Il campo di sterminio di Gaza

di ISM-Italia - 13/07/2014

1. Israele e la Striscia di Gaza

 

La Striscia di Gaza costituisce poco più del 2% della Palestina. Fino al 1948 è stata parte integrante e naturale del paese. La sua collocazione presso il mare e sulla Via Maris tra l'Egitto e il Libano portò con sé prosperità e stabilità, finché questa vita fu turbata e quasi distrutta dalla pulizia etnica israeliana del '48.

Tra il 1948 e il 1967 Gaza divenne un enorme campo profughi fortemente limitato dalla politica israeliana ed egiziana: entrambi gli Stati non consentivano infatti l'uscita da Gaza.

Nei primi vent'anni dell'occupazione israeliana fu permesso a decine di migliaia di palestinesi di entrare nel mercato del lavoro israeliano come lavoratori non qualificati e sottopagati. Il prezzo richiesto da Israele per questo mercato schiavistico era l'abbandono totale di qualunque lotta o programma nazionale. A questa richiesta il popolo di Gaza ha detto no e il “dono” israeliano del movimento della manodopera è stato abolito. Con gli accordi di Oslo lo status della Striscia è diventato quello di una entità geopolitica separata,

isolata anche dalla Cisgiordania.

I palestinesi della Striscia, negli ultimi sessant'anni hanno oscillato tra le condizioni di internato, ostaggio o prigioniero in uno spazio umano invivibile.

Nel 1994 la Striscia è stata circondata da una barriera elettrificata nel quadro dei preparativi per la pace con i palestinesi e si è trasformata in un ghetto nel 2000, dopo la fine del cosiddetto processo di pace.

In Cisgiordania dopo il 1967, Israele ha adottato, con la collaborazione successiva dell'Autorità Nazionale Palestinese, la strategia degli insediamenti illegali e della pulizia etnica strisciante.

Gaza, per il governo e per l'esercito israeliano, è invece una prigione che ospita la comunità più pericolosa, che in un modo o nell'altro va trattata in maniera spietata con una strategia genocidaria.

In entrambi i casi è l'applicazione delle tesi feroci di Vladimir Jabotinsky, autore del saggio Il Muro di Ferro:

 

Questo non significa che non ci può essere nessun accordo con gli arabi palestinesi. Quello che è impossibile è un accordo volontario. Fino a quando gli arabi sentiranno che c’è la minima speranza di liberarsi di noi, rifiuteranno di rinunciare a questa speranza in cambio di parole gentili o di pane e burro, perché non sono una feccia ma un popolo vivo. E quando un popolo vivo cede su questioni di carattere così vitale, questo avviene non solo quando non c’è più alcuna speranza di sbarazzarsi di noi, perché non possono fare alcuna breccia nel muro di ferro. Fino ad allora non abbandoneranno i loro leader estremisti il cui slogan è: “Mai!”. E la leadership passerà a gruppi moderati che si rivolgeranno a noi con una proposta sulla quale dobbiamo entrambi concordare reciproche concessioni.

Allora possiamo aspettarci che discutano onestamente le questioni pratiche, come la garanzia contro la espulsione degli arabi, o i diritti eguali per i cittadini arabi, o l’integrità nazionale araba...E quando questo accadrà, sono convinto che noi ebrei saremo pronti a dare loro garanzie soddisfacenti, affinché entrambi i popoli possano vivere insieme in pace come buoni vicini.

 

I moderati dell'Autorità Nazionale Palestinese si sono arresi e come hanno dimostrato i Palestine Papers sono pronti ad ogni compromesso, che tuttavia Israele rifiuta di formalizzare, vedi fallimento dei negoziati promossi da John Kerry, per riuscire a ottenere ulteriori vantaggi sul terreno.

Nella Striscia, Hamas continua a dire “Mai!”, e allora bisogna convincere con la forza la popolazione a sbarazzarsi dei suoi leader e ad affidarsi a leader collaborazionisti come quelli dell'ANP.

Tutto questo spiega perché dal 2005, contro la Striscia, si sono susseguite operazioni militari come Prime Piogge, Piogge Estive, Nuvole d'Autunno, Inverno Caldo, Piombo Fuso, Pilastro di Difesa e Colonna di Nuvole, mentre in queste ore è in corso l'operazione Protective Edge.

Tutto questo spiega perché gli attacchi sono sempre più “sproporzionati”, un eufemismo cinico, con i morti civili sempre più numerosi.

Dopo il disengagement (ritiro) voluto da Ariel Sharon nel 2005, di circa 8.000 coloni, la Striscia si è trasformata in un campo di concentramento a cielo aperto, uno spazio di sperimentazione delle nuove armi israeliane, in particolare di quelle basate sulle nanotecnologie.

Le operazioni iniziali, all'apparenza una forma di punizione collettiva, si sono andate trasformando in una strategia genocidaria.

I cinici e gli ipocriti che invitano Israele a non agire in modo “sproporzionato”, dimenticano che Israele sta applicando la dottrina Dahiya. Dottrina militare per la quale non esiste, in una guerra asimmetrica, una distinzione tra obiettivi militari e obiettivi civili e l'intera

popolazione è responsabile delle decisioni dei suoi leader politici e militari.

La dottrina è stata applicata a partire dall'operazione Cast Lead, come sostiene in modo esplicito il rapporto Goldstone ai punti 62 e 63:

62. Le tattiche utilizzate dall’esercito israeliano nell’offensiva a Gaza sono coerenti con altre operazioni precedentemente condotte, l’ultima delle quali è stata la guerra in Libano nel 2006. A quel tempo emerse il concetto della dottrina Dahiya, che prescrive l’applicazione di forza sproporzionata e la provocazione di ingenti danni, la distruzione della proprietà civile e delle infrastrutture e la sofferenza della popolazione civile.

Esaminando le prove direttamente raccolte sul campo, la Missione conclude che ciò che era stato prescritto come migliore strategia sembra coincidere esattamente con quanto è stato messo in pratica.

63. Nel quadro degli obiettivi militari israeliani in relazione alle operazioni di Gaza, il concetto di “infrastrutture a supporto di Hamas” è particolarmente preoccupante, in quanto sembra trasformare popolazione e beni civili in obiettivi legittimi. Le dichiarazioni di leader politici e militari rilasciate prima e durante le operazioni di Gaza indicano che nell’idea che ha l’esercito israeliano su ciò che è necessario fare in una guerra contro Hamas, la distruzione sproporzionata e la creazione del massimo sconvolgimento nelle vite di tante persone siano mezzi leciti per ottenere una vittoria militare e politica.

 

I carnefici, non solo quelli israeliani, hanno oltrepassato ogni limite di immaginazione crudele.

Isaac Ben-Israel, un ex generale ora docente di Fisica all'Università di Tel Aviv, ha sviluppato un'equazione (figlia dell'illuminismo che ha portato anche al nazismo), basata sulla teoria dei sistemi, per prevedere quale sia il numero necessario di membri di una organizzazione combattente che l'esercito israeliano può eliminare o arrestare per sconfiggere l'organizzazione (naturalmente si riferiva ad Hamas).

Nell'operazione Protective Edge stanno applicando anche questa formula?

Naturalmente non manca chi studia come far evolvere il concetto di guerra giusta o di guerra umanitaria in guerra etica. Asa Kasher, professore di Etica all'Università di Tel Aviv ha scritto un saggio (vedi Azure no. 37, Summer 5769 / 2009) dal titolo Operation Cast Lead and the Ethics of Just War. Was Israel's conduct in its campaign against Hamas morally justified?

Il professore chiaramente si stava ponendo una domanda del tutto retorica.

 

Una famiglia palestinese di Gaza ha ricevuto una telefonata israeliana che la avvertiva di lasciare l'abitazione. Si sono allontanati. Poi, in quello che l'IAF chiama “the knock on the roof (bussare sul tetto)”, un piccolo missile, senza una testata esplosiva, è stato lanciato

contro il tetto dell'edificio per sottolineare la serietà dell'invito. Ma la famiglia, passato del tempo, è rientrata in casa mentre stava arrivando il missile che ha ucciso 8 persone. “È stato un errore”, ha ammesso l'esercito israeliano (Israeli army says the killing of 8 Gazan family members was in error. According to the military relatives of Odeh Kaware were warned of air strike and left the home but returned too soon ...sono tornati troppo presto;

pilot was unable to divert the bomb, il pilota non era più in grado di deviare la bomba. By Gili Cohen. Haaretz 10 luglio 2014).

 

Sono passati 100 anni dallo scoppio della prima guerra mondiale. Si stima che le vittime militari siano state allora circa 10 milioni, mentre le vittime civili 7 milioni. Nella seconda guerra mondiale il rapporto si era già invertito, 22,5 milioni di vittime militari a fronte di 48,5 milioni di vittime civili.

Nell'operazione Cast Lead a fronte di circa 1400 vittime palestinesi, meno di 250 sono quelle di combattenti palestinesi (13 le vittime israeliane delle quali 4 per fuoco amico). Nelle guerre in corso, tutte a carattere asimmetrico, in generale non esistono più statistiche ufficiali delle vittime civili e militari dell'aggredito, ma solo statistiche sulle vittime militari dell'aggressore.

Le vittime militari della coalizione in Afghanistan sono state, dal 2001 al 2014, 3459, in Iraq dal 2003 al 2012, 4804. Uno studio americano del 2013, di una organizzazione indipendente, stima in 500.000 i morti civili in Iraq. L'avvento dei droni ha cambiato ulteriormente il quadro. Siamo tutti/e potenziali obiettivi. Il presidente Obama gestisce la killing list.

 

2. Nulla di nuovo sul fronte sionista e filosionista

 

In sintesi si può dire che nulla di nuovo, se non nei mezzi utilizzati, sta accadendo sia sul fronte sionista, sia sul fronte filosionista.

Israele prosegue la politica del “Muro di Ferro” definita da Jabotinskij e attuata da Ben Gurion e dai successivi governi israeliani: la pulizia etnica in Cisgiordania e il genocidio a Gaza.

L'immunità e l'impunità sono assicurate dall'Europa, dagli Stati Uniti, dai paesi arabi e da numerosi altri paesi del mondo. Chi tace, chi invita Israele a non essere “sproporzionato”, chi volge lo sguardo altrove, chi è concentrato su un paese dell'America del Sud.

Ovunque gli apparati militari, il dirittto internazionale, la politica e il mondo degli operatori umanitari stringono ambigue alleanze in nome della definizione del minore dei mali possibili. E, come in un laboratorio, le vittime si trovano a essere calcolate, a tutela di un bene residuale, in base ai parametri “accettabili” di una violenza modulata e preventiva di un male maggiore. Gli orrori contemporanei, con i loro eufemismi, portano all'etica paradossale della “necro-economia”.

Quella in corso non è una operazione di polizia israeliana, ma una fase ulteriore della guerra israelo-occidentale contro Gaza e contro il popolo palestinese.

L'Occidente si muove all'unisono in Palestina, in Afghanistan e in altri teatri di guerra, come Siria, Libia e Iraq.

Nessuno vuole la pace. Non la vuole Israele, non la vuole l'Europa, non la vuole il mondo occidentale. John Wayne continua a percorrere le praterie del mondo, con la sua mira infallibile, raggiunto ogni tanto da una freccia avvelenata.

Mentre il rigurgito della propaganda israeliana è diventato, in tutta Europa, asfissiante.

 

3. Nulla di nuovo anche sul fronte delle “società civili” occidentali

 

Dalla fine della guerra fredda, da quasi venticinque anni, l'Occidente combatte guerre in mezzo mondo senza che la sua vita quotidiana ne sia alterata. In una indifferenza appena venata di voyeurismo. Sembra che NOI occidentali abbiamo introiettato che il male, nella partita contro il bene,

parte sempre in vantaggio grazie alla antica conoscenza/confidenza con la fragilità dell'uomo. Come ebbe a dire Luigi Pintor a Milano, durante la presentazione di un suo libro molti anni fa, la natura umana è impastastata con lo spirito di sopraffazione.

L'operazione Protective Edge avrà un suo epilogo tragico. Cesseranno appelli, manifestazioni e presidi. Semplici atti di testimonianza capaci solo di presidiare cattedre morali, sempre più inascoltate anche dalle anime belle. Le settimane passeranno veloci.

Nelle nebbie delle nostre impotenze e delle nostre complicità la memoria si farà sempre più tenue.

NOI occidentali, capaci di ogni crudeltà e di ogni ferocia, continueremo a sventolare la bandiera logora e insanguinata dei diritti umani.

È ora di ammainarla per tentare i percorsi, assai più ardui, di una geopolitica riflessiva, capace di superare orientalismi e occidentalismi secolari.

 

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ISM-Italia

Torino, 9 luglio 2014

www.ism-italia.org

info@ism-italia.org


Bibliografia

Nello scrivere questa nota abbiamo utilizzato in modo “sproporzionato”, con il metodo del

copia e incolla, i seguenti testi:

NOI, gli OCCIDENTALI Spunti per una geopolitica riflessiva, nello specchio della

Françafrique di Anna Delfina Arcostanzo

I campi di sterminio di Gaza (2004-2009) di Ilan Pappé, capitolo 7 del saggio Ultima

fermata Gaza – Dove ci porta la guerra di Israele contro i palestinesi di Noam Chomsky e

Ilan Pappé, Ponte alle Grazie 2010

Il minore dei mali possibili di Eyal Weizmann, nottetempo 2013

Carnefici e spettatori – La nostra indifferenza verso la crudeltà, Alessandro Dal Lago Cortina 2012

L'umiltà del male di Franco Cassano, Laterza 2011