come scrisse del resto il quotidiano francese “Le Monde” in prima pagina, a titoli di scatola ( Pinelli à été suicidé ).
Bugie, depistaggi, coperture, accuse infami, erano lì sotto gli occhi di tutti: il potere ci prendeva per i fondelli, si inventava una teoria degli opposti estremismi, per coprire la destra e coinvolgere la sinistra. Da quel 1969 tutte le stragi avvenute dopo (Brescia, Italicus, Bologna, etc.) sono tutte di matrice fascista. La manovalanza è quella dei gruppuscoli di estrema destra. E quando, alla fine degli anni ’70, nonostante tutte le menzogne dette e il fango gettato, la sinistra vince le elezioni e si arriva alla formazione di un governo di centro sinistra con appoggio esterno comunista, Aldo Moro, che ne è il sostenitore, viene opportunamente rapito dalle BR, dopo il massacro della sua scorta. Ma queste BR non sono più le stesse di prima, sono più violente, più brutali, sarà anche perché tutti i fondatori “storici” sono in galera. Queste nuove BR sono guidate da Mario Moretti, che non viene dalla sinistra, ma dalla destra. Mario Moretti, che uccide Moro, nonostante diversi brigatisti non siano d’accordo e infatti prenderanno le distanze: Morucci, Faranda, Senzani.
Mario Moretti, che nonostante abbia ucciso Moro di persona e sia stato condannato a 6 ergastoli, dal 1997 è in regime di semilibertà e torna in carcere solo per dormire, mentre altri, accusati di reati meno gravi, dovranno scontare tutta la pena in galera.
Chi c’è dunque dietro queste nuove BR? Ormai si sa: i servizi segreti e non solo italiani, c’è Gladio, la Massoneria, tutto il peggio dei poteri occulti, che in quegli anni hanno cercato più volte di prendere il potere – senza riuscirci - con una serie di tentati golpe : il piano “Solo” del 1964, il golpe “da operetta” di Junio Valerio Borghese del 1970, quello della “Rosa dei Venti” del SID del 1973 e quello “bianco” di Edgardo Sogno nell’agosto del 1974. Ci hanno provato con Gladio, ci hanno provato con la teoria degli opposti estremismi, ci hanno provato con la P2 di Licio Gelli, ma poi non c’è stato più bisogno di fare niente: la sinistra – forse opportunamente infiltrata anch’essa - ha cominciato a suicidarsi da sé, mentre le BR “inquinate” aggiungevano un ulteriore motivo di confusione, sparigliando le carte in un quadro già pasticciato e difficilmente decifrabile.
Ma intanto cosa ne era stato dei bravi ragazzi che volevano cambiare il mondo?
C’era chi aveva colto l’opportunità e si era cinicamente buttato nel gran trogolo della politica dei compromessi e del denaro facile, gli altri erano rimasti a guardare dalla finestra i giochi sporchi nei quali non volevano ma nemmeno potevano entrare. Non erano più studenti, ormai, ma professionisti, continuavano a occuparsi di politica, ma in modo marginale, perché non c’erano più spazi puliti per farla da protagonisti. La grande occasione del 68 per cambiare il futuro del paese era sfumata. O forse non c’era mai stata…
Ma quei poteri forti che avevano pianificato la distruzione della sinistra ( questo intento lo ammette anche Moro nel suo memoriale ), per annientarla hanno dovuto distruggere il paese e il suo futuro, pezzo a pezzo. Distruggendo la scuola, l’Università, la ricerca scientifica di base, la sanità pubbliche, fiori all’occhiello del nostro Paese, a favore dei settori speculari nel privato: meno qualificati ma dai guadagni stellari. Mentre il liberismo sfrenato nel settore commerciale uccideva i piccoli imprenditori, i piccoli negozi specializzati e gli artigiani, con tutto il loro potenziale umano e il loro sapere.
Per fare quest’ultima trasformazione, che spianava la strada alla globalizzazione, all’omologazione, all’appiattimento totale, sono stati scelti degli uomini di paglia che governassero, non importa come: anche rubando, truffando, corrompendo, ricattando, infangando, prostituendo e perfino alleandosi con la criminalità organizzata, pur di impedire la vittoria dell’ala democratica e colta, la cui presenza ha comunque permesso, nel tempo e con fatica, delle conquiste di civiltà (che senza i principi di quel lontano ’68 non ci sarebbero mai state): il divorzio, l’aborto, il testamento biologico, la sedazione profonda assistita….
Per un breve periodo la stagione dei girotondi e dei movimenti ha riportato l’immaginazione al potere, ma la stessa incapacità di organizzarsi in modo meno episodico ed effimero che ha distrutto il Movimento Studentesco, mutatis mutandis, ha determinato la fine dei girotondi. La stessa schizzinosità individualista, la stessa tendenza a fare – come si diceva nel 68 – i “gigli nel cesso” e restare “ duri e puri”, li ha di fatto emarginati dalla politica degli atti concreti, relegandoli al comodo ruolo di grilli parlanti e lasciando tutto lo spazio a chi invece ci teneva assai a occupare un posto in prima fila e non certo per il bene comune.
E adesso siamo alla fine della corsa, allo scontro finale. Ora il centro sinistra è in pezzi, grazie anche al PD, ai suoi giochi interni di potere, che lo hanno trasformato in una parodia di partito progressista, a capo del quale c’è ( per sua stessa definizione) un rottamatore, che però più che interessato a rinnovare, sembra determinato a fare il giustiziere del suo partito e dell’intera sinistra. Se non fosse pericoloso e penoso quello che sta avvenendo oggi, per colpa di questa sgangherata rottamazione, ci sarebbe perfino da ridere per quanto l’operazione è stata immatura, scriteriata e maldestra.
Ormai comunque lo scontro destra razzista, xenofoba e guerrafondaia contro una sinistra democratica e pacifista si è allargato a livello planetario. Sembra che siamo ad una sorta di armagheddon epocale, e si sente l’odore acre di guerra diffondersi ovunque. Anche qui, nella nostra Italia, c’è puzza di destra, di scontri, di violenza, di sangue.
La sinistra non c’è più: in parte distrutta, in gran parte suicidata e adesso c’è una destra forte, che può vincere, dopo aver distrutto ogni cosa ma soprattutto dopo aver trasmesso il proprio odio, la propria xenofobia, il proprio razzismo a una vasta parte della popolazione, veicolando con la paura del diverso la propria incolta e ottusa ferocia. Le prove generali le hanno già fatte a suo tempo, o ci siamo già dimenticati il G8 di Genova, il massacro alla Diaz e a Bolzaneto? Quella è la loro vera faccia, ricordiamocelo sempre!
E siamo al dunque, cari amici e compagni, abbiamo aspettato abbastanza, non vi pare?Abbiamo penalizzato abbastanza questa giovane generazione, che sta pagando sulla pelle il conto salato del nostro amletico, indolente fatalismo. E’ arrivato il momento di finire il nostro 68. Del resto non mi pare che ci siano altre alternative.
Barbara Fois