L’obiettivo dichiarato con orgoglio da Silvio Berlusconi è di ridurre al 10% di quello attuale il volume delle intercettazioni telefoniche.
Dunque per raggiungere cotale scopo dopo le campagne mediatiche sulla quantità mirabolante degli intercettati, confusi consapevolmente con le utenze (Totò Cuffaro ne aveva a disposizione quasi una quarantina), sul numero complessivo “indegno di un paese civile”, solo in quanto in Italia vengono disposte unicamente dal magistrato e sono soggette a tutte le garanzie previste dal codice di procedura penale, sull’entità della spesa, dovuta in grandissima parte dalla cattiva gestione del ministero, bisognava anche creare “lo scandalo del secolo”.
Anche con una platea di industriali il presidente del Consiglio si è divertito ad invitare ad alzare la mano chi ritiene di non essere intercettato, riuscendo prevedibilmente a non trovare nessuno che volesse fare una così meschina figura; d’altronde a ridosso dell’estate da leoni dei furbetti del quartierino incoraggiato, da Fede-Vespa anche Massimo D’Alema si lamentava con allarmato compiacimento che ogni volta che sollevava la cornetta, il primo saluto era sempre per l’ufficiale di polizia che lo stava interecettando. Chissà se erano così gentili anche i suoi interlocutori.
Bisognava dunque trovare l’uomo giusto per inscenare lo scandalo più eclatante della storia repubblicana, il nemico pubblico numero uno della sicurezza dello stato e della privacy dei cittadini, il pubblico ufficiale infedele di cui il capogruppo PDL Gasparri chiede l’arresto immediato, e di cui Luigi Zanda, vicepresidente dei senatori del PD (per citare uno a caso anche dell’opposizione) ha sottolineato evidenti analogie con Luciano Tavaroli, lo spione fuori legge della security Telecom nonché sodale di Pio Pompa.
E’ stato identificato in Gioacchino Genchi, consulente da oltre vent’anni delle procure della Repubblica di mezza Italia e tenuto apparentemente in grande considerazione fino a quando è stato consulente di Falcone e Borsellino.
Adesso lui è il Girolimoni delle intercettazioni, il mostro da prima pagina, il consulente che subdolamente apriva con le password ottenute da un procuratore della Repubblica per un singolo caso, per esempio quello di Denise Pipitone, gli archivi fiscali di soggetti non residenti a Marsala, che scorazzava abusivamente tra le utenze di parlamentari e di servizi segreti, che insomma si era costruito nel tempo un archivio personale tale da poter arrecare danno grave ed ingiusto per i rappresentanti delle istituzioni e la sicurezza dello Stato.
Ma il pericolo nazionale Genchi, a cui i Ros hanno perquisito le abitazioni nell’ ambito dell’inchiesta della procura di Roma che lo indaga per abuso di ufficio e violazione della privacy sequestrando a suo dire anche materiale non pertinente a Why Not ovvero l’inchiesta che non si doveva fare, non è a corto di argomenti difensivi.
In effetti, come ha denunciato in molte circostanze ed è tornato a fare a seguito della perquisizione che appare quantomeno sproporzionata alle contestazioni, tutti quelli che lo attaccano o l’hanno attaccato sono gli stessi protagonisti delle inchieste di cui si è alacremente occupato, dai politici, Mastella e Rutelli, per esempio, ai giornalisti: Renato Farina, Luca Fazzo, Lionello Mancini, Guido Ruotolo.
Le intercettazioni spacciate come la grande preoccupazione degli italiani lo fanno sorridere, “quelli che hanno paura sono quelli con la coscienza sporca”.
Paradossalmente, sostiene, grazie a questa inchiesta romana, di competenza territoriale alquanto incerta, una specie di duplicato di quella di Salerno che ha totalmente scagionato per le stesse imputazioni Luigi De Magistris, potrà chiarire in quanto indagato che deve difendersi libero da qualsiasi vincolo di segretezza, quali erano i rapporti di Rutelli con Saladino, quale il ruolo di Mastella, quale quello del figlio.
Il consulente Genchi si domanda che cosa c’entri la procura di Roma che ha peraltro archiviato Saccà e sta inquisendo lui; e si interroga sulla “stranezza” con cui l’ex procuratore generale di Catanzaro ha utilizzato questi tabulati in cui c’è la prova delle responsabilità: non li lascia a Catanzaro, non li manda a Salerno competente ad indagare su Catanzaro, non li manda a Palermo dove si è svolta l’attività peritale, ma li manda a Roma. E così Roma sta indagando sul consulente Genchi e su vicende che coinvolgono magistrati romani su cui De Magistris e Genchi stavano indagando.
Viene spontanea l’analogia sulle indagini di Brescia su Milano ai tempi di Di Pietro, dove al posto dei Ros c’era il Gico.
Genchi sostiene anche senza esitazione che non sono stati mai acquisiti tabulati sulle utenze di Armando Spataro e di Nicola mancino e che i due nomi sono stati fatti con l’unico scopo di screditare Luigi De Magistris sia presso la magistratura associata che presso il CSM; idem riguardo il Quirinale.
Ovvio che se degli inquisiti, per esempio magistrati, sono venuti in contatto per qualsiasi tramite con una utenza intestata al CSM o al Quirinale, esiste un tabulato che contiene quel numero.
Riguardo alle denunce infuocate partite dal presidente e da vari componenti del Copasir, molto seraficamente Genchi obietta che si dovrebbe trattare di un organo che vigila sui servizi di sicurezza e non sugli inquirenti che indagano, come è avvenuto con Why Not sulla collusione tra alti esponenti dei servizi e imprese che lavorano nel campo delicatissimo delle intercettazioni, attraverso appalti a trattativa privata per milioni di euro.
Se la nuova P2 e la rete di collusioni tra malaffare, politica, apparati, servizi segreti che sta a fondamento di Why Not è l’innesco per la delegittimazione e l’offensiva di oggi, secondo l’analisi del consulente più ricercato d’Italia fino a Why Not, l’inizio della storia va però retrodatato all’estate delle stragi: “L’attacco parte dagli stessi soggetti che la sera del 19 luglio 1992 io avevo identificato a via D’Amelio”.
La legge Nordio lede i principi dello Stato di diritto
Presidenza del Coordinamento per la democrazia costituzionale
Se il Potere non gradisce i magistrati
Domenico Gallo
Esiste ancora una giustizia internazionale
Luigi Ferrajoli