La casta degli impuniti e la giustizia à la carte

di Daniela Gaudenzi - 12/01/2009
Dovremo prepararci ad affrontare una controriforma della giustizia, una replicante della insuperata Bicamerale, che sta trovando un ampio fronte bipartisan direttamente proporzionale al degrado e al desiderio di impunità diffuso in Parlamento, al cui confronto la riforma Castelli è stata meno di una banale esercitazione

Per fotografare puntualmente da lontano la resa dei conti della casta trasversale degli impuniti contro la magistratura basta sfogliare l’ Economist che registra il nesso strettissimo tra la priorità della “riforma della giustizia” a cui si è obbedientemente accodato anche il vice-presidente del CSM, con scarso senso di responsabilità istituzionale, e lo stato  vergognoso della politica nei confronti della “questione morale” che sempre più spesso è semplicemente  questione penale. Nel commento riferito a Napoli e dintorni intitolato appropriatamente Scuola di scandali  la bibbia del liberismo europeo constata che  “la visione benigna per cui la sinistra appariva fondamentalmente onesta è stata spazzata via da una serie di provvedimenti della magistratura” e che parallelamente “Berlusconi per far passare la riforma della giustizia deve appropriarsi del ruolo di titolare della moralità”. E aggiunge “questo avviene grazie alla sinistra”.

Per avere il polso della situazione in patria e capire che aria tira e perché, basta ascoltare Giulio Andreotti, eletto per acclamazione bipartisan simbolo dell’ imputato modello “assolto” dopo un calvario giudiziario fondato sui teoremi dei magistrati, i quali vanno riformati prontamente, e con il più ampio consenso auspicato dal presidente della Repubblica.

Uno che insomma i magistrati li ha visti da vicino, imputato dei reati più gravi contemplati dal codice penale, uno che è stato prescritto per associazione mafiosa fino al 1981, che è stato condannato in appello ed assolto in Cassazione per l’omicidio di Mino Pecorelli, caso che rimane tra i più inquietanti nella lunga teoria degli assassini a sfondo politico senza un colpevole, uno che incontrava Sindona durante la latitanza e che gli stava salvando la sua banca Privata d’accordo con il PC, uno che dovrebbe quotidianamente lodare, con infinita gratitudine, l’elevato tasso di garantismo del nostro sistema processuale.

Invece per celebrare degnamente il suo novantesimo compleanno, con un bilancio di settant’anni di gestione ininterrotta del potere, si è scagliato con inusitata virulenza contro i magistrati che “hanno usato i processi per mettermi fuori gioco politicamente” aggiungendo che si è trattato di “un momento di politica molto cattiva”. E poi è andato al nocciolo della questione “I magistrati sono un grande problema. La legge è uguale per tutti tranne che per loro. Bisogna cancellare le correnti organizzate perché sono giocoforza politicizzate.”

Di questo grande problema per gli intoccabili della prima, seconda o terza repubblica delle banane o dei fichi d’india come preferiva definirla Gianni Agnelli, Berlusconi ha ribadito che vuole finalmente farsene carico, perché gli italiani ne sentono l’urgenza,  anche nello sbarco in Sardegna per inaugurare una campagna elettorale di fuoco contro Soru, che comprensibilmente gli deve sembrare il meno decerebrato dei suoi cosiddetti avversari.

Berlusconi ha ribadito che le indagini ritorneranno ad essere affidate a polizia e carabinieri come era prima dell’89 (alla faccia del garantismo);  che i poteri del PM saranno notevolmente ridimensionati, mentre verranno ampliati considerevolmente quelli della difesa che potrà fare autonome indagine difensive e citare i suoi testimoni; che saranno ridotti  termini di proroga per le indagini preliminari. Sul fronte delle intercettazioni che “saranno drasticamente ridotte” ed i cui tempi saranno altrettanto drasticamente accorciati, Berlusconi ha precisato che saranno possibili solo per reati di particolare gravità, quali quelli di terrorismo, mafia, corruzione, l’unico ad essere incluso tra i cosiddetti reati dei colletti bianchi.

 A tutto questo che sarà portato al Consiglio dei Ministri del 23, la settimana successiva all’appuntamento preannunciato inizialmente per il 16 gennaio, va aggiunto l’impianto della riforma costituzionale che prevede di fatto lo smantellamento dei principi attuali in materia di autonomia della magistratura ed obbligatorietà dell’azione penale a cui “incredibilmente”  hanno dato consenso implicito od esplicito il presidente della Repubblica, il vice-presidente del CSM Nicola Mancino, i presidenti delle Camere.  Questa parte di riforma annunciata per febbraio da Angelino Alfano, dalla separazione delle carriere, allo sdoppiamento del CSM con composizione “corretta” in modo che i rappresentanti dei magistrati siano minoritari rispetto ai componenti di nomina politica, fino alla cancellazione dell’obbligatorietà dell’azione penale, sostituita dalle “priorità” dettate dal ministro della giustizia, costituisce una sostanziale disarticolazione dell’intero impianto costituzionale per quanto riguarda l’equilibrio dei poteri.

Di tutto questo ambizioso progetto di demolizione della Costituzione ed annientamento definitivo della giurisdizione penale (basti pensare al collegio di tre magistrati per disporre le intercettazioni e le misure di custodia cautelare che in presenza del regime delle incompatibilità paralizzerebbe l’attività anche di distretti giudiziari medio-grandi) la legge Alfano contro cui siamo andati a firmare in massa, ha rappresentato il presupposto e l’anticipazione.

Con questa consapevolezza e sulla base del primo risultato raggiunto, la raccolta ed il deposito in Cassazione di oltre un milione di firme, dovremo prepararci ad affrontare una controriforma della giustizia, una replicante della insuperata Bicamerale, che sta trovando un ampio fronte bipartisan direttamente proporzionale al degrado e al desiderio di impunità diffuso in Parlamento, al cui confronto la riforma Castelli è stata meno di una banale esercitazione.

 

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