Dimenticata per la crisi di governo, la recrudescenza della pandemia e la torrida estate, la guerra in Ucraina è passata negli ultimi giorni in secondo piano. Ma la gravità di quel conflitto non è meno pesante di qualche giorno fa: i combattimenti continuano, le sofferenze della popolazione civile sono enormi e non ci sono spiragli per la fine degli scontri armati.
Per mesi i pacifisti sono stati attaccati e derisi, ma sono gli unici che continuano oggi a mobilitarsi, nonostante l’attenzione dell’opinione pubblica sia indirizzata altrove. Il 23 luglio in decine di città si tengono manifestazioni per chiedere il cessate il fuoco e il negoziato: bandiere della pace esposte ai balconi, fiaccolate, flash mob nei campeggi (studenteschi) e tanto altro. Da Asti a Potenza, da Isola Capo Rizzuto a Roma, comitati locali, associazioni , movimenti promuovono iniziative e mobilitazioni.
Hanno risposto all’appello di Europe for Peace (cartello composto dalla Rete Pace e Disarmo, da Sbilanciamoci, da Stop the War, dalla Cgil, dall’Anpi, da centinaia di associazioni locali) e tutte le iniziative e le mobilitazioni si trovano su www.sbilanciamoci.info/europe-for-peace.
Di fronte all’aggressione russa, l’insana politica dell’occidente (trascinata da Usa e Nato) – invece di ricercare le strade del cessate il fuoco e del negoziato alimenta la guerra, riempie di armi l’Ucraina e pensa che sia possibile “vincere la guerra”. La prospettiva non può che essere invece quella di una Conferenza internazionale di pace per avviare un processo di stabilizzazione di tutta l’area.
Le migliaia di persone che scendono in piazza il 23 luglio lo fanno perché pensano che l’unica strada possibile sia quella della pace, convinte che dietro le scelte della politica occidentale sulla guerra in Ucraina, c’è il rischio di un prolungamento all’infinito del conflitto, di una sua estensione e di un suo pericoloso scivolamento verso la confrontation nucleare.
La politica occidentale e della Nato in questi mesi si è dimostrata non solo inefficace nel fronteggiare le follie criminali di Putin, ma anche corresponsabile dell’aggravamento del conflitto: l’invio delle armi sul teatro di guerra rappresentano un errore drammatico, una oggettiva spinta all’escalation bellica, al suo allargamento.
Oggi bisogna riscoprire la strada di una possibile mediazione, a cui potrebbero dedicarsi le Nazioni Unite e il Vaticano: servono attori credibili, considerati veramente equidistanti, autorevoli. Importante potrebbe essere, su un altro versante, il ruolo della Cina. Naturalmente serve una visione più generale, che si indirizzi verso la costruzione di una sicurezza condivisa e di una stabilizzazione di un’area che non ha mai trovato veramente pace dopo il 1989.
Non è con la propagazione dell’unipolarismo militare che si risolvono i problemi. Non è con l’estensione della Nato fino sotto le porte di Mosca, che si avrà maggiore stabilizzazione. Si tratta di un’area attraversata da nazionalismi che sono stati utilizzati in questi anni in una logica geopolitica e dentro una dinamica di conflitti che hanno ridisegnato nuovi stati e relazioni internazionali.
Europe for peace con la mobilitazione del 23 luglio vuole dire che la strada deve essere un’altra, e non solo quella del cessate il fuoco, del negoziato e della costruzione di una conferenza internazionale di pace.
La strada non può che essere che quella del rafforzamento delle Nazioni Unite, invece che della Nato; del disarmo, invece che dell’aumento delle spese militari (arrivate nel mondo nel 2021 a oltre 2100 miliardi di dollari); della cooperazione internazionale invece che della competizione militare.
Si tratta di “vincere la pace” e non di vincere la guerra, di ricercare i possibili margini di mediazione, invece che andare allo scontro frontale, di porgere la mano, invece che di mostrare i muscoli. La guerra ha dimostrato in questi anni – in Iraq, Afghanistan, Libia, Kosovo – tutti i suoi fallimenti. Sarà così anche in Ucraina. È ora di dare una chance alla pace.