Per un periodo non breve la priorità resta evitare i contatti interpersonali per cercare di spezzare la diffusione del virus. È un sacrificio più che compensato dall’evitare una crescita ulteriore dei morti, già tantissimi, e per consentire alle strutture sanitarie, soprattutto agli ospedali, di fronteggiare l’aumento dei ricoveri per Covid-19, in particolare lo stress delle terapie intensive, con pesanti conseguenze e morti tra i medici, gli infermieri e il resto del personale. Al termine dell’emergenza si dovrà fare il punto sul futuro del sistema sanitario italiano, che ha retto, ma con un carico altissimo sul personale ed ha mostrato carenze strutturali e serie difficoltà. Il sistema sanitario deve essere pubblico per garantire piena attuazione all’articolo 32 della Costituzione, mentre in alcune regioni come la Lombardia lo spazio dei privati è cresciuto fino a ricevere il 40% delle risorse pubbliche. Il settore privato ha contribuito ben poco e in ritardo all’impegno contro la pandemia, perché la sua essenza è occuparsi di ciò che può dare profitto, mentre il sistema sanitario pubblico ha l’obiettivo di garantire livelli di assistenza e cura per tutti, emergenze comprese.
Occorre un sistema pubblico nazionale e quindi non hanno senso i 20 servizi sanitari regionali, sempre più divaricati. Talune iniziative delle regioni sono state più convincenti di altre, ma non possono certo essere patrimonio esclusivo di un’area più “fortunata”, occorre un modo per condividere ed estendere le sperimentazioni come parte di unico disegno sanitario. La crisi del Covid 19 non deve diventare l’alibi per rilanciare istanze separatiste, al contrario è di tutta evidenza che occorre riportare ad una sede nazionale unica le decisioni. Anche regole diverse che si sovrappongono fanno confusione. Ci sono stati errori, altri forse ce ne saranno, ma il loro superamento deve essere nella direzione di un sistema sanitario nazionale unitario.
Le modifiche del 2001 al titolo V della Costituzione sono state un errore, va ammesso. L’esperienza che stiamo vivendo non lascia dubbi. Va archiviato l’errore di proporre un’autonomia regionale differenziata che – se attuata – avrebbe indebolito la capacità di reazione dell’Italia alla pandemia. Angela Merkel che sta faticando non poco a unificare la risposta tedesca è un monito per l’Italia a non mettersi nella stessa situazione. Anche il ricorrente scaricabarile di alcune regioni, in particolare sul governo, con atteggiamenti rivendicativi, con un uso discutibile dei poteri rappresenta un uso strumentale delle difficoltà quasi a cercare di fare dimenticare le proprie responsabilità ed inefficienze. La Lombardia, ad esempio, con le ultime dichiarazioni (“abbiamo ricevuto solo briciole”) conferma un atteggiamento irresponsabile. Verrà il tempo per ricordare. Basta pensare alla pressione per lasciare aperte le attività anche quando era ormai evidente che questo avrebbe favorito il contagio, salvo diventare in seguito i duri rivendicanti di chiusure scaricando le decisioni su altri. Oppure la farsesca questione delle mascherine che si è arrivati a far produrre con il logo della regione, esplicitamente per i propri abitanti, fuori da ogni logica di solidarietà. Miopia diffusa.
Il governo ha fatto errori? Certamente. Ultimo, la confusa disposizione sulla possibilità di condurre figli di età indefinita (minori? bambini?) a fare una passeggiata di 200 metri, che fa correre più rischi di quanto sole faccia prendere ai bambini. Era preferibile avere il coraggio di ammettere che questa circolare a normative invariate è sbagliata e andrebbe ritirata, invece c’è stato un rincorrersi di interpretazioni una più improbabile dell’altra, fino a quella di portare con sé i figli a fare la spesa, non solo pericolosa ma rigidamente fissata per una sola persona. Quindi ci sono errori, forse non sono finiti, ma il centro del problema sanitario è rifinanziare il sistema sanitario nazionale, ridotto ai minimi termini dai tagli, pur costituendo fonte di guadagno per i privati. Se la Germania può accogliere decine di malati gravi è perché le sue terapie intensive e i posti letto non sono stati tagliati selvaggiamente come in Italia. 37 miliardi in meno in 10 anni. Nel fronteggiare il virus si sono distinti con coraggio e capacità i medici e il resto del personale sanitario, che stanno pagando un prezzo di vittime e di infetti inaccettabile. La forza della risposta è fondata sul personale, malgrado l’impoverimento per avere lasciato andare in pensione senza sostituirlo una parte importante di medici e infermieri. Trovandosi con personale inferiore alle esigenze e dovendo fare ricorso a nuovi medici e infermieri volenterosi ma non specializzati. Bene la solidarietà arrivata da altri paesi, che non si misura solo in attrezzature, ma ancora di più in competenze professionali disposte a fare la loro parte fino in fondo.
Balza agli occhi che il rapporto tra ospedali e strutture territoriali è centrale, sia perché se tanti malati riescono a smaltire l’infezione a casa evitano di intasare gli ospedali ma insieme occorre una rete in grado di fare arrivare con rapidità all’ospedale chi dovesse peggiorare. Il rapporto tra ospedale e territorio è entrato in crisi da tempo, ancora di più con una pressione forte come questa. I privati hanno tardato ad entrare in campo e, salvo eccezioni, lo hanno fatto malvolentieri perché la loro ottica è il guadagno, che non c’è in una occasione così drammatica. Fino al nodo Case di riposo e Rsa che sono diventate centri di infezione e di morte per incompetenza e volontà di nascondere la verità. I racconti sono ormai disponibili e diverse situazioni gridano vendetta, ci sono anziani morti in massa, personale infettato per assenza di protezione e occultamento della verità, Asl che non hanno vigilato come dovevano. Quando l’emergenza lo permetterà dovremo rimettere al centro la sanità e ricostruire un vero Sistema Sanitario nazionale pubblico, solidale tra le persone e tra le aree territoriali, finanziato in modo adeguato. Il sistema deve essere unico, le regioni possono essere un utile soggetto per evitare che qualche area territoriale venga dimenticata, qualche problema sottovalutato. Un sistema sanitario unico non è di per sé in contraddizione con un ruolo attivo delle regioni ma è ora di chiudere l’epoca di 20 sistemi sanitari regionali sempre più diversi.
Va riscritto il titolo V della Costituzione, stabilendo la preminenza dello Stato e ridefinendo il ruolo delle regioni all’interno della legislazione nazionale. Non serve che Renzi continui ad inseguire il sogno della sua riforma, bocciata dagli elettori. Invece si deve costruire un nuovo sistema sanitario nazionale degno di questo nome, stanziando le risorse necessarie e mettendo in campo una linea politica alternativa alla destra secessionista, che ha contribuito in modo decisivo a togliere risorse alla sanità pubblica e ha spinto in Lombardia la privatizzazione a livelli inaccettabili.
Occorre un grande sogno per uscire dall’incubo della pandemia.
Ricostruire un sistema sanitario nazionale fondato sulle competenze e sul coraggio del personale che si è prodigato è un grande sogno, che può migliorare la vita di tutti noi e può essere un primo tassello del futuro dell’Italia. Questo tassello deve essere parte di un progetto pubblico per guidare i cambiamenti e le innovazioni indispensabili nel nostro paese facendo perno sulla partecipazione attiva. E’ il momento per proporre un futuro realizzabile con un impegno corale chiudendo la fase della protesta fine a se stessa.